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Archivio digitale delle tesi discusse presso l'Università di Pisa

Tesi etd-10132014-102357


Tipo di tesi
Tesi di laurea magistrale
Autore
SANGALLI, ANNA
URN
etd-10132014-102357
Titolo
La realtà dell'infinitamente improbabile. Hannah Arendt nella "gabbia aperta" di Kafka
Dipartimento
CIVILTA' E FORME DEL SAPERE
Corso di studi
FILOSOFIA E FORME DEL SAPERE
Relatori
relatore Prof. Fabris, Adriano
Parole chiave
  • Etica politica (Political ethics)
  • Abisso della libertà (Abyss of freedom)
  • Paria (Pariah)
  • Incapacità di pensare (Inability to think)
Data inizio appello
03/11/2014
Consultabilità
Completa
Riassunto
Il primo capitolo è dedicato all’etica politica delineata dalla Arendt, in modo particolare alla sua teorizzazione, in Vita Activa, ma anche in opere successive come Tra passato e futuro e La vita della mente, dei concetti di libertà, azione e “spazio pubblico”.
Con forza Hannah Arendt sostiene che la vera libertà non rientra affatto nella dimensione della volontà, ma, trascendendola, risulta sempre un attributo dell’essere. Una tale libertà non appartiene né all’individuo in quanto “singolo”, né tanto meno alla collettività, bensì essa è la manifestazione della partecipazione degli uomini alla pluralità, ovvero alla vita pubblica. Quest’ultima è la promotrice della facoltà più alta dell’umanità, che caratterizza l’individuo come “uomo”: la capacità di agire.
In particolare, l’azione autentica coincide con l’inizio di qualcosa di nuovo, in quanto è ciò che prima non era dato, rappresentando, dunque, una realtà assolutamente imprevedibile e inattesa. Risulta chiaro, quindi, che libertà e azione sono innestate l’una nell’altra grazie all’uomo, il quale, per essere tale, deve agire e fondare proprio quella libertà che coinciderà con lui stesso. La sezione dedicata all’azione fornirà non solo un’analisi del suddetto rapporto, ma prenderà anche in considerazione gli aspetti problematici che un agire così inteso porta con sé. L’attenzione, infine, si sposterà sul campo di esistenza di questa azione libera, ovvero sullo “spazio politico”, il quale rappresenta l’unica condizione di possibilità umana dell’essere-insieme.
Nel successivo capitolo, dedicato ai temi della responsabilità e del giudizio, saranno messe al vaglio le attitudini più “politiche” dell’uomo, quelle che non si basano e non si possono fondare su regole o principi guida generali.
Attraverso i concetti di isolamento, solitudine e di “essere con gli altri”, la Arendt identifica il soggetto giudicante con la figura dello spettatore attivo che, in virtù di questa sua posizione di non- attore, è in grado di accogliere in sé, oltre alla propria, anche la prospettiva degli altri, attraverso la sua facoltà di rappresentazione.
Alla questione del giudizio è legata, poi, quella della responsabilità, la quale non è legata in alcun modo ad una qualche giustificazione, ma è intesa come quel farsi carico del giudizio stesso. Come quest’ultimo, tale responsabilità, non può esistere finché ci si affida a norme e criteri prestabiliti, ma si manifesta solamente quando l’uomo si confronta con il vuoto arendtiano dell’ “abisso della libertà”.
In Hannah Arendt nel mondo (ir-)reale di Kafka giungeremo all’attuazione concreta dei concetti etici e teorici dei due capitoli precedenti. Confrontandosi con la figura emblematica di Kafka come “paria consapevole”, la Arendt vede, infatti, concretizzarsi quei processi di assimilazione ed esclusione con cui dovette fare i conti il popolo ebraico. La filosofa, in particolare, identifica l’esistenza dei “senza-patria”, coscienti della loro condizione, con la vita autenticamente umana: questi individui, contrapponendosi alla figura del parvenu, ovvero a colui che, sopraffatto dal bisogno di sicurezza, ha scelto la strada della pura assimilazione, riescono a tenere aperta la possibilità dell’azione e, con essa, quella della libertà.
Come vedremo, l’analisi arendtiana del frammento kafkiano Egli la porterà a istituire, tanto il breve racconto, quanto Kafka stesso, a modello della condizione di tale “paria consapevole”.
A quest’ultimo aspetto si legherà, nella seconda sezione, lo studio di Kafka come vero e proprio “costruttore di modelli”: ogni aspetto dell’universo, infatti, dai luoghi ai personaggi, senza esclusione dell’autore stesso, risulta essere un gradino che ci avvicina alla comprensione della realtà.
Nell’ultima sezione, infine, proporrò un tentativo di accostamento tra la figura di Adolf Eichmann, il criminale nazista processato a Gerusalemme nel 1961, evento che segnerà profondamente tutta la riflessione arendtiana successiva, e quella di Josef K., uno dei protagonisti kafkiani più ambigui e metaforici.
In questa sede introduttiva non voglio anticipare gli aspetti particolari di questo studio, ma ci tengo a sottolineare come la mancanza di quella capacità chiamiamo “pensare”, difetto che caratterizza entrambe le personalità prese in esame, annulli paradossalmente una distinzione sempre scontata: quella tra le vittime e i carnefici.
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