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Thesis etd-10172008-095712


Thesis type
Tesi di laurea vecchio ordinamento
Author
OLINDO, SAMANTHA
email address
samantha.olindo@virgilio.it
URN
etd-10172008-095712
Thesis title
La strega nel folclore spagnolo: tra cuento popular e fiaba
Department
LETTERE E FILOSOFIA
Course of study
LINGUE E LETTERATURE STRANIERE
Supervisors
Relatore Prof.ssa Poggi, Giulia
Relatore Prof. Wolkenstein Braccini, Fabrizio
Keywords
  • Nessuna parola chiave trovata
Graduation session start date
03/11/2008
Availability
Withheld
Release date
03/11/2048
Summary
1. La strega nell’evoluzione dello studio della fiaba

1.1 La strega nello studio strutturalistico della fiaba di Propp

“Le radici storiche dei racconti di fate” di Vladimir Jakovlevič Propp compaiono in russo nel 1946 e raggiungono la pubblicazione in Italia nel 1949.
Quest’opera prende l’avvio dai risultati ottenuti e consolidati dallo stesso autore nell’opera precedente “La morfologia della fiaba” che, sebbene scritta in precedenza, approda in Italia più tardi, nel 1966.
La Morfologia nasce in connessione con gli orientamenti del formalismo russo e si propone di identificare gli elementi costanti e le regole uniformi con cui vengono costruite certe fiabe che Propp definisce di “magia” e che più avanti indicherà come “racconti di fate”.
Egli intende con ciò un genere di fiabe che “comincia con una menomazione o con un danno arrecato a qualcuno (rapimento o una cacciata da casa), oppure con il desiderio di possedere qualche cosa e si sviluppa attraverso la partenza del protagonista dalla casa paterna, l’incontro con un donatore che gli offre un mezzo fatato oppure un aiutante per mezzo del quale egli trova l’oggetto delle sue ricerche. In seguito la fiaba presenta un duello con l’avversario, il ritorno e l’inseguimento.” Propp, sollecitato dall’esigenza forte che avvertiva di affrontare gli studi letterari con rigore analitico e scientifico, giunse con la sua prima opera fondamentale alle seguenti conclusioni:

1. le funzioni dei personaggi, cioè le loro azioni, sono delle grandezze costanti che rappresentano le parti fondamentali della fiaba;
2. le funzioni devono essere considerate e studiate non in quanto appartenenti ad un determinato personaggio, quanto piuttosto in relazione alla loro significato per lo svolgimento della vicenda (definito intreccio);
3. il numero delle funzioni che compaiono nelle fiabe “di magia” è limitato ed egli ne individua 31 (elenco delle funzioni);
4. la successione di queste funzioni, cioè l’ordine in cui si susseguono, è sempre identico, tuttavia le combinazioni presenti nelle diverse fiabe mostrano come le funzioni non siano presenti tutte e sempre. Gli istituti sono per Propp manifestazioni concrete di regime;
5. esiste una sola serie di funzioni che compare in tutte le fiabe di magia, da qui la loro struttura monotipica;
6. le funzioni dei personaggi vengono distribuite in sfere d’azione (attribuite agli esecutori) che sono in totale 7: sfera d’azione dell’antagonista, del donatore, dell’aiutante, della principessa (e del re suo padre), del mandante, dell’eroe, del falso eroe. Tuttavia vi sono casi in cui la sfera d’azione corrisponde esattamente al personaggio e casi in cui un solo personaggio può abbracciare più sfere d’azione, quindi cumula più funzioni;
7. le modalità di presentazione dei personaggi sono fisse, infatti l’antagonista appare di nascosto, il donatore è incontrato per caso, l’aiutante è donato mentre gli altri compaiono già nella situazione iniziale e solida.

Nelle radici storiche dei racconti di fate Propp, partendo da questi traguardi, si propone di svolgere una ricerca diacronica in quanto cerca di stabilire a quali epoche o fasi e a quali istituti specifici dell’evoluzione storico sociale debbano farsi risalire i contenuti concreti dei singoli elementi costitutivi delle fiabe e delle sequenze che li vedono organizzati.
