Tesi etd-10232023-144905 |
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Tipo di tesi
Tesi di laurea magistrale LM6
Autore
PIRAS, VALENTINA
URN
etd-10232023-144905
Titolo
Encefaliti autoimmuni: manifestazioni acute e follow-up a lungo termine
Dipartimento
RICERCA TRASLAZIONALE E DELLE NUOVE TECNOLOGIE IN MEDICINA E CHIRURGIA
Corso di studi
MEDICINA E CHIRURGIA
Relatori
relatore Prof. Ceravolo, Roberto
correlatore Dott.ssa Pizzanelli, Chiara
correlatore Dott.ssa Pizzanelli, Chiara
Parole chiave
- autoanticorpi neuronali
- encefalite autoimmune
- encefalite limbica
- mRS
- outcome
- sintomi neuropsichiatrici
Data inizio appello
07/11/2023
Consultabilità
Non consultabile
Data di rilascio
07/11/2093
Riassunto
Le encefaliti autoimmuni (EA) comprendono un gruppo di disordini infiammatori non infettivi immuno-mediati.
Se le prime descrizioni di EA, risalenti agli anni ’80 del secolo scorso, hanno riguardato condizioni paraneoplastiche correlate ad anticorpi contro antigeni onconeurali intracellulari, nel corso degli ultimi vent’anni sono state identificate una serie di EA determinate da anticorpi contro domini extracellulari di proteine neurogliali. Nel loro complesso, queste ultime forme hanno un minor grado di associazione con le neoplasie e spesso hanno un’origine indeterminata.
In generale, le EA si manifestano con sintomi neurologici e psichiatrici, i quali possono avere un’intensità variabile, da modesta a molto grave con conseguente rischio di vita nella fase acuta. I sintomi della fase florida sono diversi in base alla localizzazione anatomica dell’EA, correlata all’espressione regionale dell’antigene-target. L’outcome di lungo termine delle EA è anch’esso variabile, spaziando da disabilità neurologiche permanenti - consistenti in deficit della memoria, crisi epilettiche, difficoltà nella deambulazione - a recuperi completi della condizione pre-esistente. Come fattori prognostici di lungo termine, il trattamento precoce con immunoterapia e la rimozione della neoplasia, quando presente, rappresentano fattori associati ad una buona prognosi. In letteratura, altri fattori prognostici chiaramente associati ad outcome favorevole o sfavorevole non sono ben definiti, verosimilmente anche per il fatto che, considerata la rarità delle EA, gli studi clinici raccolgono piccole coorti di pazienti.
L’obiettivo del presente lavoro è stato quello di analizzare retrospettivamente le manifestazioni acute di malattia e i dati di outcome in una popolazione di soggetti con EA diagnosticata presso la U.O. Neurologia dell’Azienda Ospedaliero-Universitaria Pisana tra agosto 2014 e aprile 2023. Oltre alle manifestazioni cliniche, sono stati esaminati i dati bio-umorali, elettrofisiologici e di neuroimmagine nella fase acuta e nel follow-up.
Sono stati identificati 22 soggetti con EA (12 di sesso maschile e 10 di sesso femminile, età media all’esordio 61 ± 15 anni), tutti ricoverati presso la U.O. Neurologia dell’Azienda Ospedaliero-Universitaria Pisana. La durata del follow-up, disponibile per 21 di essi, è compresa tra 12 e 225 settimane con una media di 110 ± 94,2 settimane.
In base alla classificazione anatomica delle EA, nella casistica presentata, si sono individuati: i) 15 soggetti con EA a sede limbica (5 con autoanticorpo verso LGI1; 3 con autoanticorpo verso CASPR2; 2 con autoanticorpi verso GluR3; 1 con autoanticorpo verso il recettore GABA-B; 1 con autoanticorpo verso Hu combinata con poliradicoloneuropatia; 3 forme sieronegative, delle quali 1 con una forma limbica combinata con mielite cervico-dorsale); ii) 2 soggetti con EA a sede cortico-sottocorticale (entrambi con autoanticorpi verso il recettore NMDA); iii) 1 soggetto con EA a sede diencefalica (anti-Ma2); iv) 4 soggetti con EA cerebellare o degenerazione cerebellare, di cui 3 sieronegativi e 1 con autoanticorpo verso ZIC4.
