Tesi etd-10252018-114655 |
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Tipo di tesi
Tesi di dottorato di ricerca
Autore
DASCOLA, VINCENZO
URN
etd-10252018-114655
Titolo
Profili costituzionali delle citta metropolitane come enti territoriali di area vasta. Il caso della citta metropolitana di Reggio Calabria.
Settore scientifico disciplinare
IUS/08
Corso di studi
SCIENZE GIURIDICHE
Relatori
tutor Prof. Spadaro, Antonino
Parole chiave
- città metropolitana Reggio Calabria
Data inizio appello
14/11/2018
Consultabilità
Completa
Riassunto
Le città metropolitane, com’è noto, al pari dei Comuni e delle Regioni, vengono definite enti “autonomi” dall’art. 114 della Costituzione novellata dalla l. cost. n. 3 del 18 ottobre 2001, dotati “di propri poteri e funzioni” (da esercitarsi nel rispetto dei princìpi fissati dalla Costituzione) e concorrono assieme allo Stato, a formare la Repubblica. L’avvento delle città metropolitane nel nostro ordinamento è espressione della scelta del legislatore costituente del 2001 di articolare il potere pubblico sul territorio partendo dal “basso”, attraverso un processo di progressivo ricompattamento degli enti territoriali in enti di livello superiore, dai Comuni, sino allo Stato.
Non poche sono state le perplessità iniziali della dottrina in merito alla loro costituzione, e taluno ha persino vaticinato – facile profezia – il loro possibile tradursi nel «prodotto artificiale di scelte di ingegneria amministrativa ed urbanistica», soprattutto qualora non si fosse dato corso con il consenso delle popolazioni interessate, ed in presenza di reali fenomeni di aggregazione sociale ed economica.
Inoltre le Città metropolitane sono enti di rilevanza non solo nazionale, ma anche sovranazionale, visto che l'Unione Europea ad esse destina significative provvidenze economiche nell'ambito della politica comunitaria di coesione.
Viene, così, in rilievo, l’aspetto della natura dell’ente funzionale allo sviluppo della comunità che vive all’interno dei suoi confini territoriali, in quanto recettore privilegiato di specifici fondi comunitari. Sotto l’aspetto da ultimo segnalato, la funzione dell’ente vale a connotare significativamente la sua qualificazione giuridica: non si tratta, dunque, di un mero ente territoriale in cui si articola l’ordinamento autonomistico italiano ovvero di un ente unicamente “politico”, in quanto in grado di esercitare attività di indirizzo politico entro i limiti fissati dalle leggi statali, bensì anche di un ente di «rilevanza sovrana-
zionale, ai fini dell’accesso a specifici fondi comunitari».
La riforma del 2001 sembra che, almeno in parte, abbia colto la sfida lanciata dalle profonde modificazioni della struttura economica e sociale del Paese, in epoca di crisi, quale la nostra, in cui si registrano significative trasformazioni delle grandi categorie del diritto costituzionale. Elementi costitutivi dello Stato come il popolo e, quindi, la cittadinanza – ma anche il territorio e la sovranità – sono in fase di cambiamento e il discorso sulle Città metropolitane, in realtà, è un epifenomeno della più generale metamorfosi del territorio verso la perdita dei suoi confini strutturali abituali, sia nell’accezione di confini in senso tecnico, propriamente dei confini statali, sia quando ci si riferisce ai confini in senso atecnico, all'interno dello Stato, nella dimensione delle autonomie locali.
Questa tendenza alla intraterritorialità, è, in realtà, un'esigenza emersa su diversi piani, anche se poi non si sono realizzati (si pensi al dibattito sulle c.d. macroregioni).
La riflessione sulle città metropolitane, concretamente realizzata attraverso la legge n. 56 del 2014, comunemente nota come legge “Del Rio”, ci porta più da vicino a guardare alla trasformazione del territorio come spazio politico, ossia come centro di riferimento di interessi generali: infatti, in ambito locale, è proprio nella dimensione quotidiana che noi vediamo se, in realtà, la gestione degli interessi della comunità migliora le nostre vite.
