Tesi etd-10312015-111624 |
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Tipo di tesi
Tesi di laurea magistrale
Autore
CHIAPPINI, CECILIA
URN
etd-10312015-111624
Titolo
L'Affido Sine Die
Dipartimento
SCIENZE POLITICHE
Corso di studi
SOCIOLOGIA E POLITICHE SOCIALI
Relatori
relatore Prof. Mazza, Roberto
Parole chiave
- estensione del fenomeno
- l'affido
- l'affido sine die
Data inizio appello
30/11/2015
Consultabilità
Completa
Riassunto
Questa tesi nasce con l’intento non solo di mettere in evidenza e far conoscere, uno degli strumenti più utilizzati dai Servizi Sociali: ovvero l’Affido. Ma vuole soprattutto, far conoscere e “denunciare” un altro strumento che, in Italia si sta sempre di più diffondendo ed è l’Affido Sine Die.
Questo particolare affido, infatti, non viene quasi mai nominato, sia nei manuali accademici, che nei testi; in quanto è un affido molto particolare che in realtà va a testimoniare il fallimento del progetto di affido. Già il nome ci fa capire che è un affido che potremmo nominare a “tempo indeterminato” in quanto, le tempistiche preventivate per il rientro del minore nella famiglia d’origine non possono essere rispettate per varie ragioni: la più importante, è l’impossibilità per il nucleo familiare biologico di risolvere le proprie problematiche, o di non saper riequilibrare o ristabilire le proprie capacità genitoriali. Nella maggior parte degli affidi sine die si va a raggiungere la maturità biologica del minore, il quale potrà, a questo punto, decidere in maniera autonoma se: rimanere nella famiglia affidatarie, rientrare in quella di origine o intraprenderne una personale.
Possiamo affermare che l’aspetto più sconcertante, e quello a cui il lettore di questa tesi deve riflettere, è se sia giusto far crescere un minore in una situazione di affido quando ormai è chiaro, sia per i professionisti, ma anche e soprattutto per i minori e le rispettive famiglie (d’origine che affidatarie), che il rientro del minore nella propria famiglia sia impensabile; visto che non è recuperabile la genitorialità del nucleo familiare d’origine. Questo aspetto, come poi si vedrà durante la trattazione della tesi, può essere visto come una provocazione. In realtà, nessun professionista, come nessuna istituzione è “felice” o soddisfatta di far crescere in queste condizioni un minore. Ma nello stesso tempo, molti professionisti, tra cui i giudici hanno in questo la maggiore responsabilità. Molti infatti, si rifiutano o negano la possibilità, a questi minori di far decadere la podestà genitoriale, impedendo che da un progetto di affido si passi ad un progetto di adozione. Tra l’altro, molti dei nuclei affidatari, sono disposti a prendere in adozione il minore che fino a quel momento era per loro un “semplice” affidatario. Inserendolo in maniera definitiva nel proprio nucleo familiare, così da evitare che il minore in attesa di essere adottato risieda in qualche struttura, ma possa procedere subito alla pratica di adozione in un ambiente per lui già familiare.
Questa tesi ha quindi, l’obiettivo di studiare e di far capire quanto in realtà l’affido sine die, sia ormai pratica attuale nei servizi sociali; e che quindi sia necessario attuare dei cambiamenti: non solo a livello operativo, dei professionisti che creano e portano avanti il progetto di affido (assistenti sociali, psicologi, psichiatri, educatori, ecc…); ma anche a livello giuridico, sensibilizzando soprattutto i giudici dei tribunali minorili a far decadere la patria genitorialità quando occorre.
È necessario che anche loro, i giudici e le più alte istituzioni, si rendano conto di cosa voglia dire essere in affido. Soltanto nel momento in cui, riusciranno a vedere attraverso gli occhi di un minore inserito all’interno di un progetto di affido: ovvero che è stato distaccato dalla propria famiglia (perché vittima di forti problematiche, tanto da oscurare le loro capacità genitoriali) ed inserito in altre famiglie estranee a lui (ma che potranno portare sollievo, felicità, spensieratezza, ma soprattutto che possono permetterli di vivere e crescere seguendo i criteri dei diritti dei minori); solo così potranno effettivamente prendere delle decisioni appurate.
Sono sicura che i dati sulla decadenza della patria genitorialità andrebbero ad aumentare, permettendo così che molti minori crescano felici e con un senso di appartenenza ad un nucleo familiare che si prenda effettivamente cura di loro.
Lo studio che sto portando avanti e che mi è stato permesso di intraprendere, va a interrogare gli operatori su quanto l’affido sine die è stato presente nelle loro carriere. Vuole proprio analizzare la misura, l’ampiezza del fenomeno, così da poter certificare che non solo l’affido sine die esiste, ma che è anche molto utilizzato nei nostri contesti. Lo scopo è poter mettere “un sassolino nella scarpa” e magari far muovere le istituzioni a cambiare o a far nascere delle riforme su questo tema.
