Tesi etd-11112011-213808 |
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Tipo di tesi
Tesi di dottorato di ricerca
Autore
FONTANA, ANDREA
URN
etd-11112011-213808
Titolo
Determinanti molecolari di resistenza e di risposta al trattamento con bevacizumab e trastuzumab nelle pazienti con diagnosi di neoplasia mammaria metastatica
Settore scientifico disciplinare
MED/06
Corso di studi
TECNOLOGIE PER LA SALUTE: VALUTAZIONE E GESTIONE DELLE INNOVAZIONI NEL SETTORE BIOMEDICALE
Relatori
tutor Prof. Falcone, Alfredo
Parole chiave
- Bevacizumab
- Trastuzumab
Data inizio appello
25/11/2011
Consultabilità
Completa
Riassunto
Il tumore mammario metastatico rimane ad oggi una malattia non guaribile, con una sopravvivenza mediana di circa 24-48 mesi. L’obiettivo principale della terapia medica della malattia avanzata rimane quindi il prolungamento della sopravvivenza libera da progressione e globale, il controllo degli eventuali sintomi ed il miglioramento della qualità di vita. Contestualmente risulta essenziale limitare o prevenire le possibili tossicità del trattamento e ridurre la dove possibile i costi del SSN. L’eterogeneità della neoplasia mammaria metastatica permette di individuare due gruppi di pazienti in base alla iperespressione o meno della proteina HER-2 (Human Epidermal growth factor Receptor – 2; erbB2/neu). Questo dato ha una implicazione diretta nella scelta del trattamento, infatti, oltre alla chemioterapia è possibile introdurre l’anticorpo monoclonale bevacizumab, diretto contro il VEGF (vascular endothelial growth factor), nelle pazienti HER2 negative e l’anticorpo monoclonale trastuzumab nelle pazienti HER2 positive.
Il presente studio è stato svolto con la finalità di analizzare fattori molecolari di risposta e di resistenza al trattamento con i due anticorpi monoclonali bevacizumab e trastuzumab nelle due coorti di pazienti HER2 negative ed HER2 positive.
Nelle pazienti con diagnosi di carcinoma mammario metastatico HER2 negativo trattate in prima linea con paclitaxel e bevacizumab, è stata dimostrata, in uno studio retrospettivo, una correlazione tra polimorfismi tumorali a singolo nucleotide (SNPs) di VEGF con l’efficacia e la tossicità della terapia: in particolare, i genotipi VEGF-2578AA e -1154AA sono risultati predittivi di una migliore OS, mentre i genotipi VEGF-634CC e VEGF-1498TT sono strettamente correlati con una minore incidenza di ipertensione di grado 3 e 4 secondo la scala NCI se confrontati con tutti gli altri genotipi analizzati. Inoltre, uno studio di fase II è stato suggerito come esista una correlazione tra i polimorfismi di alcuni geni implicati nel processo di neoangiogenesi (in particolare un polimorfismo del locus 251 del gene dell’IL-8 e del locus 936 del gene del VEGF) e la risposta al trattamento chemioterapico a base di ciclofosfamide e bevacizumab in pazienti con diagnosi di carcinoma ovarico recidivato. I meccanismi di feedback indotti dalla terapia con bevacizumab non sono ristretti,tuttavia, alla sola espressione del VEGF ma sembrano coinvolgere ulteriori fattori, ed in particolare la trombospondina-1 (TPS-1), che influenzano l’equilibrio angiogenico. Tutti questi fattori sono dunque meritevoli di essere analizzati come possibili markers predittivi di risposta al trattamento.
Nella coorte di pazienti HER2 negative e trattate con bevacizumab sono state individuate 108 pazienti afferenti da 10 centri oncologici italiani. Presso la Divisione di Farmacologia e Chemioterapia -Dipartimento di Medicina Interna - Università di Pisa è stata effettuata la genotipizzazione di 97 pazienti, analizzando i polimorfismi di VEGF, VEGFR-2 , TSP-1 e HIF-1 α; 85 pazienti sono risultate valutabili per la risposta al trattamento. L’età mediana è risultata 57 anni (range 32-81); il 70% dei pazienti aveva due o più sedi di malattia e le principali sedi di metastasi erano: lo scheletro (61,5%), il fegato (52%); i linfonodi (43%); il polmone (22%). Il tasso di risposte obiettive è risultato essere del 67% con una progression-free survival (PFS) di 10,8 mesi (range 2,2-46+), mentre la sopravvivenza mediana non è stata ancora raggiunta. Il follow-up mediano è risultato di 13,7 mesi (range 2-48,4 mesi).