È significativo, al riguardo, considerare come la percezione di vivere in un contesto territoriale ben governato, caratterizzato da servizi pubblici adeguati, sia ritenuta fattore di benessere individuale.
Il buon governo e la fiducia nella comunità sono elementi che determinano il livello di benessere di ogni Stato, secondo il “rapporto mondiale sulla felicità”, stilato annualmente, a far data dal 2012, dal UN Sustainable Development Solutions Network.
Nel World Happiness Report del 2018, la Finlandia è balzata al primo posto della classifica dei Paesi più felici, seguita a breve distanza dalla Norvegia, dalla Danimarca, dall’Islanda e dalla Svizzera. La Svezia, altro Stato nordico, è collocata entro la decima posizione. Nonostante gli Stati scandinavi siano unitari e non federali, i loro sistemi di autonomia locale, pur diversamente concepiti, consentono di affermare che l’amministrazione pubblica sia in realtà fortemente “decentrata” per quanto attiene all’erogazione dei servizi pubblici essenziali.
Ora, in questo contesto, l’introduzione nel nostro ordinamento di enti come le Città metropolitane costituisce un elemento che – certo insieme ad altri fattori – consentirebbe all’Italia di entrare nel novero dei “Paesi felici” (o “meno infelici”)? Invero, tutti gli Statuti delle città metropolitane italiane retoricamente anelano, nelle loro dichiarazioni di principio, seppur in maniera diversa, alla felicità delle comunità stanziate sul territorio di area vasta. La realtà, ovviamente, è ben diversa, anche per l’incertezza che aleggia sul nuovo ente. Qual è il modello istituzionale prescelto dal legislatore in attuazione del dettato costituzionale? Si è operata una scelta tra modello funzionale e modello strutturale, oppure la determinazione nel disegnare l’assetto, soprattutto territoriale, dell’ente qui esaminato – mutuandolo dalla preesistente Provincia, di cui ha preso il posto – è il frutto di un’estemporanea decisione di politica legislativa? In questa tesi si porrà l’attenzione sulla disfunzionalità del modello istituzionale adottato, soprattutto nell’ultima parte della ricerca, laddove si studierà con particolare attenzione la città metropolitana di Reggio Calabria, costruita sulle “macerie” della Provincia omonima, e si metteranno in luce i pregi del “modello funzionale” nella prospettiva della auspicata futura creazione, semmai, di una “città metropolitana dello Stretto”, comprensiva dell’intera area di Reggio Calabria e di Messina (e quindi delle città metropolitane reggina e peloritana). Si porranno in evidenza le difficoltà tecnico-giuridiche concernenti la realizzazione della città metropolitana dello Stretto, e si delineeranno i possibili sviluppi futuri, mutuando la prospettiva funzionalistica dell’ente, anche alla luce di alcuni riferimenti comparati. Invero, proprio da questa prospettiva, è sembrato utile alla ricerca esaminare il modello funzionale della città metropolitana che caratterizza, tra l’altro, la Regione metropolitana di Øresund, la quale comprende le aree metropolitane di Malmö, in Svezia, e di Copenaghen, in Danimarca. L’orografia della regione in esame, fortemente caratterizzata dalla presenza di uno stretto spazio di mare che separa la penisola dello Jutland dalla Scania, ha indotto la suggestione di operare un’ardita comparazione con la “regione” dello stretto di Messina, ove insistono due aree metropolitane, quella di Reggio Calabria, e quella messinese. La circostanza che nel Nord Europa si sia riusciti a superare finanche problematiche connesse alla esistenza di confini territoriali “statuali” induce a sperare nell’adozione di un modello simile per la città metropolitana dello Stretto, dove, in realtà, il “confronto” è fra due Regioni, una a Statuto ordinario ed una a Statuto speciale. Ma proprio il riferimento alla concezione dell’esistenza di un modello funzionale di città metropolitana legittima questa proposta di sviluppo istituzionale dell’area comprensiva delle città di Reggio Calabria e Messina, nonché (almeno in parte) delle loro province.
