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Archivio digitale delle tesi discusse presso l’Università di Pisa

Tesi etd-10252023-215542


Tipo di tesi
Tesi di laurea magistrale
Autore
PUCCI DANIELE, LARA
URN
etd-10252023-215542
Titolo
Pazuzu e Lamaštu: iconografie e oggetti della demonologia mesopotamica di età neo-assira
Dipartimento
CIVILTA' E FORME DEL SAPERE
Corso di studi
ORIENTALISTICA: EGITTO, VICINO E MEDIO ORIENTE
Relatori
relatore D'Agostino, Anacleto
Parole chiave
  • Mesopotamia; demoni; demonologia; archeologia
Data inizio appello
09/11/2023
Consultabilità
Non consultabile
Data di rilascio
09/11/2093
Riassunto
La tesi è strutturata in cinque capitoli con un catalogo finale, il quale riporta la descrizione e i dati museali dettagliati per ogni singolo oggetto trattato. Nel primo capitolo vi è un’introduzione generale sulla struttura della geografia oltremondana, il soprannaturale mesopotamico e la percezione di questo mondo ultraterreno da parte della popolazione. Viene successivamente spiegata la differenza tra le categorie di “mostro”, “ibrido” e “demone”: mostri e demoni appartengono entrambi alla sfera degli esseri ibridi (Mischwesen), ma hanno delle funzioni diverse. Il mostro ha una funzione protettiva (come, ad esempio, i guardiani delle porte di Nimrud, i Lamassu ), il demone ha invece un carattere violento. In questo caso Pazuzu assume una funzione sia di mostro che di demone, usato come amuleto protettivo rimanendo comunque un’entità che può causare danni; Lamaštu, invece, è un demone a tutti gli effetti (per come viene inteso al giorno d’oggi), causa di malattia e di morte. Risulta quindi doveroso dover giustificare l’uso della parola “demone” applicato a un contesto religioso e culturale diverso dal nostro e in più profondamente differenziato a livello diacronico, geografico e ambientale. Nel caso del Vicino Oriente antico il demoniaco ha definito tutto ciò che non è collegato all’aspetto umano, ma solo successivamente è arrivato ad avere una connotazione negativa poiché percepita diversamente dalle culture successive. Questa definizione è stata usata al fine di semplificare e rendere chiaro l’elaborato, pur tenendo conto che la parola “demone” nel contesto mesopotamico ha un significato molto diverso rispetto a quello comunemente in uso.
Il secondo capitolo è dedicato alla figura del demone Pazuzu, appartenente alla categoria dei Mischwesen, con una doppia funzione: quella di demone violento e di spirito domestico, con funzione apotropaica. Si presenta con la testa leonina, corna caprine, il busto umano, le gambe di rapace e con le ali piumate. Successivamente verrà fatta un’analisi sull’origine del nome, esclusivamente sulla base degli studi di due filologi, E. Frahm e F.A.M. Wiggermann. Essendo una tesi di argomento archeologico e materiale, non ci si inoltrerà in ulteriori interpretazioni filologiche e lessicali. Gli incantesimi hanno un ruolo fondamentale poiché sono presenti, nella maggior parte dei casi, sugli amuleti che raffigurano Pazuzu, dai quali si evince che esso è un demone particolarmente adatto ad allontanare il male ma che possiede anche una forza distruttiva. Per questo motivo esistono due tipi di incantesimi: l’incantesimo standard A che viene utilizzato per avere protezione da Pazuzu e l’incantesimo standard B che viene usato per placare la forza del demone. Viene successivamente proposta anche un’analisi iconografica attraverso i contesti di scavo e quelli museali in modo da attestare le variazioni iconografiche e le sue funzioni a livello apotropaico. Oltre a questo, Pazuzu presenta analogie con entità soprannaturali appartenenti ad altri contesti culturali e temporali, come il dio egiziano Bes e il gigante Huwawa, protettore mostruoso della foresta dei cedri nell’epopea Gilgamesh.