La novità di questa seconda opera di Propp risiede nella sua dichiarata assunzione della prospettiva marxista per quel che concerne il rapporto essenziale struttura sovrastruttura e per quello della successione delle fasi dello sviluppo storico del comunismo primitivo alla società socialista. La forza di tale novità si avverte nel passaggio dallo studio morfologico della fiaba (vale a dire della sua costituzione interna presente nella prima opera citata) a quello genetico, cioè all’esame dei rapporti tra i testi e il contesto storico in cui possano essere nati (seconda opera citata).
In particolare si allude al principio marxista secondo cui “il metodo di produzione della vita materiale condiziona il processo sociale, politico e spirituale della vita in genere” e in base al quale la fiaba, considerata come fenomeno sovrastrutturale, deve raccordarsi con la struttura economica, il modo di produzione ed il regime sociale a cui corrisponde (patriarcale o matriarcale..!). Propp giunge al proposito, alla conclusione che la fiaba non è connessa alla forma di produzione relativa al periodo sotto cui ha prosperato, cioè il XIX° secolo, bensì la maggior parte degli elementi che la costituiscono risalgono a riti e miti primitivi (Propp include il mito tra le fonti del racconto di fate ed intende, con mito, un racconto su divinità o esseri divini nella cui realtà il popolo crede ed afferma che la funzione sociale del mito dipende dal grado di cultura del popolo), del regime del clan ed in particolare al ciclo dell’iniziazione ed alle rappresentazioni della morte.
L’autore chiarisce come con lo sviluppo della società i riti compiuti in precedenza sono stati sostituiti simbolicamente da racconti e miti finchè, con l’affermarsi delle società classiste e del Cristianesimo, questi sono stati condannati e sono sopravvissuti solo presso le classi inferiori come fiabe. Spesso la nuova mentalità ha censurato i valori di cui la fiaba era espressione e i comportamenti in essa rinvenibili.
Raramente, infatti, vi è una diretta corrispondenza tra fiaba e rito, in quanto si sono realizzati trasposizioni di elementi rituali divenuti inutili o avvertiti tali e quindi sono stati sostituiti da altri più attinenti alla realtà. Talvolta si sono addirittura verificate inversioni del rito nella sua globalità, in quanto sentito come desueto ed incomprensibile. In tali casi è la fiaba a fornire spiegazioni sul rito e non viceversa.
Numerosi elementi presenti nella fiaba presentano consonanze con il periodo del declino delle società tribali e l’instaurarsi di quelle agricole stabili. Il richiamo forte è verso le organizzazioni totemiche in cui il totem, generalmente un animale, era considerato il capostipite di un determinato clan e nei suoi confronti, tutti gli appartenenti alla stessa tribù, avevano obblighi e divieti. I principali consistevano nel non uccidere nè mangiare il totem e non sposare donne appartenenti al proprio clan. Di qui la spiegazione della ricerca della sposa, da parte dell’eroe della fiaba, in luoghi molto lontani, testimonianza dell’esogamia.
Un altro obbligo, infine, era lo stabilirsi nelle terre della moglie dopo la morte o l’uccisione del re; questo passaggio trova spiegazione nel matriarcato in vigore presso le società totemiche, dove il totem si trasmetteva in linea femminile.
Gli uomini dovevano dimostrare il loro valore alla tribù della donna e ciò lo ritroviamo nei compiti difficili imposti dal re affinchè il futuro possibile erede ottenga la mano della principessa. Inoltre, si richiedeva ai ragazzi di superare un lungo periodo di passaggio per la conquista di uno stato virile che li vedeva impegnati in riti di iniziazione.
Con questo egli otteneva l’emancipazione della donna madre (temuta per la capacità procreativa) che si realizzava attraverso la morte apparente come ragazzo e una rinascita come uomo.
La strega viene indicata nella traduzione di Clara Coïssen del testo “Le radici storiche dei racconti di fate” di Propp, col termine maga. La maga rientra nella categoria donatore e rappresenta quel personaggio nuovo che appare nella fiaba nel momento in cui occorre fornire all’eroe un mezzo magico che gli permetterà di superare le sue sventure. Occorre precisare che la denominazione di maga viene spesso attribuita a personaggi di diverso genere e specie, per es. ad un orso, ad un vecchio, ad una matrigna anche se la tipica maga è chiamata semplicemente “vecchietta” .