Il modello funzionale di città metropolitana si ritiene sia il più idoneo non solo ad illuminare la connotazione istituzionale, ma soprattutto a far luce sulla natura giuridica di tale ente locale, ancora forse non precisamente delineata. Nell'opinione pubblica, ma anche nell'immaginario di chi non è giurista, la città metropolitana è una specie di “fantasma”, perché non vi è ancora una netta individuazione delle sue funzioni ed una netta differenziazione rispetto a quelle della provincia.
Il fatto che non si sia ragionato su un territorio “idealtipico” della città metropolitana e che si sia stabilito per legge che ci debba essere una sorta di trasposizione del territorio provinciale sul territorio della città metropolitana, non pare sia stata una mossa "strategica", bensì un errore, ripetutosi a distanza di più di settant’anni da quando si decise di prevedere il disegno costituzionale delle Regioni senza tener conto dei dati reali: antropologici, culturali, economici, commerciali, persino della orografia e della storia dei loro territori.
Nondimeno, ciò può essere un bene e può essere un male: il bene è che il legislatore italiano (costituzionale e ordinario) abbia immaginato il nuovo ente; il male è che non abbia, però, predisposto criteri adeguati per la sua concreta definizione in rapporto a parametri minimi uniformi. Non è un caso che, per questo, molti abbiano criticato il fatto che Reggio Calabria sia stata inserita tra le città metropolitane: evidente, plateale, è la sua diversità da molti punti di vista rispetto a tutte le altre.
Tuttavia, siccome non solo gli studi dottrinali, prevalentemente comparatistici, ma anche la legge attuativa della riforma del titolo V della Costituzione non ci dà un quadro idealtipico di città metropolitana dal punto di vista territoriale, strutturale, orografico, di popolazione, allora noi possiamo immaginare che la città metropolitana non è tanto il suo territorio ma è la sua “funzione”.
Dunque si pone il problema dell’individuazione del τέλος di questo ente di area vasta.
E si giunge alla conclusione di ritenere che – almeno rebus sic stantibus – esso si concretizzi nella valorizzazione e differenziazione di un territorio specifico, caratterizzato da un centro urbano (genericamente) significativo, rispetto a tutti gli altri, e della sua gestione univoca attraverso la valorizzazione delle differenziazioni interne attraverso le c.d. “zone omogenee”. Sembrerebbe registrarsi, invero, una sorta di gioco di specchi tra omogeneità e differenziazione che traduce i principi dell'art. 118 della Costituzione per la prima volta in un modo nuovo, inedito, non si sa quanto consapevolmente condotto da chi ha scritto la legge c.d. Del Rio. Poiché il compito del giurista è anche quello, ove possibile, di ricondurre a razionalità l'opera del legislatore, dovremo cercare di interpretare la l. n. 56 del 2014 nel modo più razionale, anzi “ragionevole”, possibile.
In questa prospettiva forse è possibile vedere nella città metropolitana di Reggio Calabria l'attuazione di un principio che nella Costituzione purtroppo non c'è più: il principio della valorizzazione del Mezzogiorno e delle isole, che era scritto nel vecchio art. 119, ma che poi è stato cancellato perché considerato qualcosa di antico e di superato nella erronea convinzione che basta cancellare la parola perché sparisca il problema. Purtroppo le cose non stanno così. È interessante notare che in alcuni Statuti delle città metropolitane, come in quello della città metropolitana di Napoli, riaffiori la parola «Mezzogiorno». Parrebbe che in queste “mini costituzioni” – perché la definizione che Martines aveva dato degli Statuti regionali, che era anche all'epoca un po' polemica, si adatta molto bene agli Statuti delle tante città metropolitane – troviamo a volte affermazioni un po’ retoriche: si parla di “felicità, di “bellezza”, di “cura”, ecc. Per fortuna non mancano, però, anche termini giuridicamente rilevanti (“valorizzazione”, “differenziazione”, “adeguatezza” e…, in fondo, come si ricordava, pure la parola “Mezzogiorno”).