Le manifestazioni acute di malattia sono state distinte in 7 gruppi: sintomi psichiatrici, sintomi cognitivi, crisi epilettiche, disturbi del sonno, disordini del movimento, disturbi sensoriali, sintomi cerebellari.
Globalmente, 13/22 soggetti (59,1%) hanno sviluppato sintomi psichiatrici (labilità emotiva, cambiamenti di personalità, agitazione psicomotoria, allucinazioni), 18/22 (81,8%) sintomi cognitivi (confusione, disorientamento spazio-temporale, deficit di memoria, soprattutto di fissazione), 12/22 (54,5%) crisi epilettiche (sia focali con compromissione della consapevolezza che generalizzate tonico-cloniche), 5/22 (22,7%) disturbi del sonno, 5/22 (22,7%) disordini del movimento (crisi facio-distoniche, discinesie oro-buccali), 4/22 (18,2%) disturbi sensoriali (parestesie/disestesie) e 4/22 pazienti (18,2%) sintomi cerebellari con andamento tipico della sindrome cerebellare rapidamente progressiva (atassia, nistagmo, disartria).
Al follow-up 4/21 soggetti (19%) sono andati incontro a decesso mentre 2/21 (9,6%) hanno avuto un recupero funzionale completo. I restanti 15/21 (71,4%) hanno riportato sequele neurologiche, e di essi 2 (13,3%) hanno sviluppato epilessia cronica. Una paziente è stata persa al follow-up. Inoltre, nel 53% dei pazienti sopravvissuti alla fase acuta (9/17), la RM encefalo di controllo ha permesso di osservare un’evoluzione verso la sclerosi ippocampale, l’atrofia corticale o cerebellare. Complessivamente, 5/17 (29,4%) hanno manifestato, nel corso del follow-up, una recidiva. Il 35,3% dei soggetti ha ripreso l’attività lavorativa.
Per analizzare i dati clinici e identificare tra di essi eventuali fattori prognostici, è stato definito l’outcome di ciascuna EA utilizzando la scala modificata di Rankin, mRS, come indicatore semplificato di gravità della disabilità, applicato sia alla fase acuta che al follow up.
Tale scala di valutazione, utilizzata comunemente per misurare il grado di disabilità o dipendenza nelle attività quotidiane di persone che hanno subito un evento neurologico acuto, è largamente impiegata anche nell’ambito delle EA. La scala mRS ha un punteggio da 0 a 6, dove il punteggio minimo corrisponde alla piena salute mentre quello massimo indica la morte del paziente; i punteggi intermedi si riferiscono a gradi intermedi di disabilità, secondo le seguenti caratteristiche: 1 = nessuna disabilità significativa a dispetto di qualche sintomo all’esame clinico (il soggetto è in grado di svolgere tutte le attività usuali); 2 = disabilità lieve (il soggetto non riesce più a svolgere tutte le attività precedenti, ma è autonomo nel camminare e nelle attività della vita quotidiana); 3 = disabilità moderata (il soggetto richiede qualche aiuto nelle attività della vita quotidiana, ma cammina senza assistenza), 4 = disabilità moderatamente grave (il soggetto non è più in grado di camminare senza assistenza né di badare alle proprie necessità corporee senza assistenza), 5 = disabilità grave (il soggetto è costretto a letto, incontinente e bisognoso di assistenza infermieristica e di attenzione costante).
In base al punteggio della scala mRS all’ultima visita di controllo, espressione per ogni soggetto dell’outcome a lungo termine, i pazienti sono stati distinti in due gruppi: outcome favorevole (0-2) e outcome sfavorevole (3-6). In particolare, 11/21 avevano punteggi compresi nell’intervallo 0-2, 9/21 avevano punteggi compresi nell’intervallo 3-6; una paziente è stata persa al follow up.
Dall’analisi statistica condotta sui 22 pazienti è emerso che l’età avanzata (p = 0,071), la presenza di neoplasia (p = 0,041), la mancata risposta all’immunoterapia di prima linea (p = 0,149) e la presenza di sintomi cerebellari (p = 0,111), sono fattori associati ad un peggior outcome a lungo termine, indipendentemente dall’eziologia, dall’autoanticorpo e dalla sede anatomica del’EA. Riguardo alla presenza di sintomi cerebellari come fattore predittivo sfavorevole, va detto che benché nella nostra casistica vi siano solo 4 soggetti con degenerazione cerebellare subacuta, essi sono tutti affetti da sindromi paraneoplastiche con outcome sempre sfavorevole e questo aspetto è certamente rilevante nell’analisi statistica.
