Tesi etd-10252023-194748 |
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Tipo di tesi
Tesi di laurea magistrale
Autore
CONDO', VALENTINA
URN
etd-10252023-194748
Titolo
Renata Boero: quando la natura diventa arte
Dipartimento
CIVILTA' E FORME DEL SAPERE
Corso di studi
STORIA E FORME DELLE ARTI VISIVE, DELLO SPETTACOLO E DEI NUOVI MEDIA
Relatori
relatore Cortesini, Sergio
Parole chiave
- Renata Boero
Data inizio appello
09/11/2023
Consultabilità
Non consultabile
Data di rilascio
09/11/2093
Riassunto
Nel mio elaborato ho approfondito la produzione artistica di Renata Boero, artista contemporanea nata a Genova nel 1936. Gli anni giovanili di Renata Boero sono stati caratterizzati dalla formazione scolastica con Emilio Scanavino (1922-1986), pittore e scultore di fama internazionale appartenente al movimento informale. L’esplorazione segnica di Scanavino raggiunse il grado più intenso a partire dal 1957 con la realizzazione della serie Alfabeto senza fine, opere contraddistinte da una divisione geometrica della tela e dalla presenza di una forte componente concettuale, elementi che si ritrovano nei Cromogrammi di Renata Boero. Le prime opere di questa artista sono databili intorno alla fine degli anni Cinquanta e riproducono paesaggi dipinti en plein air nella campagna ligure secondo un linguaggio non figurativo che evoca quello informale, pur mantenendo una loro autonomia stilistica. L’esordio dell’artista al grande pubblico avvenne nel 1959 in occasione della VIII Quadriennale di Roma, edizione che fu animata da una serie di contestazioni sindacali e da un acceso dibattito artistico sull’arte figurativa e astratta. L’attitudine alla sperimentazione e la volontà di mantenere un percorso artistico originale e indipendente condussero Renata Boero all’adozione di nuovi materiali da utilizzare per fini artistici, quali la plastica, e all’abbandono della pittura ad olio. L’esperienza di restauro presso la Quadreria di Palazzo Rosso di Genova dal 1964 al 1966 fu fondamentale per avviare una riflessione in merito agli elementi costitutivi del quadro, ovvero la tela, il telaio, la cornice e il colore. L’artista intraprese uno studio delle sostanze naturali al fine di ricostruire concettualmente la realtà. Nascono intorno al 1965 i primi esemplari della serie dei Cromogrammi, letteralmente una “scrittura di colori”. Opere di notevoli dimensioni dove la tela ripiegata su se stessa assorbe di volta in volta colori naturali ricavati da elementi vegetali e animali per poi essere esposta all’esterno durante la fase di asciugatura. Renata Boero realizzava in questo modo un azzeramento della pittura tradizionale e attingeva a pratiche secolari di lavorazione dei materiali, simulando di conseguenza una sorta di rituale antico, sacrale e alchemico. Una volta analizzati e approfonditi i commenti di autorevoli critici d’arte che hanno trattato di queste opere, quali Paolo Fossati, Marisa Vescovo, Luciano Caramel, Tommaso Trini, Filiberto Menna, Paolo Biscottini, Achille Bonito Oliva e Marilena Pasquali, ho cercato di suggerire nuovi accostamenti stilistici facendo riferimento alla pittura concettuale di Giorgio Griffa e Marco Gastini ed infine all’arte povera. A partire dalla produzione della serie degli Specchi dal 1974, fino a quella dei Blu di legno del 1985 e degli Enigmi del 1988, Renata Boero cominciò a realizzare con i colori naturali forme misteriose e indefinite, risultato di un sentire meno concettuale, bensì più intimo e improvvisato. Le sue opere conducono a una attenta riflessione sul tempo reale, in divenire, e quello interiore, sul rapporto dell’individuo con la natura che, come lei stessa ha affermato, necessita di «un’osservazione sempre più responsabile e una presa di coscienza e di responsabilità», facendo emergere nuovamente l’impegno sociale e politico che ha da sempre accompagnato la sua carriera.
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