L’analisi del SNP -634 di VEGF non ha dimostrato una differenza significativa (p 0,08) tra il gruppo di pazienti wild-type (GG) ed il gruppo di pazienti con l’allele mutato (CC/GC) in termini di risposte al trattamento. E’ stata osservata, invece, una differenza borderline (p 0,054) tra i pazienti mutati (CC/CG) responsivi verso mutati non responsivi (17,6% dei pazienti vs 47,5% dei pazienti). In questa coorte di pazienti le analisi e le correlazioni clinico-biologiche stanno proseguendo.
L’iperespressione della proteina HER-2 (Human Epidermal growth factor Receptor – 2; erbB2/neu) si verifica in circa il 25-30% dei carcinomi mammari. Trastuzumab (Herceptin®) è un anticorpo monoclonale umanizzato ricombinante (mAb) diretto contro il dominio extracellulare della proteina HER-2. Sebbene il meccanismo d’azione non sia completamente conosciuto, diversi effetti molecolari e cellulari sono stati osservati in sperimentazioni con modelli in vivo e in vitro. Legandosi al dominio extracellulare, trastuzumab previene il clivaggio del dominio stesso così come la dimerizzazione di HER-2, inibendo l’attivazione recettoriale e la successiva trasmissione del segnale a valle coinvolgente molteplici vie intracellulari, quali le vie delle fosfatidil inositolo 3,4,5 trifosfato chinasi (PI3K) e delle MAP chinasi (MAPK). Trastuzumab, oltre a tali meccanismi d’azioni citostatici, esplica anche un’azione citotossica mediando l’attivazione della citotossicità cellulo-mediata dall’anticorpo (ADCC, antibody-dependent-cell-mediated cytotoxicity).
Sebbene il trastuzumab sia considerato il trattamento standard di prima linea nelle pazienti con diagnosi di carcinoma della mammella HER-2 positivo, un numero significativo di pazienti (circa il 40%) con diagnosi di tumore mammario HER-2 positivo non beneficia di questa terapia perché ha sviluppato una resistenza primaria o secondaria al farmaco. In questo setting di pazienti l’identificazione dei meccanismi alla base della resistenza al trastuzumab è fondamentale per riuscire a sviluppare una corretta selezione delle pazienti e nuove strategie terapeutiche.
Alcuni studi hanno identificato la presenza, sulla membrana delle cellule tumorali di donne affette da carcinoma mammario HER-2 positivo, di forme troncate del recettore, alcune delle quali costitutivamente attive, collettivamente chiamate p95HER-2. Tali forme, prive del dominio extracellulare contenente il sito di legame per il Trastuzumab, possono ragionevolmente rappresentare un potenziale meccanismo di resistenza alla terapia con questo anticorpo oltre ad essere correlate,se presenti,ad una peggiore prognosi. Un altro potenziale meccanismo di resistenza al trastuzumab sembra essere l’upregulation delle vie di trasmissione del segnale intracellulare innescate da HER2; in particolare i risultati di studi preclinici hanno dimostrato come la perdita della funzione di PTEN (phosphatase and tensin homolog) e la mutazione PI3K (phosphatidil-inositol kinase) attivino costitutivamente la via di trasduzione del segnale mediata da PI3K/Akt. La perdita della funzione di PTEN risulta conseguenza di vari meccanismi, tra cui alterazioni mutazionali del gene PTEN, aploinsufficienza (condizione in cui la quantità di proteina prodotta dalla singola copia del gene non è sufficiente per assicurare la normale funzione) derivante dalla perdita di eterozigosi nel locus di PTEN ed infine alterazioni epigenetiche.
Il presente studio si propone di analizzare lo stato di alcuni determinanti molecolari predittivi di resistenza al trastuzumab quali la forma recettoriale di HER-2 tronca (p95HER-2) e lo stato mutazionale di PI3K su un ampia casistica di pazienti con diagnosi di carcinoma mammario metastatico trattate con trastuzumab e correlare i risultati ottenuti con con la sopravvivenza globale e la sopravvivenza libera da progressione delle pazienti. L’utilizzo nella pratica clinica di questi markers, se confermati successivamente in modo prospettico, permetterebbe di poter scegliere un trattamento alternativo al trastuzumab nelle pazienti HER-2 positive che presentano positività a questi determinanti molecolari. Questo comporterebbe l’ ottimizzazione di questi trattamenti con importanti risvolti clinici ed economici.