Il “racconto di fate” presenta tre diverse forme di maga: la maga donatrice, presso cui capita l’eroe, che lo interroga e gli offre poi un cavallo, ricchi doni.., la maga rapitrice, che rapisce i bambini e tenta di farli arrostire, anche se invano, in quanto poi vi è la sua fuga e la loro conseguente salvezza; la maga guerriera, quella che combatte e che “entra volando nella capannuccia dove stanno gli eroi, ritaglia cinghie dalla pelle della loro schiena..”.
Propp non descrive minuziosamente i tre tipi di strega perché basandosi sull’andamento delle fiabe, in particolare sull’inizio, ritenuto una partenza per il regno dei morti, si prefigge mostrare come la maga abbia nessi con il regno dei morti. Infatti, come già spiegato nelle pagine precedenti, la “fiaba di magia”, “racconto di fate”, conserva tracce di rappresentazioni della morte e del rito di iniziazione che riguardava i giovani al sopraggiungere della pubertà, a quello stabilmente connesso.
La foresta è un “accessorio costante della maga”, è quella barriera che trattiene l’eroe e rappresenta il luogo in cui hanno inizio le sue disavventure. Non viene mai descritta con precisione, tuttavia presenta caratteristiche convenzionali, infatti è buia, fittissima e misteriosa. Propp, in base ai materiali studiati, conclude che la foresta della fiaba “di magia” riflette da un lato la reminiscenza di un luogo ove si celebrava segretamente il rito di iniziazione e dall’altro l’ingresso al regno dei morti. Si pensi che nell’antichità classica, l’ingresso al mondo sotterraneo era sempre circondato da un’impenetrabile foresta vergine. Improvvisamente l’eroe si trova di fronte una “capannuccia” o comunque un luogo chiuso il cui accesso non è semplice. Si tratta di un posto di guardia che è una linea di demarcazione tra il mondo da cui proviene l’eroe e quello remoto in cui dovrà recarsi, quasi sempre volando via a cavallo, su un’aquila o trasformato in altro essere. La capannuccia può essere situata su una frontiera, sulla riva del mare, accanto ad un fossato da saltare, tuttavia il punto cardine è che non si può varcare questa soglia senza prima aver risposto all’interrogatorio posto dalla maga e aver superato una prova iniziale che permetterà di proseguire.
La maga è proposta a guardia di questo luogo da coloro che le sono padroni e che non mancano di insultarla nel momento in cui conceda il passaggio all’eroe. Il donatore quindi del mezzo magico sta a guardia dell’ingresso del regno della morte. Propp precisa che nelle fiabe in cui la protagonista sia una ragazza, generalmente giunge in suo soccorso un aiutante che le insegnerà come comportarsi nella “capannuccia”.
Inoltre, quando la protagonista del racconto è un’eroina, a differenza dell’eroe, non dovrà pronunciare parole o formule magiche per accedere all’altro regno, bensì compirà dei riti che ne evidenziano l’origine più tarda come oliare i cardini della porta (rito dell’aspersione) oppure offrire agli animali posti a custodia della capanna del cibo (rito del sacrificio propiziatorio). La casupola presenta caratteri zoomorfi ben evidenziati dalla sua funzione di inghiottire e divorare che si sposterà in seguito sulla maga, divoratrice di uomini.
Questo tipo di capanna corrisponde a quella in cui veniva praticata la circoncisione e si aveva l’iniziazione. Spesso l’odore del ragazzo o della ragazza ripugna alla maga, in quanto è l’odore di un uomo vivo che cerca di penetrare nel regno dei morti.
Si verifica, come sostiene anche Frazer, un’inversione di significato, in pratica l’odore dei vivi è ripugnante e terribile per i morti quanto l’odore dei morti lo è per i vivi. Ancora una volta il richiamo forte è al neofita che, durante il rito di iniziazione, si sottoponeva a frequenti lavaggi o frizionamenti con piante molto odorose per coprire il suo proprio odore.
Un altro aspetto menzionato nella fiaba è l’offerta di cibo da parte della maga all’eroe. Questo compito è una caratteristica costante e tipica della strega o di quei personaggi equivalenti. Esso trova spiegazione ancora una volta in riti antichi in base ai quali, per entrare definitivamente nel mondo dei morti, occorreva partecipare al loro pasto.