Il terzo capitolo riguarda Lamaštu, demone femminile appartenente alla categoria dei Mischwesen, nota come divoratrice di bambini. La sua figura si presenta con la testa di leonessa, i denti di asino, i seni scoperti - dai quali allatta un maialino e un cagnolino - e le zampe di un rapace. Anche per questo demone viene riportata un’analisi del nome e degli incantesimi, basata sugli studi di W. Farber. Da questi apprendiamo le azioni di questo demone, il quale agisce contro le donne partorienti in modo da rapire il bambino appena nato e avvelenarlo dai suoi seni. Per quanto riguarda l’iconografia, che corrisponde alla descrizione dei testi, essa si evolve nel tempo: i primi amuleti risultano più semplici e con la figura incisa e stilizzata, quelli più recenti sono più elaborati e ricordano la tecnica a bassorilievo usata sulle mura dei palazzi neo-assiri.
Si è presa in esame anche la figura dell’ašipu, tradizionalmente tradotto come “esorcista”. L’ašipu era una carica sacerdotale con funzioni di guaritore, impegnato nell’individuazione delle eventuali cause soprannaturali di malattie e nei conseguenti rituali di guarigione ed esorcismo. Facendo da tramite con gli dèi e altre entità come Pazuzu, l’ašipu realizzava gli amuleti, analizzava i sintomi del malato e procedeva con il rituale anche all’interno dall’abitazione del paziente, proteggendola da future minacce.
Il quarto capitolo è quello dedicato alle scoperte archeologiche che risultano utili a rispondere alla domanda proposta in precedenza: questi oggetti erano utilizzati solo dall’élite neo-assira o anche da un ceto più basso? In questo elaborato si parla di attestazioni primarie, per indicare gli oggetti che rappresentano il demone nella sua forma (da Assur, Nimrud e Tell Sheik Hamad) e di attestazioni secondarie per i materiali citati negli incantesimi e utilizzati contro i demoni, ma che non rappresentano i demoni stessi (da Ninive e Ur). Dal quartiere abitativo neo-assiro di Assur proviene un amuleto rappresentante il demone Lamaštu, ritrovato all’interno di un sarcofago. Dal bitanu del Palazzo Nord Ovest di Nimrud, in particolare del corredo della Tomba I sono stati rinvenuti diversi oggetti raffiguranti Pazuzu. Le altre città, come Tell Sheik Hamad con la statuina rinvenuta all’interno della sala di rappresentanza del Palazzo W, Ninive con delle figurine di cani in argilla sepolte all’ingresso della sala S del Palazzo Nord e Ur con le barchette in bitume provenienti dal cimitero reale, vanno a formare una prima ipotesi: questi amuleti e statuine erano usati in contesti elitari.
Nel quinto e ultimo capitolo si è resa necessaria una selezione museale – anche se risulta decontestualizzata dalla ricerca - per quegli oggetti che risultano provenienti dal commercio d’arte. Verranno tentati dei confronti tra gli elementi provenienti dai contesti archeologici controllati e quelli diffusi dal commercio d’arte, analizzando stilisticamente la cultura materiale. I musei presi in considerazione sono i seguenti: il British Museum di Londra, dal Pergamon Museum di Berlino, il Louvre di Parigi, il Metropolitan Museum of Art di New York, l’Iraq Museum, l’Ashmolean Museum di Oxford, il Chicago Oriental Institute e il Deir ez-Zor Museum in Siria. A questi si aggiunge la collezione privata di Charles-Louise-Marie de l’Ecluse, in Francia. La scelta dei musei è stata motivata primariamente dalla facilità di accesso ai cataloghi presenti online che ha permesso una rapida reperibilità di reperti utili alla ricerca. Gli oggetti scelti, tutti databili al periodo neo-assiro, risultano molto ben conservati e integri, e possono di conseguenza essere usati per un’efficace analisi stilistica dei due demoni.
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