Analizzando separatamente i 15 pazienti affetti da encefalite limbica, la forma di EA più rappresentata nella nostra casistica, abbiamo osservato un buon outcome in 9/15 con punteggi mRS di 0-2 e un outcome sfavorevole in 6/15 con punteggi mRS di 3-6. Mediante l’impiego del test esatto di Fisher è emerso che l’assenza di sintomi psichiatrici (p = 0,101) la presenza di disturbi del movimento all’esordio (p > 0,2) e l’assenza di recidive (p = 0,095) sono fattori associati ad un buon outcome a lungo termine. In questo stesso gruppo di pazienti, invece, la presenza di bande oligoclonali su liquor (p = 0,022), la presenza di neoplasie (p = 0,242) e la mancata risposta all’immunoterapia di prima linea (p = 0,115) sono fattori associati ad un peggior outcome. Ancora nell’ambito delle forme limbiche, per quanto riguarda l’analisi dei fattori continui, l’età avanzata (p = 0,056), il tempo tra la comparsa dei sintomi e la diagnosi (p = 0,182), la durata del ricovero (p = 0,077) e l’mRS al picco, quindi la severità della patologia in fase acuta (p = 0,032), sono associati ad un peggior outcome a lungo termine.
In linea generale, relativamente alle EA nel loro complesso, possiamo dire che soggetti più anziani che sviluppano encefaliti paraneoplastiche e non rispondono all’immunoterapia di prima linea tendono ad avere un peggior andamento nel tempo. Nelle forme limbiche, in particolare, oltre ai fattori sopramenzionati, il ritardo nella diagnosi e la severità della malattia in fase acuta rappresentano fattori importanti di prognosi.
In conclusione, conoscere le più comuni sindromi associate ad EA e definire i principali fattori in grado di influenzarne la prognosi, anche all’interno di uno stesso sottotipo di EA, permette ai clinici di stimare il decorso clinico della patologia e personalizzare l’approccio terapeutico, selezionando quei pazienti con forme di EA più aggressive o con fattori prognostici sfavorevoli che potrebbero beneficiare di un trattamento più aggressivo.
In tal senso, studi clinici multicentrici -che raccolgano casistiche significative di queste rare patologie - potranno aiutare nel futuro a definire la migliore gestione possibile.
Se le prime descrizioni di EA, risalenti agli anni ’80 del secolo scorso, hanno riguardato condizioni paraneoplastiche correlate ad anticorpi contro antigeni onconeurali intracellulari, nel corso degli ultimi vent’anni sono state identificate una serie di EA determinate da anticorpi contro domini extracellulari di proteine neurogliali. Nel loro complesso, queste ultime forme hanno un minor grado di associazione con le neoplasie e spesso hanno un’origine indeterminata.
In generale, le EA si manifestano con sintomi neurologici e psichiatrici, i quali possono avere un’intensità variabile, da modesta a molto grave con conseguente rischio di vita nella fase acuta. I sintomi della fase florida sono diversi in base alla localizzazione anatomica dell’EA, correlata all’espressione regionale dell’antigene-target. L’outcome di lungo termine delle EA è anch’esso variabile, spaziando da disabilità neurologiche permanenti - consistenti in deficit della memoria, crisi epilettiche, difficoltà nella deambulazione - a recuperi completi della condizione pre-esistente. Come fattori prognostici di lungo termine, il trattamento precoce con immunoterapia e la rimozione della neoplasia, quando presente, rappresentano fattori associati ad una buona prognosi. In letteratura, altri fattori prognostici chiaramente associati ad outcome favorevole o sfavorevole non sono ben definiti, verosimilmente anche per il fatto che, considerata la rarità delle EA, gli studi clinici raccolgono piccole coorti di pazienti.
