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Archivio digitale delle tesi discusse presso l’Università di Pisa

Tesi etd-10292019-173730


Tipo di tesi
Tesi di laurea magistrale
Autore
IACOPETTI, IRENE
URN
etd-10292019-173730
Titolo
La sapienza delfica nelle terre d'Oriente: una proposta di lettura delle iscrizioni di Aï Khanoum e Miletoupolis
Dipartimento
FILOLOGIA, LETTERATURA E LINGUISTICA
Corso di studi
FILOLOGIA E STORIA DELL'ANTICHITA'
Relatori
relatore Facella, Margherita
correlatore Battistoni, Filippo
Parole chiave
  • Aï Khanoum
  • Grecità
  • Oriente
Data inizio appello
18/11/2019
Consultabilità
Non consultabile
Data di rilascio
18/11/2089
Riassunto
Questa tesi nasce dal doppio interesse per l’epigrafia e per l’Afghanistan greco. Il desiderio di approfondire la storia più antica di questo Paese martoriato dalle violenze e la volontà di restituirne la bellezza mi hanno portato a confrontarmi con le iscrizioni ivi ritrovate ed è proprio dalla lettura di una di queste che è cominciata la mia riflessione.
L'epigrafe in questione è stata rinvenuta nel sito di Aï Khanoum, nel nord-est del Paese, e riporta un epigramma in cui Clearco, sulla cui identità discuteremo in modo più approfondito in seguito, afferma con orgoglio di aver copiato le massime dei Sette Sapienti direttamente da Delfi e di averle fatte incidere nel santuario di Cinea, presumibilmente il fondatore della polis; a destra del breve componimento rimangono cinque detti, sovrapponibili agli ultimi della lista di Sosiade in Stobeo . Un ulteriore frammento rinvenuto non lontano dalla nostra iscrizione sembra contenere le prime lettere di altri due motti delfici.
La lettura di questi tre testi mi ha portato a chiedermi quale fosse la natura del legame che univa i coloni greci di epoca ellenistica, ormai lontani migliaia di chilometri dalla madrepatria, al santuario pitico ed in particolare alla sua tradizione sapienziale. Da questa domanda ha preso forma l’intero elaborato, di cui ora presentiamo la struttura.
Il primo capitolo svolge un ruolo introduttivo: per poter cogliere il vero ruolo della sapienza delfica in Oriente è infatti opportuno conoscere la storia della stessa. Si inizia così con una ricerca sull’identità degli autori delle famose massime, i celebri Sette Sapienti, e con un breve approfondimento biografico su di loro. Viene quindi analizzato il rapporto tra questi e Delfi, al quale segue l’analisi delle fonti che ci parlano della collocazione originaria dei motti. Il capitolo si conclude con il testo e la traduzione delle massime riportate in Stob. 3.1.172 e 3.1.173.
Il secondo capitolo rappresenta il nucleo stesso della tesi. Per cogliere il valore identitario che i Greci attribuiscono alla saggezza pitica e che contrappongono al modo di vivere orientale vengono analizzati gli episodi erodotei in cui i sovrani lidî Gige, Aliatte e Creso vennero in contatto con il santuario o con i Sette Sapienti; la “vittoria” del pensiero etico di questi ultimi rispetto ai re orientali diventa elemento di unione per il popolo ellenico che, pur essendo diviso in centinaia di poleis, si riconosce in unico sistema di valori che diventa a sua volta vessillo greco nei confronti del mondo.
Questo carattere emerge con tutta la sua forza nella già citata iscrizione di Aï Khanoum. Ad un’introduzione sulla storia della città e degli scavi segue l’analisi del testo che ci porterà ad interrogarci sull’identità dei personaggi menzionati, Cinea e Clearco, e sulle motivazioni che spinsero quest’ultimo a compiere un viaggio così lungo per poter portare la testimonianza della sapienza delfica nella lontana terra di Battriana. Il confronto con un’epigrafe rinvenuta nel sito di Miletoupolis di Misia, anch’essa riportante molti dei celebri detti, ci guiderà alla formulazione della risposta. Dall’analisi incrociata dei contenuti e della storia dei testi emerge infatti ciò che già si annunciava nelle vicende dei tre sovrani della Lidia, ovvero il profondo orgoglio con cui i Greci guardavano al loro codice etico, un orgoglio tanto grande da portarli ad eternarlo sulla pietra. L’importanza di questo gesto diventa tanto più grande nelle colonie d’Oriente, dove le massime delfiche diventano un baluardo di grecità nei confronti di una terra che, nell’immaginario ellenico, fonde insieme i caratteri della sfrenatezza e del lusso. Incidere i consigli dei Sette Sapienti in queste città significa ricordare ai Greci chi sono, un nuovo “conosci te stesso” per non perdere la propria morale nelle terre dell’Est. Significa portare nuovamente Solone davanti a Creso e sancire ancora una volta la vittoria della misura e della pacata saggezza.
L’epigrafia, in questo senso, ha un ruolo nuovo e fondamentale: non serve a presentare leggi né a elogiare sovrani o privati, non ha scopi commerciali né votivi, ma svolge il ruolo di monito sempre presente e sempre visibile a non dimenticare le proprie radici e a educare alla serena saggezza di Delfi se stessi, i propri figli e i figli dei figli, per tutte le generazioni che si riconosceranno greche.
La tesi si conclude con una appendice sulla fortuna del tema dei Sette Savi. La forza culturale da loro emanata ne ha fatto resistere il fascino fino ai nostri giorni, le loro indicazioni sono tuttora un valido insegnamento. Nel corso del tempo, sia le figure dei Saggi sia le loro parole sono state arricchite di nuovi significati, ogni secolo le ha fatte sue ed esse sono sempre cambiate pur restando le medesime. Così possiamo concludere anche noi questa introduzione: il motto più famoso della sapienza delfica, γνῶθι σαυτόν, ci dice di conoscere noi stessi, quindi i nostri limiti; nel pensiero greco, invitava nello specifico a non dimenticare la propria natura umana e a non andare oltre questa; oggi, ci spinge a ricordarci da dove veniamo per capire chi siamo. Nel caso di questo elaborato, a ritrovare quello che di greco è rimasto in noi.
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