Tesi etd-10202016-133812 |
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Tipo di tesi
Tesi di laurea magistrale
Autore
AGRESTA, ANTONIETTA
URN
etd-10202016-133812
Titolo
Minutaglie di pietà: Album di immaginette delle donne Carducci.
Dipartimento
CIVILTA' E FORME DEL SAPERE
Corso di studi
STORIA E FORME DELLE ARTI VISIVE, DELLO SPETTACOLO E DEI NUOVI MEDIA
Relatori
relatore Tosi, Alessandro
Parole chiave
- Carducci
- devozione
- immaginette
- religiosità popolare
- Salvardi
- santini
- stampa devozionale
- stampa popolare
Data inizio appello
07/11/2016
Consultabilità
Completa
Riassunto
Le stampe di Madonne, Cristi e Santi da sempre popolano la religiosità popolare, animando il quotidiano.
La locuzione divenuta titolo dell’elaborato, che mi pare meglio rispondesse alle mie esigenze, è desunta dall’opera di Ludovico Antonio Muratori Della regolata devozione dei cristiani. Muratori, erede dell’erudizione ecclesiastica seicentesca ed aperto all’illuminismo, in quest’opera riflette in negativo l’enorme radicamento della fede legato alla superstizione e alla credulità. Cerca di ricondurla nei binari della regolata devozione aspirando ad una religiosità illuminata dalla ragione, fondata su dati e conoscenze storiche, e a una devozione nella quale la carica di affettività religiosa passasse da un piano sentimentale ad uno disciplinato moralmente ed intellettualmente .
I santini sono elencati proprio in merito alle particolari, e a volte disdicevoli, devozioni popolari: “diamo anche un’occhiata alle divozioni particolari, delle quali spezialmente si serve il popolo. Noi troviamo sparse fra esso medaglie, Agnus Dei, corone, pazienze, abitini, cordoni, immagini di santi, brevi, confraternite, e simili altre invenzioni visibili di pietà [..] sì fatte devozioni, o vogliamo dire segni di devozione, purché non disapprovate, anzi approvate dalla Chiesa, non solo son lecite, ma anche lodevoli ”. E continua poi osservando che benché certi calvinisti abbiano tacciato di “superstizione con queste minutaglie di pietà [..] tuttavia nessuno potrà mai provare che l’istituzione di esse sia biasimevole e possa dispiacere a Dio; anzi per lo contrario essendo le medesime indirizzate all’onore di Dio e alla pia memoria ed invocazione dei suoi santi, a lui debbono piacere ”. Purché non disapprovate dalla Chiesa i santini e tutte le minutaglie di pietà sono favorevolmente accolti dal presbitero vignolese.
Come lavoro preliminare, ed è qui il primo capitolo, è stato necessario definire in modo efficace il santino, cercando di delinearne le forme e le funzioni, in un contesto metastorico. Fin da subito però è stata notata una sorta di “mancanza” o “penuria” di interesse da parte dei settori più scientifici nei confronti del tema santino. Il motivo della rinuncia è dettato da molteplici ragioni. Spesso la decisa connotazione popolare delle pratiche devote, più che delle opere, ha infatti finito per offuscare le caratteristiche formale degli oggetti. E il termine popolare in questo contesto finisce per diventare sinonimo di termini dal connotato negativo, come superstizioso, eccessivo, fino al più moderno kitsch, sinonimo di un prodotto di cattivo gusto, scadente e di massa . Dunque cercando di infrangere le barriere della povertà di informazioni, sono stati presentati “i luoghi” che sono la base dello studio del santino.
Oltre a occupare un posto fondamentale del mondo quotidiano della devozione, il santino ne ricopre uno notevole soprattutto nella produzione a stampa e nell’artigianato. Qualsiasi tipo di ricostruzione storica legata ad esso, per via della sua complessa natura di prodotto popolareggiante, si pone come arduo compito, ma tuttavia necessario per capire quanta ampia sia stata la sua produzione, testimone di una civiltà grafica raffinata e multiforme . De Meyer parla di un genere così vasto, che potendo contare milioni di esemplari, soppianta di gran lunga qualsiasi altra imagerie populaire . Si è scelto quindi di raccontare le botteghe, le stamperie e le tipografie che più, in Italia ed Europa, hanno segnato l’esistenza e la fattura del santino, la cui presenza si suole collocare, secondo Spamer, tra il XIV e il XX secolo . Le singole tipografie e stamperie, riconosciute fondamentali in quanto hanno segnato la facies del santino, sono state a loro volta segnate da questo potente prodotto commerciale quando questo, essendosi insinuato largamente in tutte le dimore dei credenti, ha cominciato a dare loro un’identità .
