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Archivio digitale delle tesi discusse presso l'Università di Pisa

Tesi etd-10272014-191628


Tipo di tesi
Tesi di laurea magistrale LM5
Autore
NOVI, MARINA
URN
etd-10272014-191628
Titolo
Il bicameralismo in Italia
Dipartimento
GIURISPRUDENZA
Corso di studi
GIURISPRUDENZA
Relatori
relatore Prof. Romboli, Roberto
Parole chiave
  • Nessuna parola chiave trovata
Data inizio appello
02/12/2014
Consultabilità
Completa
Riassunto
Il bicameralismo italiano è, come affermava Meuccio Ruini già nel 1958, un esempio abbastanza raro di «due Camere a quasi doppione»; due rami del medesimo organo del tutto identici, tali da poterli considerare l’uno il duplicato dell’altro, aventi gli stessi poteri, le stesse funzioni e la medesima base di rappresentanza.
In realtà, più che parlare di rarità (come appunto faceva Ruini), sarebbe preferibile parlare di unicità, essendo il nostro un assetto bicamerale caratterizzato da tutta una serie di elementi non riscontrabili in nessun altro Paese europeo ed extraeuropeo.
Nel panorama comparatistico è facile riscontrare orientamenti del tutto contrapposti da quello adottato in Italia, di cui due sono in assoluto i prevalenti: il modello monocamerale da un lato, il modello caratterizzato da profonde distinzioni tra i due rami del Parlamento (o sotto l’aspetto costitutivo o sotto l’aspetto funzionale) dall’altro.
Se guardiamo alla realtà europea, vediamo difatti che dei 28 paesi che oggi compongono l’Unione Europea almeno la meta dispone di un Parlamento monocamerale; l’altra metà si avvale invece di una seconda Camera.
Tra i tredici Stati europei che accolgono un Parlamento bicamerale (Francia, Italia, Polonia, Regno Unito, Spagna, Austria, Belgio, Irlanda, Paesi Bassi, Repubblica Ceca, Slovenia, Germania, Romania), però, solamente cinque prevedono che la Camera alta debba essere composta da personalità elette direttamente dai cittadini; tra questi cinque, poi, soltanto in Polonia e Romania si può dire che la seconda Camera abbia dei poteri legislativi rilevanti.
L’Italia rimane perciò l’unica realtà europea ad avere un sistema parlamentare in cui il Senato risulta del tutto indifferenziato rispetto alla Camera bassa, poiché anch’esso eletto direttamente dai cittadini e poiché esercitante le medesime funzioni previste per l’altra Aula: partecipa al procedimento legislativo, delibera sulla fiducia al governo, istituisce commissioni d’inchiesta e prende parte alle funzioni di controllo, consultive ed elettive.
Risulta quindi davvero molto interessante poter studiare ed approfondire il funzionamento e le problematiche afferenti il nostro «bicameralismo paritario e perfetto», un istituto tipicamente e puramente italiano, nato ben 66 anni fa dall’incontro tra la sapienza dei più grandi costituzionalisti e il compromesso tra le diverse idee espresse dai partiti politici di allora.
Tra l’altro l’assetto indifferenziato del Parlamento nostrano ha sempre appassionato gli esperti di diritto costituzionale, ed è stato altresì fonte ed ispirazione per ampi e numerosi dibattiti, specie per ciò che concerne l’opportunità di una sua revisione, sia sul fronte della rappresentatività della Camera alta (e quindi sulla sua composizione), sia sul fronte delle sue funzioni e dei suoi rapporti con l’Esecutivo.
A bene vedere, la riforma del sistema bicamerale è sicuramente tra i temi più discussi durante tutta la storia della Repubblica, ancor più del voto segreto, della responsabilità ministeriale e delle autonomie locali, ovvero tra tutte quelle classiche questioni che hanno da sempre fortemente impegnato i lavori delle le Aule parlamentari; non a caso nella presente trattazione il tema della riforma assume una rilevanza di primo piano, dalla quale, in verità, è impossibile prescindere.
Si ricorda poi che le soluzioni che sono stata avanzate nel corso di tanti anni con l’intento di superare il bicameralismo paritario e simmetrico hanno cercato di razionalizzare il sistema parlamentare mediante una gamma molto ampia di ipotesi, capace di spaziare dalla semplice revisione della simmetria (ma non del carattere paritario) delle due Aule, fino a modelli di Senato federale, in grado di trasformare la Camera alta del Parlamento in un organo rappresentativo delle autonomie e al contempo capace di completare il progetto di decentramento iniziato con l’approvazione della legge costituzionale 3/2001.
Tuttavia, fino ad oggi nessuno dei tanti disegni di legge presentati è stato in grado di passare il vaglio dei entrambi le Camere e della volontà popolare (è il caso della riforma approvata nella XIV legislatura ma che ebbe esito negativo a seguito del referendum confermativo), e pertanto non è stato possibile ridisegnare la struttura dell’assetto bicamerale italiano come da molti auspicato.
Comunque sia, nonostante i molteplici fallimenti della classe politica e dei Governi che hanno tentato il ridimensionamento costituzionale del nostro Parlamento, la discussione sulla riforma del bicameralismo non ha dato cenno di scemare, ed i disegni di legge per la sua revisione hanno continuato ad essere presentati, tant’è vero che Camera e Senato ne stanno attualmente esaminando uno: quello firmato dal Presidente del Consiglio Matteo Renzi e del Ministro per le riforme costituzionale Maria Elena Boschi.
Al momento il disegno di legge costituzionale è stato licenziato in prima lettura dal Senato della Repubblica, ma la strada per la sua approvazione finale è ancora lunga oltre che incerta, specie per un Governo la cui maggioranza si basa su larghe intese e l’argomento oggetto di discussione è il complesso e spinoso tema del bicameralismo, ove gli orientamenti dottrinali e politici non sono mai riusciti a comporsi, ma al contrario si son confermati estremamente diversificati, proprio come nel lontano 1948.
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