Si trattava di un cibo speciale che conferiva forza magica, anziché fisica, e che purificava da ciò che era terreno trasformando l’uomo in una creatura non terrena, volante, leggera, assai spesso un uccello. La reazione della maga di acquietarsi e calmarsi alla richiesta di cibo dimostrava come l’eroe non avesse paura.
Passando ad un’analisi dell’immagine della strega stessa, essa si può rappresentare in due modi: statica, quando attende o giace nella capanna e riceve l’eroe, oppure dinamica, quando sopraggiunge volando; allora qui non si tratta più di maga donatrice. Non viene descritta nelle sue dimensioni, tuttavia si deduce da quelle del luogo dove ella attende l’eroe, che in genere sono ridotte. Propp propone la somiglianza con un cadavere in una bara angusta e ciò trova riscontro nella sua appartenenza al mondo dei morti. Tale osservazione aiuta a comprendere un’altra caratteristica costante delle sue gambe ossee, i suoi piedi ossei che ricordano zampe di animali posseduti da altri spiriti maligni: sono un’evoluzione, un’antropomorfizzazione (elfi, gnomi, demoni, diavoli). La maga percepisce la presenza dell’eroe attraverso l’olfatto in quanto cieca. Questa cecità attiva viene dedotta quindi da sintomi indiretti; altri possono essere l’udito, sente la voce dell’eroe, o il tatto. Sotto la cecità Propp ritiene che si celi un concetto di reciproca invisibilità; i vivi non vedono i morti esattamente come i morti non vedono i vivi. Per l’autore questo passaggio della fiaba è il riflesso dell’accecamento (o cecità) temporanea del neofita che nel rito di iniziazione veniva condotto alla capanna bendato. Si tratta di una fiaba che è un’inversione del rito in quanto agli occhi bendati al giovinetto corrispondono quelli tappati della strega o dei personaggi a lei corrispondenti o, ancor meglio, la loro cecità.
L’autore individua il momento e la causa dell’inversione nel periodo del trapasso al regime produttivo dell’agricoltura in cui i vecchi riti tanto crudeli sono apparsi inutili e la loro asprezza si è rivolta verso coloro che li eseguivano.
Una peculiarità dell’immagine della “maga” o strega è il suo carattere fisiologico femminile quasi sempre sottolineato da lineamenti marcati (mammelle grosse, denti aguzzi, naso lungo ed adunco).
In genere si tratta di una vecchia senza marito che, pur essendo simbolo di maternità, non è madre di uomini bensì madre e signora degli animali della foresta. Propp individua una corrispondenza di questa figura di strega con la donna del mito che, persa la maternità ne conserva esclusivamente gli attributi e mantiene il potere sugli animali.
Siccome la vita del cacciatore dipende dalla selvaggina, la signora manterrà il suo potere per traslato anche sulla vita e sulla morte degli uomini.
La strega si evolve e contempla in sé l’essere donna, madre, signora ed infine padrona di tutti gli esseri di una sola specie prima e in seguito di tutte e addirittura degli elementi naturali quali il tuono, il sole, la luna, i venti..
Vi è un saldo legame tra la credenza antica per cui l’uomo morendo si trasforma in animale e la posizione della strega come custode del regno dei morti e degli animali, e il suo potere su questi ultimi che comporta la possibilità di donare agli uomini una trasformazione in animali o un animale come dono magico (concezione posteriore).
Con la fine del matriarcato la donna inizierà ad essere legata al focolare e ad elementi connessi alla cucina; l’attizzatoio, la granata, la scopetta per la stufa, il mortaio e il pestello. Nelle fiabe in cui la protagonista è una femmina è tipico che la “maga” assegni imprese difficili, mentre in quella dove i protagonisti sono maschietti, terminato l’interrogatorio arriva subito la ricompensa. Il dono fatato è giustificato dalla forza che l’eroe ha dimostrato nell’arrivare fino a questo punto del suo percorso affrontando senza paura e sicuro di sé, l’ingresso al regno dei morti.
Talvolta gli viene affidato anche un aiutante per compiere questo viaggio, in genere un anello, un bacchetta o un animale, spesso un cavallo. Tale aspetto è stato inquadrato da Propp come un modo per ripagarlo delle virtù e della forza magica dimostrate.