Nel presente studio sono stati inclusi pazienti con diagnosi istologica di carcinoma mammario metastatico con iperespressione di HER-2 trattate con trastuzumab negli ultimi 11 anni presso l’ U.O. di Oncologia Medica – Azienda Ospedaliero Universitaria “S.Chiara” di Pisa e presso l’ U.O di Oncologia Medica - Ospedale “F.Lotti” di Pontedera e di cui fosse disponibile il preparato istologico con il campione tumorale.
Dal 1999 al 2010 sono state arruolate 107 pazienti affette da carcinoma mammario metastatico HER-2 positivo. La totalità della popolazione era di sesso femminile e presentava una età mediana alla diagnosi della malattia metastatica pari a 54 anni (range 25-79). Circa il 18% delle pazienti avevano un quadro di esordio della malattia in IV stadio. In merito al livello di espressione immunoistochimica ormonale della neoplasia mammaria primitiva, circa il 60% ed il 49% dei casi erano risultati rispettivamente positivi per i recettori estrogenici e progestinici. In merito al grado di proliferazione delle cellule neoplastiche, il dato è risultato disponibile su 77 casi totali. Tra questi, utilizzando come valore cut-off il un grado di proliferazione pari al 14%, il 74% dei casi presentava un alto gradi di proliferazione mentre i restanti casi un basso grado. Infine, per quanto concerne la valutazione dello stato di HER-2 una valutazione immunoistochimica positiva, con un valore cioè pari a +3, era stato evidenziato nell’84% dei casi. Nel restante 16% dei casi risultati +2 al dosaggio immunoistochimico, era stata eseguita una conferma tramite metodica di amplificazione genica con la tecnica dell’ibridazione fluorescente in situ (FISH) risultata positiva. Per quanto riguarda il trattamento per la malattia metastatica, le 107 pazienti complessivamente arruolate presentavano un numero variabile di siti metastatici coinvolti, con un range da 1 a 5 siti di malattia. Circa il 57% delle pazienti presentava un'unica sede di malattia secondaria; circa il 30% dei casi presentava invece due siti di malattia secondaria, con una alta percentuale di interessamento scheletrico e viscerale, rappresentato più frequentemente da fegato, polmone, pleura e linfonodi. Nel restante 13% dei casi erano invece coinvolti almeno 3 siti di malattia extramammaria. Oltre la metà della popolazione arruolata, in particolare il 57%, era stata trattata in prima linea con un trattamento di combinazione con trastuzumab. Nello specifico, il trattamento con trastuzumab era stato associato ad un trattamento chemioterapico in circa l’80% dei casi, ad un trattamento ormonoterapico in circa il 10% dei casi e somministrato in monoterapia nei restanti 6 casi. Il trattamento chemioterapico, effettuato come sopra riportato in 49 casi, risultava un regime contenente taxani in ben 43 casi, in 6 dei quali associato a carboplatino o epirubicina, mentre risultava non contenente taxani nei restanti 6 casi, comprendendo un trattamento con vinorelbina in 5 casi e con capecitabina in un solo caso. Tra le 61 pazienti trattate per la prima linea metastatica con un trattamento di combinazione, 27 pazienti avevano proseguito il trattamento con trastuzumab anche in seconda linea, oltre quindi la progressione del quadro di malattia. In tale setting, 23 pazienti erano state trattate con un farmaco chemioterapico non cross resistente con quello utilizzato nella prima linea di trattamento, mentre in 4 casi era stata associato a trastuzumab un trattamento ormonoterapico. Il 27% della popolazione complessivamente arruolata era stata trattata per la prima volta con trastuzumab per il trattamento della malattia metastatica progredita ad una prima linea. Il restante 16% delle pazienti avevano ricevuto per la prima volta un trattamento di combinazione con trastuzumab oltre la seconda linea di trattamento per la malattia metastatica; in particolare, in 13 casi durante la terza linea di trattamento, in 2 casi durante la quarta linea ed infine in 2 casi durante la quinta linea di trattamento..
Al momento della esecuzione della analisi nel luglio 2011, il 75% (80/106) della popolazione è deceduta; la sopravvivenza globale mediana è risultata pari a 30,7 mesi (range 22,8-38,5). Il 95% della popolazione è progredito al trattamento comprendente trastuzumab ricevuto, con una sopravvivenza mediana libera da progressione pari a 9,8 mesi (range 8,5-11,0).