L’obiettivo del presente lavoro è stato quello di analizzare retrospettivamente le manifestazioni acute di malattia e i dati di outcome in una popolazione di soggetti con EA diagnosticata presso la U.O. Neurologia dell’Azienda Ospedaliero-Universitaria Pisana tra agosto 2014 e aprile 2023. Oltre alle manifestazioni cliniche, sono stati esaminati i dati bio-umorali, elettrofisiologici e di neuroimmagine nella fase acuta e nel follow-up.
Sono stati identificati 22 soggetti con EA (12 di sesso maschile e 10 di sesso femminile, età media all’esordio 61 ± 15 anni), tutti ricoverati presso la U.O. Neurologia dell’Azienda Ospedaliero-Universitaria Pisana. La durata del follow-up, disponibile per 21 di essi, è compresa tra 12 e 225 settimane con una media di 110 ± 94,2 settimane.
In base alla classificazione anatomica delle EA, nella casistica presentata, si sono individuati: i) 15 soggetti con EA a sede limbica (5 con autoanticorpo verso LGI1; 3 con autoanticorpo verso CASPR2; 2 con autoanticorpi verso GluR3; 1 con autoanticorpo verso il recettore GABA-B; 1 con autoanticorpo verso Hu combinata con poliradicoloneuropatia; 3 forme sieronegative, delle quali 1 con una forma limbica combinata con mielite cervico-dorsale); ii) 2 soggetti con EA a sede cortico-sottocorticale (entrambi con autoanticorpi verso il recettore NMDA); iii) 1 soggetto con EA a sede diencefalica (anti-Ma2); iv) 4 soggetti con EA cerebellare o degenerazione cerebellare, di cui 3 sieronegativi e 1 con autoanticorpo verso ZIC4.
Le manifestazioni acute di malattia sono state distinte in 7 gruppi: sintomi psichiatrici, sintomi cognitivi, crisi epilettiche, disturbi del sonno, disordini del movimento, disturbi sensoriali, sintomi cerebellari.
Globalmente, 13/22 soggetti (59,1%) hanno sviluppato sintomi psichiatrici (labilità emotiva, cambiamenti di personalità, agitazione psicomotoria, allucinazioni), 18/22 (81,8%) sintomi cognitivi (confusione, disorientamento spazio-temporale, deficit di memoria, soprattutto di fissazione), 12/22 (54,5%) crisi epilettiche (sia focali con compromissione della consapevolezza che generalizzate tonico-cloniche), 5/22 (22,7%) disturbi del sonno, 5/22 (22,7%) disordini del movimento (crisi facio-distoniche, discinesie oro-buccali), 4/22 (18,2%) disturbi sensoriali (parestesie/disestesie) e 4/22 pazienti (18,2%) sintomi cerebellari con andamento tipico della sindrome cerebellare rapidamente progressiva (atassia, nistagmo, disartria).
Al follow-up 4/21 soggetti (19%) sono andati incontro a decesso mentre 2/21 (9,6%) hanno avuto un recupero funzionale completo. I restanti 15/21 (71,4%) hanno riportato sequele neurologiche, e di essi 2 (13,3%) hanno sviluppato epilessia cronica. Una paziente è stata persa al follow-up. Inoltre, nel 53% dei pazienti sopravvissuti alla fase acuta (9/17), la RM encefalo di controllo ha permesso di osservare un’evoluzione verso la sclerosi ippocampale, l’atrofia corticale o cerebellare. Complessivamente, 5/17 (29,4%) hanno manifestato, nel corso del follow-up, una recidiva. Il 35,3% dei soggetti ha ripreso l’attività lavorativa.
Per analizzare i dati clinici e identificare tra di essi eventuali fattori prognostici, è stato definito l’outcome di ciascuna EA utilizzando la scala modificata di Rankin, mRS, come indicatore semplificato di gravità della disabilità, applicato sia alla fase acuta che al follow up.