Tra le imprese assegnate dalla strega val la pena ricordare la più antica , la prova del senno, cioè il divieto di addormentarsi.
Essa trova spiegazione nel fatto che la maga incarni il ruolo di custode del regno dei morti e abbia il compito di proteggerli dai vivi che vengono appunto riconosciuti dalla capacità del pianto, del riso, dall’odore e, nell’età in cui il neofita veniva allontanato dalla famiglia per il suo rito di iniziazione, anche dal poter addormentarsi.
Gli eroi che giungono dalla maga (strega) nella casetta del bosco o della foresta che sia, sono bambini in età puberale e questo trova per l’ennesima volta un riflesso e una motivazione nell’età in cui il neofita veniva allontanato dalla famiglia per il suo rito di iniziazione. Le modalità con cui i bambini arrivavano nella foresta sono tre:
1. i piccoli vengono accompagnati dal genitore maschio (il padre) o dal fratello o da uno zio, proprio come accadeva nel rito (mai dalla madre); in questo caso la cacciata da casa era motivata dal cattivo comportamento del figlio degno di essere denigrato e scacciato o dall’inserimento ad hoc nella famiglia di un nuovo personaggio che ne alteri l’equilibrio già precario, una matrigna, che attiri su di sé l’amicizia in altre circostanze riservata al padre.
2. I fanciulli vengono rapiti da uno spirito o diavoletto (duende) mascherati in genere da animali che incutevano terrore (paura che nella realtà ancora oggi viene sfruttata come mezzo educativo), si pensi alle Lamie e alla loro parentela con la maga-rapitrice di Propp;
3. I bambini si recano da soli nel bosco in quanto è scaduto il termine (età della pubertà) che il padre si era impegnato a rispettare per una sorta di vendita anticipata o promessa del figlio ad un personaggio che spesso coincide con il diavolo. Il rito voleva che la famiglia si impegnasse fin dalla nascita del piccolo a legarlo ad una società segreta di cui lui solo avrebbe conosciuto l’organizzazione interna e che gli avrebbe permesso l’ammissione nella società. Tutto ciò si traduce nelle fiabe con situazioni in cui coppie di genitori, spesso anziani, non riescono ad avere eredi e per riuscire nell’intento sono disposti a scendere a patti col diavolo (il detto ci ricorda “vendere l’anima al diavolo”).

La “maga rapitrice e divoratrice” o lo spirito che si sostituisce, spesso percuote e pesta l’eroe o l’eroina talvolta adoperando modi estremamente violenti come “ritagliare cinghie nella pelle della schiena”! Tale comportamento rispecchia il momento della circoncisione nel rito, ma anche tutte le torture e pene inflitte che lo accompagnavano.
Per alcuni studiosi questa serie di crudeltà aveva lo scopo di abituare all’obbedienza e al rispetto verso gli anziani. Propp pone l’accento sulla necessità, in quei casi, di “segnare e colpire l’intelletto”, in maniera che il ragazzo provato dalla sete, dalla fame, dalla violenza fisica, dall’oscurità credesse ad una sua reale “morte temporanea”.
Una delle forme di mutilazione praticata durante il rito d’iniziazione, e conservata nelle fiabe, è quella del dito tagliato, in genere il mignolo. Raramente viene recisa anche una mano o il braccio e non avviene quasi mai lo squartamento. Si tratta di segni di un’avvenuta iniziazione, di “segni della morte” . Nelle fiabe il dito vien talvolta tagliato dalla strega divoratrice o fatto mostrare dal buco della serratura della porta che chiude la stanza in cui sono rinchiusi l’eroe o l’eroina.
Lo scopo è quello di controllare la pinguedine dei bambini. Una delle forme di morte temporanea consisteva nello squartare il corpo o nel tagliarlo a pezzi. Il rito voleva che in uno stato di incoscienza provocato dall’effetto di allucinogeni, l’iniziando sperimentasse l’impressione di essere squartato. Nelle fiabe di “magia” questo motivo del dilania mento del corpo umano e della sua successiva rivivificazione, si verifica: in quelle ove l’eroina giunge in una casa di briganti dove è presente una stanza chiusa a chiave e proibita contenente i corpi fatti a pezzi; quelle in cui si ha un personaggio che fa una cura che non guarisce e quindi lo squartamento dava la possibilità di far risorgere un uomo nuovo; quelle in cui si decide direttamente di squartare la principessa dove spesso l’atto è sostituito da un semplice dissanguamento.