Dal momento che il capitolo sarà guidato dall’incedere delle tecniche di stampa, che faranno qui da chiave di lettura per spiegare l’avvicendarsi delle varie forme di cui, nei secoli, si è forgiato il santino, delle volte sembrerà che di procedere senza dare conto alla scansione cronologica, saltando da un secolo all’altro: mi sono concessa di farlo per poter dare una sistemazione ragionevole al capitolo.
Approcciarsi ad un manufatto di stampa popolare implica imbattersi in un enorme contenitore di migliaia e migliaia di esemplari. Per portare avanti uno studio preciso, ordinato e valente e per calibrare al meglio il ventaglio di conoscenze è necessario però focalizzarsi su un gruppo preciso di stampe. Il fulcro di questo elaborato, a cui fa da macro premessa quanto appena raccontato nelle parti che lo precedono, è il catalogo elaborato su una raccolta di santini in particolare.
Mentre con fare da investigatore stavo cominciando a indagare l’universo dei santini, rimasi folgorata quando trovai la raccolta inedita conservata nell’archivio della Fondazione del Monte di Bologna, dell’Album di immaginette sacre che appartennero all’Elvira Carducci e alle figlie: Bice, Laura e Libertà. L’ossimoro così stridente immaginette sacre-Carducci mi portò immediatamente a Bologna e, aiutata dal dottor Antonelli responsabile degli archivi della Fondazione, ho dunque cominciato a ripercorrere la storia devozionale e religiosa delle donne Carducci. Inizialmente, quando il professor Tosi mi spiegò che la metodologia di studio più consona per la raccolta sarebbe stata catalogare ciascun santino come vien fatto, di solito, per qualsiasi stampa, non nego che lo trovai un lavoro a tratti sproporzionato per il fondo in questione. Evidentemente ero figlia anch’io di quell’annebbiamento percettivo poco prima raccontato e quindi, da intrusa, mi sono intrufolata tra i ricordi religiosi delle donne Carducci, toccandoli, osservandoli e studiandoli. Con un moto di ingenuità, mi stupì quello che si poteva trarre dal catalogare semplici santini e nello specifico quello che è emerso dal complesso rapporto tra quelle che si possono definire “arte aulica o colta” e “arte popolare”.
La locuzione divenuta titolo dell’elaborato, che mi pare meglio rispondesse alle mie esigenze, è desunta dall’opera di Ludovico Antonio Muratori Della regolata devozione dei cristiani. Muratori, erede dell’erudizione ecclesiastica seicentesca ed aperto all’illuminismo, in quest’opera riflette in negativo l’enorme radicamento della fede legato alla superstizione e alla credulità. Cerca di ricondurla nei binari della regolata devozione aspirando ad una religiosità illuminata dalla ragione, fondata su dati e conoscenze storiche, e a una devozione nella quale la carica di affettività religiosa passasse da un piano sentimentale ad uno disciplinato moralmente ed intellettualmente .
I santini sono elencati proprio in merito alle particolari, e a volte disdicevoli, devozioni popolari: “diamo anche un’occhiata alle divozioni particolari, delle quali spezialmente si serve il popolo. Noi troviamo sparse fra esso medaglie, Agnus Dei, corone, pazienze, abitini, cordoni, immagini di santi, brevi, confraternite, e simili altre invenzioni visibili di pietà [..] sì fatte devozioni, o vogliamo dire segni di devozione, purché non disapprovate, anzi approvate dalla Chiesa, non solo son lecite, ma anche lodevoli ”. E continua poi osservando che benché certi calvinisti abbiano tacciato di “superstizione con queste minutaglie di pietà [..] tuttavia nessuno potrà mai provare che l’istituzione di esse sia biasimevole e possa dispiacere a Dio; anzi per lo contrario essendo le medesime indirizzate all’onore di Dio e alla pia memoria ed invocazione dei suoi santi, a lui debbono piacere ”. Purché non disapprovate dalla Chiesa i santini e tutte le minutaglie di pietà sono favorevolmente accolti dal presbitero vignolese.