L’iter argomentativo che si è inteso sviluppare nel presente lavoro muove dalla disamina della disciplina comunitaria concernente la politica di coesione con precipuo riguardo al ruolo che all’interno di essa svolgono le aree metropolitane; quindi si snoda attraverso la disamina dello scenario normativo italiano, delineando diacronicamente la disciplina positiva di questi enti ed analizzandone, tra l’altro, la forma di governo; si porrà poi attenzione, in particolare, ai profili di incostituzionalità di alcuni aspetti della normativa sulle città metropolitane e l’analisi, quindi, alla fine, si focalizzerà sul “caso” della città metropolitana di Reggio Calabria e sulla necessità di applicare alla stessa il “modello funzionale”, perché si ritiene che tale ente dovrebbe andare oltre i limiti del territorio provinciale, e guardare all’area dello Stretto che la separa dalla città (anch’essa metropolitana) di Messina.
Non poche sono state le perplessità iniziali della dottrina in merito alla loro costituzione, e taluno ha persino vaticinato – facile profezia – il loro possibile tradursi nel «prodotto artificiale di scelte di ingegneria amministrativa ed urbanistica», soprattutto qualora non si fosse dato corso con il consenso delle popolazioni interessate, ed in presenza di reali fenomeni di aggregazione sociale ed economica.
Inoltre le Città metropolitane sono enti di rilevanza non solo nazionale, ma anche sovranazionale, visto che l'Unione Europea ad esse destina significative provvidenze economiche nell'ambito della politica comunitaria di coesione.
Viene, così, in rilievo, l’aspetto della natura dell’ente funzionale allo sviluppo della comunità che vive all’interno dei suoi confini territoriali, in quanto recettore privilegiato di specifici fondi comunitari. Sotto l’aspetto da ultimo segnalato, la funzione dell’ente vale a connotare significativamente la sua qualificazione giuridica: non si tratta, dunque, di un mero ente territoriale in cui si articola l’ordinamento autonomistico italiano ovvero di un ente unicamente “politico”, in quanto in grado di esercitare attività di indirizzo politico entro i limiti fissati dalle leggi statali, bensì anche di un ente di «rilevanza sovrana-
zionale, ai fini dell’accesso a specifici fondi comunitari».
La riforma del 2001 sembra che, almeno in parte, abbia colto la sfida lanciata dalle profonde modificazioni della struttura economica e sociale del Paese, in epoca di crisi, quale la nostra, in cui si registrano significative trasformazioni delle grandi categorie del diritto costituzionale. Elementi costitutivi dello Stato come il popolo e, quindi, la cittadinanza – ma anche il territorio e la sovranità – sono in fase di cambiamento e il discorso sulle Città metropolitane, in realtà, è un epifenomeno della più generale metamorfosi del territorio verso la perdita dei suoi confini strutturali abituali, sia nell’accezione di confini in senso tecnico, propriamente dei confini statali, sia quando ci si riferisce ai confini in senso atecnico, all'interno dello Stato, nella dimensione delle autonomie locali.
Questa tendenza alla intraterritorialità, è, in realtà, un'esigenza emersa su diversi piani, anche se poi non si sono realizzati (si pensi al dibattito sulle c.d. macroregioni).
La riflessione sulle città metropolitane, concretamente realizzata attraverso la legge n. 56 del 2014, comunemente nota come legge “Del Rio”, ci porta più da vicino a guardare alla trasformazione del territorio come spazio politico, ossia come centro di riferimento di interessi generali: infatti, in ambito locale, è proprio nella dimensione quotidiana che noi vediamo se, in realtà, la gestione degli interessi della comunità migliora le nostre vite.
È significativo, al riguardo, considerare come la percezione di vivere in un contesto territoriale ben governato, caratterizzato da servizi pubblici adeguati, sia ritenuta fattore di benessere individuale.
Il buon governo e la fiducia nella comunità sono elementi che determinano il livello di benessere di ogni Stato, secondo il “rapporto mondiale sulla felicità”, stilato annualmente, a far data dal 2012, dal UN Sustainable Development Solutions Network.