Per quanto riguarda l’analisi della forma recettoriale di HER-2 eseguita tramite valutazione immunoistichimica, i risultati della presente analisi, eseguita su un totale di 63 casi, il 42% dei quali ha presentato la forma recettoriale tronca ed il restante 58% la forma integra, non ha evidenziato una correlazione statisticamente significativa né con la PFS (p=0,323) né con la OS (p=0,856).
Le analisi delle mutazioni attivanti (PIK3CA) a livello dell’esone 20 e dell’esone 9 del gene codificante la subunità catalitica della chinasi PI3K, sono state invece condotte con sequenziamento diretto su 70 casi complessivamente. Le percentuali di casi mutati, pari al 22% sia per quanto riguarda l’esone 9 che l’esone 20, risultano in linea con i dati riportati dalla letteratura, indicanti una percentuale di mutazioni PIK3CA, valutate sempre con sequenziamento diretto, pari a circa il 25%. Se per quanto concerne la correlazione tra la mutazione a livello dell’esone 9 non è stata evidenziata una correlazione statisticamente significativa né con la PFS (p=0,415) né con la OS (p=0,189), per quanto riguarda la correlazione tra la presenza di una mutazione a livello dell’esone 20 e la OS, valutabile su 69 casi, dei quali 54 wild-type e 15 mutati, è stata invece osservata una associazione statisticamente significativa, (p=0,046). Eseguendo inoltre, su tali 69 casi, un confronto tra le sopravvivenze globali in base alla linea di trattamento nella quale hanno ricevuto trastuzumab, non è stata osservata una differenza statisticamente significativa tra i 41 pazienti trattati in prima linea con trastuzumab ed i restanti 28 pazienti trattati con trastuzumab nelle linee successive (p=0,261) né una differenza in tal senso è stata evidenziata tra i 15 casi mutati, 7 dei quali trattati in prima linea con trastuzumab ed i restanti 8 pazienti trattati con trastuzumab nelle linee successive (p=0,892). Questi dati indicano, seppur limitati dalla bassa rappresentatività campionaria, un potenziale ruolo prognostico della mutazione a livello dell’esone 20. Una correlazione non significativa è stata invece evidenziata per quanto concerne la PFS (p=0.172).
Alla luce di tali dati, i nostri risultati ci inducono ad ampliare la casistica analizzata e soprattutto ad ampliare il numero dei determinanti molecolari studiati, con particolare interesse allo valutazione di ulteriori determinanti appartenenti al pathway di PI3K.
Oltre ai risultati ottenuti, il nostro studio enfatizza l’importanza della ricerca traslazionale nel perseguire miglioramenti in ambito oncologico, con l’obiettivo di poter successivamente utilizzare nella pratica clinica quotidiana tali marcatori, guidando il clinico nella scelta di un trattamento sempre più “appropriato”,ottimizzando le risorse disponibili e soprattutto offrendo alle pazienti un trattamento sempre più “personalizzato”.
Il presente studio è stato svolto con la finalità di analizzare fattori molecolari di risposta e di resistenza al trattamento con i due anticorpi monoclonali bevacizumab e trastuzumab nelle due coorti di pazienti HER2 negative ed HER2 positive.
Nelle pazienti con diagnosi di carcinoma mammario metastatico HER2 negativo trattate in prima linea con paclitaxel e bevacizumab, è stata dimostrata, in uno studio retrospettivo, una correlazione tra polimorfismi tumorali a singolo nucleotide (SNPs) di VEGF con l’efficacia e la tossicità della terapia: in particolare, i genotipi VEGF-2578AA e -1154AA sono risultati predittivi di una migliore OS, mentre i genotipi VEGF-634CC e VEGF-1498TT sono strettamente correlati con una minore incidenza di ipertensione di grado 3 e 4 secondo la scala NCI se confrontati con tutti gli altri genotipi analizzati. Inoltre, uno studio di fase II è stato suggerito come esista una correlazione tra i polimorfismi di alcuni geni implicati nel processo di neoangiogenesi (in particolare un polimorfismo del locus 251 del gene dell’IL-8 e del locus 936 del gene del VEGF) e la risposta al trattamento chemioterapico a base di ciclofosfamide e bevacizumab in pazienti con diagnosi di carcinoma ovarico recidivato. I meccanismi di feedback indotti dalla terapia con bevacizumab non sono ristretti,tuttavia, alla sola espressione del VEGF ma sembrano coinvolgere ulteriori fattori, ed in particolare la trombospondina-1 (TPS-1), che influenzano l’equilibrio angiogenico. Tutti questi fattori sono dunque meritevoli di essere analizzati come possibili markers predittivi di risposta al trattamento.