Come lavoro preliminare, ed è qui il primo capitolo, è stato necessario definire in modo efficace il santino, cercando di delinearne le forme e le funzioni, in un contesto metastorico. Fin da subito però è stata notata una sorta di “mancanza” o “penuria” di interesse da parte dei settori più scientifici nei confronti del tema santino. Il motivo della rinuncia è dettato da molteplici ragioni. Spesso la decisa connotazione popolare delle pratiche devote, più che delle opere, ha infatti finito per offuscare le caratteristiche formale degli oggetti. E il termine popolare in questo contesto finisce per diventare sinonimo di termini dal connotato negativo, come superstizioso, eccessivo, fino al più moderno kitsch, sinonimo di un prodotto di cattivo gusto, scadente e di massa . Dunque cercando di infrangere le barriere della povertà di informazioni, sono stati presentati “i luoghi” che sono la base dello studio del santino.
Oltre a occupare un posto fondamentale del mondo quotidiano della devozione, il santino ne ricopre uno notevole soprattutto nella produzione a stampa e nell’artigianato. Qualsiasi tipo di ricostruzione storica legata ad esso, per via della sua complessa natura di prodotto popolareggiante, si pone come arduo compito, ma tuttavia necessario per capire quanta ampia sia stata la sua produzione, testimone di una civiltà grafica raffinata e multiforme . De Meyer parla di un genere così vasto, che potendo contare milioni di esemplari, soppianta di gran lunga qualsiasi altra imagerie populaire . Si è scelto quindi di raccontare le botteghe, le stamperie e le tipografie che più, in Italia ed Europa, hanno segnato l’esistenza e la fattura del santino, la cui presenza si suole collocare, secondo Spamer, tra il XIV e il XX secolo . Le singole tipografie e stamperie, riconosciute fondamentali in quanto hanno segnato la facies del santino, sono state a loro volta segnate da questo potente prodotto commerciale quando questo, essendosi insinuato largamente in tutte le dimore dei credenti, ha cominciato a dare loro un’identità .
Dal momento che il capitolo sarà guidato dall’incedere delle tecniche di stampa, che faranno qui da chiave di lettura per spiegare l’avvicendarsi delle varie forme di cui, nei secoli, si è forgiato il santino, delle volte sembrerà che di procedere senza dare conto alla scansione cronologica, saltando da un secolo all’altro: mi sono concessa di farlo per poter dare una sistemazione ragionevole al capitolo.
Approcciarsi ad un manufatto di stampa popolare implica imbattersi in un enorme contenitore di migliaia e migliaia di esemplari. Per portare avanti uno studio preciso, ordinato e valente e per calibrare al meglio il ventaglio di conoscenze è necessario però focalizzarsi su un gruppo preciso di stampe. Il fulcro di questo elaborato, a cui fa da macro premessa quanto appena raccontato nelle parti che lo precedono, è il catalogo elaborato su una raccolta di santini in particolare.
Mentre con fare da investigatore stavo cominciando a indagare l’universo dei santini, rimasi folgorata quando trovai la raccolta inedita conservata nell’archivio della Fondazione del Monte di Bologna, dell’Album di immaginette sacre che appartennero all’Elvira Carducci e alle figlie: Bice, Laura e Libertà. L’ossimoro così stridente immaginette sacre-Carducci mi portò immediatamente a Bologna e, aiutata dal dottor Antonelli responsabile degli archivi della Fondazione, ho dunque cominciato a ripercorrere la storia devozionale e religiosa delle donne Carducci. Inizialmente, quando il professor Tosi mi spiegò che la metodologia di studio più consona per la raccolta sarebbe stata catalogare ciascun santino come vien fatto, di solito, per qualsiasi stampa, non nego che lo trovai un lavoro a tratti sproporzionato per il fondo in questione. Evidentemente ero figlia anch’io di quell’annebbiamento percettivo poco prima raccontato e quindi, da intrusa, mi sono intrufolata tra i ricordi religiosi delle donne Carducci, toccandoli, osservandoli e studiandoli. Con un moto di ingenuità, mi stupì quello che si poteva trarre dal catalogare semplici santini e nello specifico quello che è emerso dal complesso rapporto tra quelle che si possono definire “arte aulica o colta” e “arte popolare”.
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