Tesi etd-10022014-152306 |
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Tipo di tesi
Tesi di laurea specialistica
Autore
PAU, MICHELA
URN
etd-10022014-152306
Titolo
L'IDENTITA' ARABO-ISLAMICA E LA SUA RAPPRESENTAZIONE MEDIALE
Dipartimento
SCIENZE POLITICHE
Corso di studi
SOCIOLOGIA
Relatori
relatore Dott. Tomei, Gabriele
Parole chiave
- Nessuna parola chiave trovata
Data inizio appello
20/10/2014
Consultabilità
Completa
Riassunto
In questo capitolo, si parte col analizzare come si sviluppa l’identità di ciascun individuo per giungere a comprendere in che modo i vari cambiamenti verificatesi sono stati capaci di incidere sulla struttura sociale e poi anche su di essa. Una particolare attenzione quindi, è doverosa rivolgerla anche alla globalizzazione considerata la causa di alcuni principali mutamenti, ovvero del passaggio dalla società premoderna a quella moderna, della destabilizzazione degli individui e soprattutto dell’irrefrenabile crisi identitaria che si manifesta sulla maggior parte di essi. In più circostanze, infatti, malgrado abbia favorito l’accostamento di culture e individui differenti, pare che non abbia altrettanto assicurato l’interazione e il confronto con l’altro e che sono invece necessari, da quanto sostengono anche gli studiosi Turner et. al (1987) e, più di recente, Mazzara, per il processo di formazione dell’identità in quanto aiutano ciascuno a conoscere gli altri ma anche, e soprattutto, a conoscere meglio se stessi. Da quanto sostiene anche Cotesta infatti, il percorso della costruzione identitaria inizia dal piccolo gruppo, cioè dalla famiglia, e si estende al grande gruppo sociale, vale a dire l’umanità, attraversando cinque fasi principali:
«la fase della prima infanzia; la fase della seconda infanzia e dell’adolescenza; la fase della gioventù; la fase adulta; la fase dell’invecchiamento e del declino sociale (Cotesta, 2009, p. 152)».
Nel passaggio fra queste fasi, l’individuo sostituisce l’identità personale con quella sociale e tutto ciò che egli ha acquisito fin dalla nascita, interagendo e sfruttando le possibilità oggettive contenute nell’ambito sociale nel quale è nato e vive, nonché lo stile, i valori e le usanze del suo gruppo sociale, viene arricchito o sostituito da ciò che egli acquisisce interagendo e confrontandosi con individui appartenenti anche ad altri gruppi sociali (Cotesta, 2009). Nei casi però, in cui tale interazione e tale confronto non sono immediati significa che è venuto a mancare il riconoscimento reciproco, ovvero quell’approvazione da parte degli altri di cui parlano anche alcuni studiosi, tra cui Ciucci, e che servono invece all’individuo ad acquistare una relazione positiva con se stesso, a raggiungere l’autorealizzazione individuale e quindi a rafforzare anche la propria identità. Secondo le analisi anche di Honneth:
«gli individui si costituiscono come persone solo apprendendo a rapportarsi a sé stessi dalla prospettiva di un altro che li approva o li incoraggia, come esseri positivamente caratterizzati da determinate qualità e capacità» (cit. 1992, in Ciucci, p. 73).
In questi casi inoltre in cui non si verifica il riconoscimento, perché si ha una negazione o una revoca da parte degli altri, sopraggiunge invece il misconoscimento di cui parla Taylor:
«(…) la nostra identità sia plasmata, in parte, dal riconoscimento o, spesso da un misconoscimento da parte di altre persone, per cui un individuo o un gruppo può subire un danno reale, una reale distorsione, se le persone o la società che lo circondano gli rimandano, come uno specchio, un’immagine di sé che lo limita o sminuisce o umilia» (cit. 1998, in Biancheri, 2008, p. 58).