Propp sottolinea come nei riti che prevedevano l’uccisione di un uomo reale e non fittizio, si praticasse anche il cannibalismo.
La cottura nel paiolo effettuata dalla strega o da chi ne assume il ruolo, richiama quella praticata dagli sciamani sotto l’effetto di sostanze stupefacenti. Il fuoco, al pari dello squartamento, ringiovanisce, purifica e fa nascere o risorgere come individui nuovi eroi ed eroine.
Nella fiaba in cui è contenuto tale elemento si realizza, nella sua provenienza dal rito, una trasposizione dell’oggetto, infatti ai bambini bruciati si sostituiscono quelli stessi che li volevano bruciare (si pensi alla stufa o al forno in cui viene spinta o gettata la strega). Si tratta quindi di un “bruciamento concepito come un beneficio” laddove si mantiene il suo valore più arcaico, a cui si alterna un “bruciamento funesto” ritenuto un orrore a cui scampare. In alcuni racconti di fate l’eroe giunto nella capanna inizia una specie di apprendistato che ha l’equivalente rituale nell’arco di tempo che i neofiti trascorrevano lontani da casa sotto la custodia di persone che trasmettevano loro segreti e conoscenze.
Siamo di fronte ad una “scienza furba” che nella fiaba tramanda quasi sempre uno stregone maestro. L’insegnamento consiste in genere nell’apprendimento a trasformarsi in animali, a comunicare con gli uccelli, a influire e dominare la natura con rappresentazioni e danze.
La danza che si eseguiva a suon di musica e gli strumenti musicali stessi, la cetra, il flauto, il violino, lo zufolo, la zampogna erano ritenuti sacri, magici e perciò vietati. Con il suono di tali strumenti tutti provano un’irrefrenabile desideri ed istinto di ballare. Propp ci presenta un maga che appartiene ad una fiaba e può assumere le sembianze di un animale così come il grande maestro che inizia alla “scienza furba” può fare altrettanto.
Tutto ciò risulta strettamente connesso al mondo rituale ed al gesto in particolare di porsi maschere raffiguranti animali sul volto durante il loro svolgimento. Inoltre l’autore osserva che “quando la maga o un’altra donatrice o abitatrice della capannuccia è imparentata con uno degli eroi… è sempre con la moglie o con la madre dell’eroe, mai con l’eroe stesso o con il padre” . In analogia occorre sottolineare che spettava al gruppo della moglie sottoporre il giovane alla circoncisione e all’iniziazione. Infine, al termine della sua analisi della figura della maga, Propp cerca di chiarire la sua motivazione di essere donna a dispetto del maestro stregone che è sempre maschio. Egli giudica questi ultimi due personaggi un equivalente reciproco all’interno del componimento fiabesco, tuttavia conclude che “il maestro del bosco è storico, la donna vecchia, madre, padrona, donatrice di qualità magiche, è preistorica ed estremamente arcaica”.
La parentela scava le sue radici nei riti appartenenti a tutto il mondo, dove nell’evoluzione da un regime matriarcale ad uno patriarcale era previsto la partecipazione di uomini travestiti da donna che li presiedevano, insomma uomini-donne il cui richiamo all’ermafroditismo nel mito a dei ed eroi è più che palese. Molte volte il rito assicura che in lontananza misteriosa esista una donna, vecchia, madre dei membri della setta, del sodalizio, che assiste e protegge in disparte.
Di lei vien soltanto citata la zoppaggine che non può che corrispondere alla difficoltà di camminare della strega o maga. Il risultato forse più importante è aver dimostrato come la maga rapitrice e la maga donatrice (considerando che la maga guerriera è un’evoluzione peggioratrice della maga rapitrice), non costituiscano un tutt’uno e al contempo non siano figure completamente distinte unite solo dall’appellativo strega, bensì figure collegate dalla funzionalità nei confronti del rito di iniziazione e delle rappresentazioni dell’uomo nel regno della morte.
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