Tale scala di valutazione, utilizzata comunemente per misurare il grado di disabilità o dipendenza nelle attività quotidiane di persone che hanno subito un evento neurologico acuto, è largamente impiegata anche nell’ambito delle EA. La scala mRS ha un punteggio da 0 a 6, dove il punteggio minimo corrisponde alla piena salute mentre quello massimo indica la morte del paziente; i punteggi intermedi si riferiscono a gradi intermedi di disabilità, secondo le seguenti caratteristiche: 1 = nessuna disabilità significativa a dispetto di qualche sintomo all’esame clinico (il soggetto è in grado di svolgere tutte le attività usuali); 2 = disabilità lieve (il soggetto non riesce più a svolgere tutte le attività precedenti, ma è autonomo nel camminare e nelle attività della vita quotidiana); 3 = disabilità moderata (il soggetto richiede qualche aiuto nelle attività della vita quotidiana, ma cammina senza assistenza), 4 = disabilità moderatamente grave (il soggetto non è più in grado di camminare senza assistenza né di badare alle proprie necessità corporee senza assistenza), 5 = disabilità grave (il soggetto è costretto a letto, incontinente e bisognoso di assistenza infermieristica e di attenzione costante).
In base al punteggio della scala mRS all’ultima visita di controllo, espressione per ogni soggetto dell’outcome a lungo termine, i pazienti sono stati distinti in due gruppi: outcome favorevole (0-2) e outcome sfavorevole (3-6). In particolare, 11/21 avevano punteggi compresi nell’intervallo 0-2, 9/21 avevano punteggi compresi nell’intervallo 3-6; una paziente è stata persa al follow up.
Dall’analisi statistica condotta sui 22 pazienti è emerso che l’età avanzata (p = 0,071), la presenza di neoplasia (p = 0,041), la mancata risposta all’immunoterapia di prima linea (p = 0,149) e la presenza di sintomi cerebellari (p = 0,111), sono fattori associati ad un peggior outcome a lungo termine, indipendentemente dall’eziologia, dall’autoanticorpo e dalla sede anatomica del’EA. Riguardo alla presenza di sintomi cerebellari come fattore predittivo sfavorevole, va detto che benché nella nostra casistica vi siano solo 4 soggetti con degenerazione cerebellare subacuta, essi sono tutti affetti da sindromi paraneoplastiche con outcome sempre sfavorevole e questo aspetto è certamente rilevante nell’analisi statistica.
Analizzando separatamente i 15 pazienti affetti da encefalite limbica, la forma di EA più rappresentata nella nostra casistica, abbiamo osservato un buon outcome in 9/15 con punteggi mRS di 0-2 e un outcome sfavorevole in 6/15 con punteggi mRS di 3-6. Mediante l’impiego del test esatto di Fisher è emerso che l’assenza di sintomi psichiatrici (p = 0,101) la presenza di disturbi del movimento all’esordio (p > 0,2) e l’assenza di recidive (p = 0,095) sono fattori associati ad un buon outcome a lungo termine. In questo stesso gruppo di pazienti, invece, la presenza di bande oligoclonali su liquor (p = 0,022), la presenza di neoplasie (p = 0,242) e la mancata risposta all’immunoterapia di prima linea (p = 0,115) sono fattori associati ad un peggior outcome. Ancora nell’ambito delle forme limbiche, per quanto riguarda l’analisi dei fattori continui, l’età avanzata (p = 0,056), il tempo tra la comparsa dei sintomi e la diagnosi (p = 0,182), la durata del ricovero (p = 0,077) e l’mRS al picco, quindi la severità della patologia in fase acuta (p = 0,032), sono associati ad un peggior outcome a lungo termine.
In linea generale, relativamente alle EA nel loro complesso, possiamo dire che soggetti più anziani che sviluppano encefaliti paraneoplastiche e non rispondono all’immunoterapia di prima linea tendono ad avere un peggior andamento nel tempo. Nelle forme limbiche, in particolare, oltre ai fattori sopramenzionati, il ritardo nella diagnosi e la severità della malattia in fase acuta rappresentano fattori importanti di prognosi.
In conclusione, conoscere le più comuni sindromi associate ad EA e definire i principali fattori in grado di influenzarne la prognosi, anche all’interno di uno stesso sottotipo di EA, permette ai clinici di stimare il decorso clinico della patologia e personalizzare l’approccio terapeutico, selezionando quei pazienti con forme di EA più aggressive o con fattori prognostici sfavorevoli che potrebbero beneficiare di un trattamento più aggressivo.
In tal senso, studi clinici multicentrici -che raccolgano casistiche significative di queste rare patologie - potranno aiutare nel futuro a definire la migliore gestione possibile.
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