Nella coorte di pazienti HER2 negative e trattate con bevacizumab sono state individuate 108 pazienti afferenti da 10 centri oncologici italiani. Presso la Divisione di Farmacologia e Chemioterapia -Dipartimento di Medicina Interna - Università di Pisa è stata effettuata la genotipizzazione di 97 pazienti, analizzando i polimorfismi di VEGF, VEGFR-2 , TSP-1 e HIF-1 α; 85 pazienti sono risultate valutabili per la risposta al trattamento. L’età mediana è risultata 57 anni (range 32-81); il 70% dei pazienti aveva due o più sedi di malattia e le principali sedi di metastasi erano: lo scheletro (61,5%), il fegato (52%); i linfonodi (43%); il polmone (22%). Il tasso di risposte obiettive è risultato essere del 67% con una progression-free survival (PFS) di 10,8 mesi (range 2,2-46+), mentre la sopravvivenza mediana non è stata ancora raggiunta. Il follow-up mediano è risultato di 13,7 mesi (range 2-48,4 mesi).
L’analisi del SNP -634 di VEGF non ha dimostrato una differenza significativa (p 0,08) tra il gruppo di pazienti wild-type (GG) ed il gruppo di pazienti con l’allele mutato (CC/GC) in termini di risposte al trattamento. E’ stata osservata, invece, una differenza borderline (p 0,054) tra i pazienti mutati (CC/CG) responsivi verso mutati non responsivi (17,6% dei pazienti vs 47,5% dei pazienti). In questa coorte di pazienti le analisi e le correlazioni clinico-biologiche stanno proseguendo.
L’iperespressione della proteina HER-2 (Human Epidermal growth factor Receptor – 2; erbB2/neu) si verifica in circa il 25-30% dei carcinomi mammari. Trastuzumab (Herceptin®) è un anticorpo monoclonale umanizzato ricombinante (mAb) diretto contro il dominio extracellulare della proteina HER-2. Sebbene il meccanismo d’azione non sia completamente conosciuto, diversi effetti molecolari e cellulari sono stati osservati in sperimentazioni con modelli in vivo e in vitro. Legandosi al dominio extracellulare, trastuzumab previene il clivaggio del dominio stesso così come la dimerizzazione di HER-2, inibendo l’attivazione recettoriale e la successiva trasmissione del segnale a valle coinvolgente molteplici vie intracellulari, quali le vie delle fosfatidil inositolo 3,4,5 trifosfato chinasi (PI3K) e delle MAP chinasi (MAPK). Trastuzumab, oltre a tali meccanismi d’azioni citostatici, esplica anche un’azione citotossica mediando l’attivazione della citotossicità cellulo-mediata dall’anticorpo (ADCC, antibody-dependent-cell-mediated cytotoxicity).
Sebbene il trastuzumab sia considerato il trattamento standard di prima linea nelle pazienti con diagnosi di carcinoma della mammella HER-2 positivo, un numero significativo di pazienti (circa il 40%) con diagnosi di tumore mammario HER-2 positivo non beneficia di questa terapia perché ha sviluppato una resistenza primaria o secondaria al farmaco. In questo setting di pazienti l’identificazione dei meccanismi alla base della resistenza al trastuzumab è fondamentale per riuscire a sviluppare una corretta selezione delle pazienti e nuove strategie terapeutiche.