Nel World Happiness Report del 2018, la Finlandia è balzata al primo posto della classifica dei Paesi più felici, seguita a breve distanza dalla Norvegia, dalla Danimarca, dall’Islanda e dalla Svizzera. La Svezia, altro Stato nordico, è collocata entro la decima posizione. Nonostante gli Stati scandinavi siano unitari e non federali, i loro sistemi di autonomia locale, pur diversamente concepiti, consentono di affermare che l’amministrazione pubblica sia in realtà fortemente “decentrata” per quanto attiene all’erogazione dei servizi pubblici essenziali.
Ora, in questo contesto, l’introduzione nel nostro ordinamento di enti come le Città metropolitane costituisce un elemento che – certo insieme ad altri fattori – consentirebbe all’Italia di entrare nel novero dei “Paesi felici” (o “meno infelici”)? Invero, tutti gli Statuti delle città metropolitane italiane retoricamente anelano, nelle loro dichiarazioni di principio, seppur in maniera diversa, alla felicità delle comunità stanziate sul territorio di area vasta. La realtà, ovviamente, è ben diversa, anche per l’incertezza che aleggia sul nuovo ente. Qual è il modello istituzionale prescelto dal legislatore in attuazione del dettato costituzionale? Si è operata una scelta tra modello funzionale e modello strutturale, oppure la determinazione nel disegnare l’assetto, soprattutto territoriale, dell’ente qui esaminato – mutuandolo dalla preesistente Provincia, di cui ha preso il posto – è il frutto di un’estemporanea decisione di politica legislativa? In questa tesi si porrà l’attenzione sulla disfunzionalità del modello istituzionale adottato, soprattutto nell’ultima parte della ricerca, laddove si studierà con particolare attenzione la città metropolitana di Reggio Calabria, costruita sulle “macerie” della Provincia omonima, e si metteranno in luce i pregi del “modello funzionale” nella prospettiva della auspicata futura creazione, semmai, di una “città metropolitana dello Stretto”, comprensiva dell’intera area di Reggio Calabria e di Messina (e quindi delle città metropolitane reggina e peloritana). Si porranno in evidenza le difficoltà tecnico-giuridiche concernenti la realizzazione della città metropolitana dello Stretto, e si delineeranno i possibili sviluppi futuri, mutuando la prospettiva funzionalistica dell’ente, anche alla luce di alcuni riferimenti comparati. Invero, proprio da questa prospettiva, è sembrato utile alla ricerca esaminare il modello funzionale della città metropolitana che caratterizza, tra l’altro, la Regione metropolitana di Øresund, la quale comprende le aree metropolitane di Malmö, in Svezia, e di Copenaghen, in Danimarca. L’orografia della regione in esame, fortemente caratterizzata dalla presenza di uno stretto spazio di mare che separa la penisola dello Jutland dalla Scania, ha indotto la suggestione di operare un’ardita comparazione con la “regione” dello stretto di Messina, ove insistono due aree metropolitane, quella di Reggio Calabria, e quella messinese. La circostanza che nel Nord Europa si sia riusciti a superare finanche problematiche connesse alla esistenza di confini territoriali “statuali” induce a sperare nell’adozione di un modello simile per la città metropolitana dello Stretto, dove, in realtà, il “confronto” è fra due Regioni, una a Statuto ordinario ed una a Statuto speciale. Ma proprio il riferimento alla concezione dell’esistenza di un modello funzionale di città metropolitana legittima questa proposta di sviluppo istituzionale dell’area comprensiva delle città di Reggio Calabria e Messina, nonché (almeno in parte) delle loro province.
Il modello funzionale di città metropolitana si ritiene sia il più idoneo non solo ad illuminare la connotazione istituzionale, ma soprattutto a far luce sulla natura giuridica di tale ente locale, ancora forse non precisamente delineata. Nell'opinione pubblica, ma anche nell'immaginario di chi non è giurista, la città metropolitana è una specie di “fantasma”, perché non vi è ancora una netta individuazione delle sue funzioni ed una netta differenziazione rispetto a quelle della provincia.
Il fatto che non si sia ragionato su un territorio “idealtipico” della città metropolitana e che si sia stabilito per legge che ci debba essere una sorta di trasposizione del territorio provinciale sul territorio della città metropolitana, non pare sia stata una mossa "strategica", bensì un errore, ripetutosi a distanza di più di settant’anni da quando si decise di prevedere il disegno costituzionale delle Regioni senza tener conto dei dati reali: antropologici, culturali, economici, commerciali, persino della orografia e della storia dei loro territori.