Stando ai fatti, nella società moderna, sembrerebbe che fra gli individui stia accadendo proprio questo, ovvero che i casi di misconoscimento stiano decisamente prevalendo. Ciò, tra l’altro, è riconducibile al fatto che sono venuti a mancare alcuni dei caratteri rilevanti appartenenti alle comunità premoderne, come il forte legame alla tradizione, il forte senso di appartenenza, le relazioni faccia a faccia, o meglio i legami personali basati sulla simpatia e sulla solidarietà che rendono i nuovi e numerosi legami molto più frivoli. Sono prevalsi alcuni degli aspetti di cui parla anche Ciucci come l’insicurezza, l’individualismo, l’indifferenza verso il prossimo e verso le disuguaglianze che, oltre a segnare il passaggio dalla comunità alla società, hanno penalizzato la fiducia in sé e l’altruismo. Gli stessi aspetti che aveva individuato Tönnies e che sono stati ripresi anche da Bauman:
«incomprensioni, indifferenza, giudizi impietosi, competizioni sfrenate, chiusure individualistiche, conflitti insanabili appaiono esperienze riferibili solo alla società, ma estranee all’idea diffusa della comunità» (cit. 1887, in Ciucci, p.35).
«la reciproca comprensione si dà nella comunità (…). La profonda fiducia del riconoscimento-accoglienza- stima, la sicurezza del sostegno a chi ha scarse risorse, il sentimento di affidabilità e di gratitudine, la fedeltà- stabilità delle relazioni, l’assenza dell’universale equivalenza delle prestazioni: sono questi i tratti della comunità fondata sulla comprensione reciproca (…)» (cit. 2001, in Ciucci, p.37).
Sarebbe bene quindi che gli individui, per superare tale situazione, si impegnassero nella lotta o nella negoziazione per il riconoscimento, anche perché:
«la lotta per il riconoscimento diventa azione politica, che svolge una rilevante “funzione secondaria”, consentendo al soggetto coinvolto di superare lo “svilimento passivo”, la mortificazione di sé”, la vergogna di trovare, nell’impegno comune, un rinnovato positivo rapporto con se stesso» (cit. 1992, in Ciucci, pp. 70, 71 ).
In ogni individuo inoltre, sarebbe opportuno che si “riaccendesse” anche la consapevolezza di appartenere ad una tradizione in modo da non dover necessariamente omologarsi alla cultura globale priva, come sottolinea lo studioso Smith (1990), di alcun riferimento, ovvero di un luogo e di un periodo ben preciso perché ricavata da componenti appartenenti a diverse culture ma a nessuna in particolare (cit. 1990, in Bartholini, 2003, p.30).
In ogni cultura, per di più, sarebbe necessario che si diffondesse l’idea del rispetto reciproco in modo tale che anche le minoranze imparino a riacquistare la fiducia in sé, valorizzando la propria cultura, o meglio la propria identità, e rifiutandosi, contemporaneamente, di fondersi in una cultura predominante.
«la fase della prima infanzia; la fase della seconda infanzia e dell’adolescenza; la fase della gioventù; la fase adulta; la fase dell’invecchiamento e del declino sociale (Cotesta, 2009, p. 152)».
Nel passaggio fra queste fasi, l’individuo sostituisce l’identità personale con quella sociale e tutto ciò che egli ha acquisito fin dalla nascita, interagendo e sfruttando le possibilità oggettive contenute nell’ambito sociale nel quale è nato e vive, nonché lo stile, i valori e le usanze del suo gruppo sociale, viene arricchito o sostituito da ciò che egli acquisisce interagendo e confrontandosi con individui appartenenti anche ad altri gruppi sociali (Cotesta, 2009). Nei casi però, in cui tale interazione e tale confronto non sono immediati significa che è venuto a mancare il riconoscimento reciproco, ovvero quell’approvazione da parte degli altri di cui parlano anche alcuni studiosi, tra cui Ciucci, e che servono invece all’individuo ad acquistare una relazione positiva con se stesso, a raggiungere l’autorealizzazione individuale e quindi a rafforzare anche la propria identità. Secondo le analisi anche di Honneth:
«gli individui si costituiscono come persone solo apprendendo a rapportarsi a sé stessi dalla prospettiva di un altro che li approva o li incoraggia, come esseri positivamente caratterizzati da determinate qualità e capacità» (cit. 1992, in Ciucci, p. 73).