Alcuni studi hanno identificato la presenza, sulla membrana delle cellule tumorali di donne affette da carcinoma mammario HER-2 positivo, di forme troncate del recettore, alcune delle quali costitutivamente attive, collettivamente chiamate p95HER-2. Tali forme, prive del dominio extracellulare contenente il sito di legame per il Trastuzumab, possono ragionevolmente rappresentare un potenziale meccanismo di resistenza alla terapia con questo anticorpo oltre ad essere correlate,se presenti,ad una peggiore prognosi. Un altro potenziale meccanismo di resistenza al trastuzumab sembra essere l’upregulation delle vie di trasmissione del segnale intracellulare innescate da HER2; in particolare i risultati di studi preclinici hanno dimostrato come la perdita della funzione di PTEN (phosphatase and tensin homolog) e la mutazione PI3K (phosphatidil-inositol kinase) attivino costitutivamente la via di trasduzione del segnale mediata da PI3K/Akt. La perdita della funzione di PTEN risulta conseguenza di vari meccanismi, tra cui alterazioni mutazionali del gene PTEN, aploinsufficienza (condizione in cui la quantità di proteina prodotta dalla singola copia del gene non è sufficiente per assicurare la normale funzione) derivante dalla perdita di eterozigosi nel locus di PTEN ed infine alterazioni epigenetiche.
Il presente studio si propone di analizzare lo stato di alcuni determinanti molecolari predittivi di resistenza al trastuzumab quali la forma recettoriale di HER-2 tronca (p95HER-2) e lo stato mutazionale di PI3K su un ampia casistica di pazienti con diagnosi di carcinoma mammario metastatico trattate con trastuzumab e correlare i risultati ottenuti con con la sopravvivenza globale e la sopravvivenza libera da progressione delle pazienti. L’utilizzo nella pratica clinica di questi markers, se confermati successivamente in modo prospettico, permetterebbe di poter scegliere un trattamento alternativo al trastuzumab nelle pazienti HER-2 positive che presentano positività a questi determinanti molecolari. Questo comporterebbe l’ ottimizzazione di questi trattamenti con importanti risvolti clinici ed economici.
Nel presente studio sono stati inclusi pazienti con diagnosi istologica di carcinoma mammario metastatico con iperespressione di HER-2 trattate con trastuzumab negli ultimi 11 anni presso l’ U.O. di Oncologia Medica – Azienda Ospedaliero Universitaria “S.Chiara” di Pisa e presso l’ U.O di Oncologia Medica - Ospedale “F.Lotti” di Pontedera e di cui fosse disponibile il preparato istologico con il campione tumorale.
Dal 1999 al 2010 sono state arruolate 107 pazienti affette da carcinoma mammario metastatico HER-2 positivo. La totalità della popolazione era di sesso femminile e presentava una età mediana alla diagnosi della malattia metastatica pari a 54 anni (range 25-79). Circa il 18% delle pazienti avevano un quadro di esordio della malattia in IV stadio. In merito al livello di espressione immunoistochimica ormonale della neoplasia mammaria primitiva, circa il 60% ed il 49% dei casi erano risultati rispettivamente positivi per i recettori estrogenici e progestinici. In merito al grado di proliferazione delle cellule neoplastiche, il dato è risultato disponibile su 77 casi totali. Tra questi, utilizzando come valore cut-off il un grado di proliferazione pari al 14%, il 74% dei casi presentava un alto gradi di proliferazione mentre i restanti casi un basso grado. Infine, per quanto concerne la valutazione dello stato di HER-2 una valutazione immunoistochimica positiva, con un valore cioè pari a +3, era stato evidenziato nell’84% dei casi. Nel restante 16% dei casi risultati +2 al dosaggio immunoistochimico, era stata eseguita una conferma tramite metodica di amplificazione genica con la tecnica dell’ibridazione fluorescente in situ (FISH) risultata positiva. Per quanto riguarda il trattamento per la malattia metastatica, le 107 pazienti complessivamente arruolate presentavano un numero variabile di siti metastatici coinvolti, con un range da 1 a 5 siti di malattia. Circa il 57% delle pazienti presentava un'unica sede di malattia secondaria; circa il 30% dei casi presentava invece due siti di malattia secondaria, con una alta percentuale di interessamento scheletrico e viscerale, rappresentato più frequentemente da fegato, polmone, pleura e linfonodi. Nel restante 13% dei casi erano invece coinvolti almeno 3 siti di malattia extramammaria. Oltre la metà della popolazione arruolata, in particolare il 57%, era stata trattata in prima linea con un trattamento di combinazione con trastuzumab. Nello specifico, il trattamento con trastuzumab era stato associato ad un trattamento chemioterapico in circa l’80% dei casi, ad un trattamento ormonoterapico in circa il 10% dei casi e somministrato in monoterapia nei restanti 6 casi. Il trattamento chemioterapico, effettuato come sopra riportato in 49 casi, risultava un regime contenente taxani in ben 43 casi, in 6 dei quali associato a carboplatino o epirubicina, mentre risultava non contenente taxani nei restanti 6 casi, comprendendo un trattamento con vinorelbina in 5 casi e con capecitabina in un solo caso. Tra le 61 pazienti trattate per la prima linea metastatica con un trattamento di combinazione, 27 pazienti avevano proseguito il trattamento con trastuzumab anche in seconda linea, oltre quindi la progressione del quadro di malattia. In tale setting, 23 pazienti erano state trattate con un farmaco chemioterapico non cross resistente con quello utilizzato nella prima linea di trattamento, mentre in 4 casi era stata associato a trastuzumab un trattamento ormonoterapico. Il 27% della popolazione complessivamente arruolata era stata trattata per la prima volta con trastuzumab per il trattamento della malattia metastatica progredita ad una prima linea. Il restante 16% delle pazienti avevano ricevuto per la prima volta un trattamento di combinazione con trastuzumab oltre la seconda linea di trattamento per la malattia metastatica; in particolare, in 13 casi durante la terza linea di trattamento, in 2 casi durante la quarta linea ed infine in 2 casi durante la quinta linea di trattamento..