Nondimeno, ciò può essere un bene e può essere un male: il bene è che il legislatore italiano (costituzionale e ordinario) abbia immaginato il nuovo ente; il male è che non abbia, però, predisposto criteri adeguati per la sua concreta definizione in rapporto a parametri minimi uniformi. Non è un caso che, per questo, molti abbiano criticato il fatto che Reggio Calabria sia stata inserita tra le città metropolitane: evidente, plateale, è la sua diversità da molti punti di vista rispetto a tutte le altre.
Tuttavia, siccome non solo gli studi dottrinali, prevalentemente comparatistici, ma anche la legge attuativa della riforma del titolo V della Costituzione non ci dà un quadro idealtipico di città metropolitana dal punto di vista territoriale, strutturale, orografico, di popolazione, allora noi possiamo immaginare che la città metropolitana non è tanto il suo territorio ma è la sua “funzione”.
Dunque si pone il problema dell’individuazione del τέλος di questo ente di area vasta.
E si giunge alla conclusione di ritenere che – almeno rebus sic stantibus – esso si concretizzi nella valorizzazione e differenziazione di un territorio specifico, caratterizzato da un centro urbano (genericamente) significativo, rispetto a tutti gli altri, e della sua gestione univoca attraverso la valorizzazione delle differenziazioni interne attraverso le c.d. “zone omogenee”. Sembrerebbe registrarsi, invero, una sorta di gioco di specchi tra omogeneità e differenziazione che traduce i principi dell'art. 118 della Costituzione per la prima volta in un modo nuovo, inedito, non si sa quanto consapevolmente condotto da chi ha scritto la legge c.d. Del Rio. Poiché il compito del giurista è anche quello, ove possibile, di ricondurre a razionalità l'opera del legislatore, dovremo cercare di interpretare la l. n. 56 del 2014 nel modo più razionale, anzi “ragionevole”, possibile.
In questa prospettiva forse è possibile vedere nella città metropolitana di Reggio Calabria l'attuazione di un principio che nella Costituzione purtroppo non c'è più: il principio della valorizzazione del Mezzogiorno e delle isole, che era scritto nel vecchio art. 119, ma che poi è stato cancellato perché considerato qualcosa di antico e di superato nella erronea convinzione che basta cancellare la parola perché sparisca il problema. Purtroppo le cose non stanno così. È interessante notare che in alcuni Statuti delle città metropolitane, come in quello della città metropolitana di Napoli, riaffiori la parola «Mezzogiorno». Parrebbe che in queste “mini costituzioni” – perché la definizione che Martines aveva dato degli Statuti regionali, che era anche all'epoca un po' polemica, si adatta molto bene agli Statuti delle tante città metropolitane – troviamo a volte affermazioni un po’ retoriche: si parla di “felicità, di “bellezza”, di “cura”, ecc. Per fortuna non mancano, però, anche termini giuridicamente rilevanti (“valorizzazione”, “differenziazione”, “adeguatezza” e…, in fondo, come si ricordava, pure la parola “Mezzogiorno”).
L’iter argomentativo che si è inteso sviluppare nel presente lavoro muove dalla disamina della disciplina comunitaria concernente la politica di coesione con precipuo riguardo al ruolo che all’interno di essa svolgono le aree metropolitane; quindi si snoda attraverso la disamina dello scenario normativo italiano, delineando diacronicamente la disciplina positiva di questi enti ed analizzandone, tra l’altro, la forma di governo; si porrà poi attenzione, in particolare, ai profili di incostituzionalità di alcuni aspetti della normativa sulle città metropolitane e l’analisi, quindi, alla fine, si focalizzerà sul “caso” della città metropolitana di Reggio Calabria e sulla necessità di applicare alla stessa il “modello funzionale”, perché si ritiene che tale ente dovrebbe andare oltre i limiti del territorio provinciale, e guardare all’area dello Stretto che la separa dalla città (anch’essa metropolitana) di Messina.
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