Tesi etd-10242011-095943 |
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Tipo di tesi
Tesi di laurea specialistica
Autore
RICCI, SARA
URN
etd-10242011-095943
Titolo
The Mind-Game films
Dipartimento
LETTERE E FILOSOFIA
Corso di studi
CINEMA TEATRO PRODUZIONE MULTIMEDIALE
Relatori
relatore Prof. Cuccu, Lorenzo
Parole chiave
- film
- genere
- mind-game
Data inizio appello
07/11/2011
Consultabilità
Non consultabile
Data di rilascio
07/11/2051
Riassunto
Negli ultimi anni del Novecento e in particolare dalla fine degli anni Novanta, nell’ambito delle produzioni mainstream del cinema hollywoodiano, si è osservato un mutamento delle strategie narrative convenzionali, volto nella direzione di un progressivo incremento della complessità diegetica dei film. Tale fenomeno, a ben vedere, si inserisce nell’orizzonte di un ben più ampio cambiamento in corso nella cultura occidentale, in cui la linearità della lettura e quei principi di organizzazione della fabula validi a partire dalla Poetica di Aristotele, sembrano lasciare il posto a forme nuove di connessione fattuale.
“Temporalità paradossali, punti di vista impossibili, falsi flashback, multiversi diegetici e falsi narratori” popolano i testi filmici di questa recente tendenza del cinema, alla quale Thomas Elsaesser attribuisce la denominazione di mind-game film. Tale denominazione, come spiega lo stesso Elsaesser, deriva dalla modalità ludica con cui questi film si relazionano con lo spettatore, laddove essi “giocano” con la propria audience, nascondendo o presentando ambiguamente alcune cruciali informazioni riguardanti la vicenda narrativa In questo modo pellicole profondamente eterogenee per genere, nazionalità e produzione, si trovano accumunate per via dell’adozione di una struttura narrativa labirintica, che mette in discussione le categorie convenzionali della diegesi, mentendo sia allo spettatore che ai personaggi stessi. Così, da I soliti sospetti (B: Singer, 1995), a Fight Club (Fincher, 1999), a Memento (C: Noland, 2000), a Il sesto senso (M: Night Shyamalan, 1999), a Beautiful mind (R: Howard, 2001) a The others (Amenabar, 2001), ci troviamo a confronto con protagonisti affetti da patologie mentali o da condizioni post-traumatiche, le quali però il più delle volte non investono soltanto la vicenda narrativa, ma anche lo stesso impianto formale del film. Si tratta di un “gioco” messo in atto soprattutto mediante un procedimento di disarticolazione del punto di vista spettatoriale, attraverso il quale vengono messe in discussione le categorie stesse di “vero” e “falso”: ciò con cui si gioca, infatti, è una relativizzazione della prospettiva di chi guarda, qui delineata semplicemente come una delle possibili, e dunque anche possibilmente falsa. Siamo lontani dalla tradizionale relazione tra schermo e spettatore e invece immersi i una dinamica che rivela tutta la sua forza nell’epilogo del film, durante il quale veniamo sottoposti non a un semplice colpo di scena, bensì ad un completo capovolgimento delle condizioni narrative, che stravolge la credenza dello spettatore e lo rimanda ad una diversa modalità di visione del film, fondata sul “dubbio radicale e iperbolico”.
“Temporalità paradossali, punti di vista impossibili, falsi flashback, multiversi diegetici e falsi narratori” popolano i testi filmici di questa recente tendenza del cinema, alla quale Thomas Elsaesser attribuisce la denominazione di mind-game film. Tale denominazione, come spiega lo stesso Elsaesser, deriva dalla modalità ludica con cui questi film si relazionano con lo spettatore, laddove essi “giocano” con la propria audience, nascondendo o presentando ambiguamente alcune cruciali informazioni riguardanti la vicenda narrativa In questo modo pellicole profondamente eterogenee per genere, nazionalità e produzione, si trovano accumunate per via dell’adozione di una struttura narrativa labirintica, che mette in discussione le categorie convenzionali della diegesi, mentendo sia allo spettatore che ai personaggi stessi. Così, da I soliti sospetti (B: Singer, 1995), a Fight Club (Fincher, 1999), a Memento (C: Noland, 2000), a Il sesto senso (M: Night Shyamalan, 1999), a Beautiful mind (R: Howard, 2001) a The others (Amenabar, 2001), ci troviamo a confronto con protagonisti affetti da patologie mentali o da condizioni post-traumatiche, le quali però il più delle volte non investono soltanto la vicenda narrativa, ma anche lo stesso impianto formale del film. Si tratta di un “gioco” messo in atto soprattutto mediante un procedimento di disarticolazione del punto di vista spettatoriale, attraverso il quale vengono messe in discussione le categorie stesse di “vero” e “falso”: ciò con cui si gioca, infatti, è una relativizzazione della prospettiva di chi guarda, qui delineata semplicemente come una delle possibili, e dunque anche possibilmente falsa. Siamo lontani dalla tradizionale relazione tra schermo e spettatore e invece immersi i una dinamica che rivela tutta la sua forza nell’epilogo del film, durante il quale veniamo sottoposti non a un semplice colpo di scena, bensì ad un completo capovolgimento delle condizioni narrative, che stravolge la credenza dello spettatore e lo rimanda ad una diversa modalità di visione del film, fondata sul “dubbio radicale e iperbolico”.
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