Al momento della esecuzione della analisi nel luglio 2011, il 75% (80/106) della popolazione è deceduta; la sopravvivenza globale mediana è risultata pari a 30,7 mesi (range 22,8-38,5). Il 95% della popolazione è progredito al trattamento comprendente trastuzumab ricevuto, con una sopravvivenza mediana libera da progressione pari a 9,8 mesi (range 8,5-11,0).
Per quanto riguarda l’analisi della forma recettoriale di HER-2 eseguita tramite valutazione immunoistichimica, i risultati della presente analisi, eseguita su un totale di 63 casi, il 42% dei quali ha presentato la forma recettoriale tronca ed il restante 58% la forma integra, non ha evidenziato una correlazione statisticamente significativa né con la PFS (p=0,323) né con la OS (p=0,856).
Le analisi delle mutazioni attivanti (PIK3CA) a livello dell’esone 20 e dell’esone 9 del gene codificante la subunità catalitica della chinasi PI3K, sono state invece condotte con sequenziamento diretto su 70 casi complessivamente. Le percentuali di casi mutati, pari al 22% sia per quanto riguarda l’esone 9 che l’esone 20, risultano in linea con i dati riportati dalla letteratura, indicanti una percentuale di mutazioni PIK3CA, valutate sempre con sequenziamento diretto, pari a circa il 25%. Se per quanto concerne la correlazione tra la mutazione a livello dell’esone 9 non è stata evidenziata una correlazione statisticamente significativa né con la PFS (p=0,415) né con la OS (p=0,189), per quanto riguarda la correlazione tra la presenza di una mutazione a livello dell’esone 20 e la OS, valutabile su 69 casi, dei quali 54 wild-type e 15 mutati, è stata invece osservata una associazione statisticamente significativa, (p=0,046). Eseguendo inoltre, su tali 69 casi, un confronto tra le sopravvivenze globali in base alla linea di trattamento nella quale hanno ricevuto trastuzumab, non è stata osservata una differenza statisticamente significativa tra i 41 pazienti trattati in prima linea con trastuzumab ed i restanti 28 pazienti trattati con trastuzumab nelle linee successive (p=0,261) né una differenza in tal senso è stata evidenziata tra i 15 casi mutati, 7 dei quali trattati in prima linea con trastuzumab ed i restanti 8 pazienti trattati con trastuzumab nelle linee successive (p=0,892). Questi dati indicano, seppur limitati dalla bassa rappresentatività campionaria, un potenziale ruolo prognostico della mutazione a livello dell’esone 20. Una correlazione non significativa è stata invece evidenziata per quanto concerne la PFS (p=0.172).
Alla luce di tali dati, i nostri risultati ci inducono ad ampliare la casistica analizzata e soprattutto ad ampliare il numero dei determinanti molecolari studiati, con particolare interesse allo valutazione di ulteriori determinanti appartenenti al pathway di PI3K.
Oltre ai risultati ottenuti, il nostro studio enfatizza l’importanza della ricerca traslazionale nel perseguire miglioramenti in ambito oncologico, con l’obiettivo di poter successivamente utilizzare nella pratica clinica quotidiana tali marcatori, guidando il clinico nella scelta di un trattamento sempre più “appropriato”,ottimizzando le risorse disponibili e soprattutto offrendo alle pazienti un trattamento sempre più “personalizzato”.
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