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Archivio digitale delle tesi discusse presso l’Università di Pisa

Tesi etd-10272015-160740


Tipo di tesi
Tesi di laurea magistrale
Autore
CARNICELLI, SARA
URN
etd-10272015-160740
Titolo
Alzheimer e attività fisica adattata
Dipartimento
MEDICINA CLINICA E SPERIMENTALE
Corso di studi
SCIENZE E TECNICHE DELLE ATTIVITA' MOTORIE PREVENTIVE E ADATTATE
Relatori
relatore Prof.ssa Nicolini, Ida
Parole chiave
  • attività fisica e Alzheimer
  • demenza di Alzheimer
  • invecchiamento
  • memoria
  • protocollo di attività fisica adattata
Data inizio appello
18/11/2015
Consultabilità
Non consultabile
Data di rilascio
18/11/2055
Riassunto
La demenza di Alzheimer ha, in genere, un inizio subdolo: le persone cominciano a dimenticare alcune cose, per arrivare al punto in cui non riescono più a riconoscere nemmeno i familiari e hanno bisogno di aiuto anche per le attività quotidiane più semplici. La demenza di Alzheimer oggi colpisce circa il 5% delle persone con più di 60 anni e in Italia si stimano circa 500mila ammalati. È la forma più comune di demenza senile, uno stato provocato da una alterazione delle funzioni cerebrali che implica serie difficoltà per il paziente nel condurre le normali attività quotidiane. La malattia colpisce la memoria e le funzioni cognitive, si ripercuote sulla capacità di parlare e di pensare ma può causare anche altri problemi fra cui stati di confusione, cambiamenti di umore e disorientamento spazio-temporale. Nei pazienti affetti da demenza di Alzheimer si osserva una perdita di cellule nervose nelle aree cerebrali vitali per la memoria e per altre funzioni cognitive. Si riscontra, inoltre, un basso livello di quelle sostanze chimiche, come l'acetilcolina, che lavorano come neurotrasmettitori e sono quindi coinvolte nella comunicazione tra le cellule nervose. Il decorso della malattia è lento e in media i pazienti possono vivere fino a 8-10 anni dopo la diagnosi della malattia. Oggi l’unico modo di fare una diagnosi certa di demenza di Alzheimer è attraverso l’identificazione delle placche amiloidi nel tessuto cerebrale, possibile solo con l’autopsia dopo la morte del paziente. Questo significa che durante il decorso della malattia si può fare solo una diagnosi di Alzheimer “possibile” o “probabile”. Come in altre malattie neurodegenerative, la diagnosi precoce è molto importante sia perché offre la possibilità di trattare alcuni sintomi della malattia, sia perché permette al paziente di pianificare il suo futuro, quando ancora è in grado di prendere decisioni. Oggi purtroppo non esistono farmaci in grado di fermare e far regredire la malattia e tutti i trattamenti disponibili puntano a contenerne i sintomi. Per alcuni pazienti, in cui la malattia è in uno stadio lieve o moderato, farmaci come tacrina, donepezil, rivastigmina e galantamina possono aiutare a limitare l’aggravarsi dei sintomi per alcuni mesi. Altra via di ricerca attiva è quella che punta sullo sviluppo di una risposta immunologica contro la malattia cercando di sviluppare un vaccino in grado di contenere la produzione di b-amiloide (il peptide che si aggrega a formare le placche). Fra le varie terapie non farmacologiche proposte per il trattamento della demenza di Alzheimer, la terapia di orientamento alla realtà (ROT) è quella per la quale esistono maggiori evidenze di efficacia (seppure modesta). Questa terapia è finalizzata ad orientare il paziente rispetto alla propria vita personale, all’ambiente e allo spazio che lo circonda tramite stimoli continui di tipo verbale, visivo, scritto e musicale. In letteratura si stanno accumulando evidenze riguardo l’influenza di diversi aspetti dello stile di vita sul declino cognitivo e sul rischio di demenza. Alcuni dati suggeriscono che l’esercizio fisico potrebbe migliorare la performance cognitiva, in particolare le funzioni esecutive e ridurre il rischio di declino cognitivo e demenza negli anziani . Sembrerebbe, infatti, emergere un potenziale effetto protettivo dell’esercizio fisico sul declino cognitivo e l’insorgenza della demenza. Le cadute, la malnutrizione, i disturbi del comportamento e la depressione sono alcune delle complicazioni che si sviluppano nel corso dell’AD. Questi determinano un alto tasso di ospedalizzazione, disabilità, istituzionalizzazione e morte. Alcuni studi randomizzati controllati, evidenziano come l’attività fisica possa essere una chiave per prevenire e gestire tali complicazioni. Sempre più studi stanno dimostrando l’efficacia dell’attività fisica anche in pazienti con AD, andando ad agire non solo sulle abilità cognitive, ma anche sull’umore, sulle abilità funzionali e diminuendo i disturbi comportamentali e quelli legati al sonno. Interessanti sono anche gli studi che propongono un trattamento combinato, ad esempio esercizi cognitivi, fisici e terapia farmacologica. Partendo da questi presupposti la presente tesi mira ad indagare il ruolo di un protocollo di attività fisica adattata in soggetti affetti da malattia di Alzheimer di grado lieve-moderato, studiato e applicato nel “centro diurno Alzheimer” di monte S.Quirico della piana di Lucca. Il gruppo è costituito da 16 pazienti e mostra un miglioramento a livello dell’orientamento spazio-temporale e alle performance delle prove che coinvolgono prevalentemente le funzioni esecutive di controllo. Una maggiore stimolazione e quindi un maggior contatto con altre persone migliora anche l’umore combattendo l’apatia tipica di alcune fasi di queste patologie e di conseguenza la qualità di vita dal punto di vista dei familiari. Infine l’associazione con l’attività fisica permette di migliorare non solo il cammino ma anche la soddisfazione fisica, cognitiva e psicologica. A livello fisico si può osservare nei pazienti una maggiore velocità di esecuzione e precisione degli esercizi, ad esempio in quelli dove veniva chiesto di centrare uno stimolo bersaglio e una migliore coordinazione oculo-motoria.
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