ETD

Archivio digitale delle tesi discusse presso l'Università di Pisa

Tesi etd-11082016-220221


Tipo di tesi
Tesi di laurea magistrale
Autore
DI CESARE, ASSUNTA
URN
etd-11082016-220221
Titolo
"La Cina dagli occhi non a mandorla". Xinjiang: la provincia autonoma sulla Via della Seta che fa tremare Pechino.
Dipartimento
SCIENZE POLITICHE
Corso di studi
STUDI INTERNAZIONALI
Relatori
relatore Vernassa, Maurizio
Parole chiave
  • Xinjiang
  • Islam cinese
  • nuova Via della Seta
  • China
  • Strike Hard
  • uiguri
Data inizio appello
28/11/2016
Consultabilità
Completa
Riassunto
Regione borderline alla periferia occidentale della Repubblica Popolare Cinese, lo Xinjiang ha un patrimonio genetico complesso di tredici etnie, delle quali gli uiguri costituiscono il fenotipo predominante. L’identità della regione è contesa tra la Cina che la considera parte del proprio territorio dalla antichissima dinastia Han e gli uiguri, per i quali è terra turca (Sharqi Turkestan). La denominazione “Xinjiang” è diventata d’uso comune non prima della riconquista nel XVII da parte degli ultimi imperatori Qing, i quali chiamarono le terre sottratte al “Grande Gioco” e agli emiri centrasiatici “Nuova frontiera”. Ma chi sono gli uiguri? Sono gli eredi delle tribù nomadi della Mongolia (gli Sciti secondo Erodoto) che intorno al VII sec. d.C. nelle oasi del bacino del Tarim crearono un grande regno, completamente islamizzato alla fine del XIV sec. Dal 1955 lo Xinjiang è retto da un sistema di self-government di fatto regolato da Pechino che non ha mai soddisfatto le aspirazioni indipendentiste degli uiguri. Dopo i due fallimentari tentativi di creare uno Uiguristan indipendente filoturco e filosovietico nella parentesi tra le due Guerre mondiali, negli anni Novanta essi sono perciò tornati a rivendicare il diritto a essere popolo, stimolati dalla politica di “openness” di Xiaoping e dalla nascita delle vicine repubbliche centrasiatiche ex sovietiche. Il “Paese Celeste” da sempre alterna campagne “Strike hard” a una strategia più indiretta., come il piano “Go West” che ha calcolato l’equazione del benessere a vantaggio delle colonie agricole di stato dei Bingtuan , oggi anima di un meccanismo da rentier state del petrolio e del cotone. Ma perché gli uiguri sono così scomodi? Perché la Cina è un grosso importatore di risorse energetiche e lo Xinjiang è un bacino domestico che da solo può coprire più di 1/3 del fabbisogno cinese, al punto che è qui che si sta ridisegnando la nuova Via della Seta, inaugurata dalla geopolitica delle joint venture dell’energia in Asia centrale. All’indomani dell’11 settembre la “crociata antijadista” statunitense ha dato il la a Pechino per denunciare per la prima volta di un “problema Xinjiang” a lungo negato. La partnership politica, tuttavia, è stata più obbligata che voluta e lo dimostrano gli Stati Uniti che dei quattro gruppi terroristici uiguri scritti nella “lista nera” di Pechino hanno riconosciuto solo ETIM e i suoi legami con Al Qaeda nel centro di addestramento delle FATA pakistane e che inoltre continuano a finanziare il “gruppo della diaspora” di Rabiya Kadeer, la “prigioniera di coscienza” che lotta per i diritti del kalk uiguro. Intanto sulle spalle di Pechino le organizzazioni internazionali fanno pesare la colpa dei diritti umani negati e nonostante la “democraticità” proclamata dalla Costituzione del 1982, la Cina non è ancora al giro di boa. La dimensione collettiva di diritti e doveri non oltrepassa il “modello asiatico” di tutela e il Paese di Mezzo non sa proprio redimersi in uno Stato del popolo che sia cosa diversa da una “dittatura”, seppure “democratica”. Dai programmi scolastici alla musica, il velo della propaganda mostra la filigrana di un’architettura di governo che deve poggiare sull’ unica minzu (nazione) possibile, quella han, dove il dissenso ha la stessa identità legale del terrorismo. Se la storia è un teatro, tra uiguri e han non è ancora mai calato il sipario della Grande Muraglia cinese.
File