Il mio campo di studio è stato limitato su due aree della Toscana: l’Asl 9 di Grosseto Distretto Amiata Grossetana e l’Asl 5 di Pontedera, dove ho svolto il tirocinio richiesto dall’ Università degli Studi di Pisa per il completamento del nostro corso di Laurea LM87. In questa mia personale esperienza su quattro affidi iniziati dalla mia tutor, tre sono diventati con il tempo sine die, per questo motivo ho voluto approfondire l’esperienza indagando su quanto effettivamente sia vasto il fenomeno.
Questo particolare affido, infatti, non viene quasi mai nominato, sia nei manuali accademici, che nei testi; in quanto è un affido molto particolare che in realtà va a testimoniare il fallimento del progetto di affido. Già il nome ci fa capire che è un affido che potremmo nominare a “tempo indeterminato” in quanto, le tempistiche preventivate per il rientro del minore nella famiglia d’origine non possono essere rispettate per varie ragioni: la più importante, è l’impossibilità per il nucleo familiare biologico di risolvere le proprie problematiche, o di non saper riequilibrare o ristabilire le proprie capacità genitoriali. Nella maggior parte degli affidi sine die si va a raggiungere la maturità biologica del minore, il quale potrà, a questo punto, decidere in maniera autonoma se: rimanere nella famiglia affidatarie, rientrare in quella di origine o intraprenderne una personale.
Possiamo affermare che l’aspetto più sconcertante, e quello a cui il lettore di questa tesi deve riflettere, è se sia giusto far crescere un minore in una situazione di affido quando ormai è chiaro, sia per i professionisti, ma anche e soprattutto per i minori e le rispettive famiglie (d’origine che affidatarie), che il rientro del minore nella propria famiglia sia impensabile; visto che non è recuperabile la genitorialità del nucleo familiare d’origine. Questo aspetto, come poi si vedrà durante la trattazione della tesi, può essere visto come una provocazione. In realtà, nessun professionista, come nessuna istituzione è “felice” o soddisfatta di far crescere in queste condizioni un minore. Ma nello stesso tempo, molti professionisti, tra cui i giudici hanno in questo la maggiore responsabilità. Molti infatti, si rifiutano o negano la possibilità, a questi minori di far decadere la podestà genitoriale, impedendo che da un progetto di affido si passi ad un progetto di adozione. Tra l’altro, molti dei nuclei affidatari, sono disposti a prendere in adozione il minore che fino a quel momento era per loro un “semplice” affidatario. Inserendolo in maniera definitiva nel proprio nucleo familiare, così da evitare che il minore in attesa di essere adottato risieda in qualche struttura, ma possa procedere subito alla pratica di adozione in un ambiente per lui già familiare.
Questa tesi ha quindi, l’obiettivo di studiare e di far capire quanto in realtà l’affido sine die, sia ormai pratica attuale nei servizi sociali; e che quindi sia necessario attuare dei cambiamenti: non solo a livello operativo, dei professionisti che creano e portano avanti il progetto di affido (assistenti sociali, psicologi, psichiatri, educatori, ecc…); ma anche a livello giuridico, sensibilizzando soprattutto i giudici dei tribunali minorili a far decadere la patria genitorialità quando occorre.
È necessario che anche loro, i giudici e le più alte istituzioni, si rendano conto di cosa voglia dire essere in affido. Soltanto nel momento in cui, riusciranno a vedere attraverso gli occhi di un minore inserito all’interno di un progetto di affido: ovvero che è stato distaccato dalla propria famiglia (perché vittima di forti problematiche, tanto da oscurare le loro capacità genitoriali) ed inserito in altre famiglie estranee a lui (ma che potranno portare sollievo, felicità, spensieratezza, ma soprattutto che possono permetterli di vivere e crescere seguendo i criteri dei diritti dei minori); solo così potranno effettivamente prendere delle decisioni appurate.
Sono sicura che i dati sulla decadenza della patria genitorialità andrebbero ad aumentare, permettendo così che molti minori crescano felici e con un senso di appartenenza ad un nucleo familiare che si prenda effettivamente cura di loro.
Lo studio che sto portando avanti e che mi è stato permesso di intraprendere, va a interrogare gli operatori su quanto l’affido sine die è stato presente nelle loro carriere. Vuole proprio analizzare la misura, l’ampiezza del fenomeno, così da poter certificare che non solo l’affido sine die esiste, ma che è anche molto utilizzato nei nostri contesti. Lo scopo è poter mettere “un sassolino nella scarpa” e magari far muovere le istituzioni a cambiare o a far nascere delle riforme su questo tema.
Il mio campo di studio è stato limitato su due aree della Toscana: l’Asl 9 di Grosseto Distretto Amiata Grossetana e l’Asl 5 di Pontedera, dove ho svolto il tirocinio richiesto dall’ Università degli Studi di Pisa per il completamento del nostro corso di Laurea LM87. In questa mia personale esperienza su quattro affidi iniziati dalla mia tutor, tre sono diventati con il tempo sine die, per questo motivo ho voluto approfondire l’esperienza indagando su quanto effettivamente sia vasto il fenomeno.
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