In questi casi inoltre in cui non si verifica il riconoscimento, perché si ha una negazione o una revoca da parte degli altri, sopraggiunge invece il misconoscimento di cui parla Taylor:
«(…) la nostra identità sia plasmata, in parte, dal riconoscimento o, spesso da un misconoscimento da parte di altre persone, per cui un individuo o un gruppo può subire un danno reale, una reale distorsione, se le persone o la società che lo circondano gli rimandano, come uno specchio, un’immagine di sé che lo limita o sminuisce o umilia» (cit. 1998, in Biancheri, 2008, p. 58).
Stando ai fatti, nella società moderna, sembrerebbe che fra gli individui stia accadendo proprio questo, ovvero che i casi di misconoscimento stiano decisamente prevalendo. Ciò, tra l’altro, è riconducibile al fatto che sono venuti a mancare alcuni dei caratteri rilevanti appartenenti alle comunità premoderne, come il forte legame alla tradizione, il forte senso di appartenenza, le relazioni faccia a faccia, o meglio i legami personali basati sulla simpatia e sulla solidarietà che rendono i nuovi e numerosi legami molto più frivoli. Sono prevalsi alcuni degli aspetti di cui parla anche Ciucci come l’insicurezza, l’individualismo, l’indifferenza verso il prossimo e verso le disuguaglianze che, oltre a segnare il passaggio dalla comunità alla società, hanno penalizzato la fiducia in sé e l’altruismo. Gli stessi aspetti che aveva individuato Tönnies e che sono stati ripresi anche da Bauman:
«incomprensioni, indifferenza, giudizi impietosi, competizioni sfrenate, chiusure individualistiche, conflitti insanabili appaiono esperienze riferibili solo alla società, ma estranee all’idea diffusa della comunità» (cit. 1887, in Ciucci, p.35).
«la reciproca comprensione si dà nella comunità (…). La profonda fiducia del riconoscimento-accoglienza- stima, la sicurezza del sostegno a chi ha scarse risorse, il sentimento di affidabilità e di gratitudine, la fedeltà- stabilità delle relazioni, l’assenza dell’universale equivalenza delle prestazioni: sono questi i tratti della comunità fondata sulla comprensione reciproca (…)» (cit. 2001, in Ciucci, p.37).
Sarebbe bene quindi che gli individui, per superare tale situazione, si impegnassero nella lotta o nella negoziazione per il riconoscimento, anche perché:
«la lotta per il riconoscimento diventa azione politica, che svolge una rilevante “funzione secondaria”, consentendo al soggetto coinvolto di superare lo “svilimento passivo”, la mortificazione di sé”, la vergogna di trovare, nell’impegno comune, un rinnovato positivo rapporto con se stesso» (cit. 1992, in Ciucci, pp. 70, 71 ).
In ogni individuo inoltre, sarebbe opportuno che si “riaccendesse” anche la consapevolezza di appartenere ad una tradizione in modo da non dover necessariamente omologarsi alla cultura globale priva, come sottolinea lo studioso Smith (1990), di alcun riferimento, ovvero di un luogo e di un periodo ben preciso perché ricavata da componenti appartenenti a diverse culture ma a nessuna in particolare (cit. 1990, in Bartholini, 2003, p.30).
In ogni cultura, per di più, sarebbe necessario che si diffondesse l’idea del rispetto reciproco in modo tale che anche le minoranze imparino a riacquistare la fiducia in sé, valorizzando la propria cultura, o meglio la propria identità, e rifiutandosi, contemporaneamente, di fondersi in una cultura predominante.
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