Tesi etd-10012020-104423 |
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Tipo di tesi
Tesi di laurea magistrale LM5
Autore
ANCILLOTTI, TOMMASO
URN
etd-10012020-104423
Titolo
L'art. 416 bis c.p. e le mafie delocalizzate: la ricerca di un baricentro tra istanze repressive ed esigenze di garanzia
Dipartimento
GIURISPRUDENZA
Corso di studi
GIURISPRUDENZA
Relatori
relatore Prof.ssa Venafro, Emma
Parole chiave
- assoggettamento ed omertà
- cellule mafiose delocalizzate
- delitto di associazione mafiosa
- delocalizzazione mafiosa
- forza di intimidazione
- metodo mafioso
- oscillazioni giurisprudenziali
Data inizio appello
20/10/2020
Consultabilità
Non consultabile
Data di rilascio
20/10/2090
Riassunto
Il presente elaborato si propone di affrontare l’analisi del delitto di cui all’art. 416 bis c.p. (associazione di tipo mafioso) e la sua applicazione alle c.d. “mafie delocalizzate”.
Per analizzare il reato in questione, si è proceduto preliminarmente ad inquadrare la mafia sul piano socio-criminologico, analizzando i tratti peculiari di questa particolare forma di criminalità organizzata e la sua evoluzione nel tempo.
Successivamente, si è passati ad esaminare il delitto di associazione mafiosa sul piano strettamente giuridico. In particolare, si sono individuate le ragioni sottese alla sua introduzione nel 1982, fino ad analizzare il baricentro del delitto in esame, ossia il terzo comma dell’art. 416 bis c.p., che descrive il c.d. metodo mafioso.
Una volta affrontato l’esame della fattispecie incriminatrice, si è passati ad affrontare la tematica della sua controversa applicazione alle mafie delocalizzate, ossia alle dislocazioni delle mafie storiche al di fuori dei territori di origine. Tale applicazione si è rivelata particolarmente problematica, poiché si sono verificate oscillazioni della giurisprudenza tra due indirizzi interpretativi, uno restrittivo, l’altro estensivo, che hanno determinato un’incertezza circa l’ambito applicativo della fattispecie. Tanto è vero che, in ben due occasioni, vi è stata una rimessione della questione alle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, affinché esse dirimessero il contrasto interpretativo; tuttavia, in entrambe le occasioni, stante il rigetto del Primo Presidente della Suprema Corte, esse non hanno avuto modo di intervenire.
Da ultimo, si è cercato di individuare quelle che dovrebbero essere le prospettive de iure condendo, ipotizzando anche un intervento del legislatore sul terzo comma dell’art. 416 bis c.p.
Per analizzare il reato in questione, si è proceduto preliminarmente ad inquadrare la mafia sul piano socio-criminologico, analizzando i tratti peculiari di questa particolare forma di criminalità organizzata e la sua evoluzione nel tempo.
Successivamente, si è passati ad esaminare il delitto di associazione mafiosa sul piano strettamente giuridico. In particolare, si sono individuate le ragioni sottese alla sua introduzione nel 1982, fino ad analizzare il baricentro del delitto in esame, ossia il terzo comma dell’art. 416 bis c.p., che descrive il c.d. metodo mafioso.
Una volta affrontato l’esame della fattispecie incriminatrice, si è passati ad affrontare la tematica della sua controversa applicazione alle mafie delocalizzate, ossia alle dislocazioni delle mafie storiche al di fuori dei territori di origine. Tale applicazione si è rivelata particolarmente problematica, poiché si sono verificate oscillazioni della giurisprudenza tra due indirizzi interpretativi, uno restrittivo, l’altro estensivo, che hanno determinato un’incertezza circa l’ambito applicativo della fattispecie. Tanto è vero che, in ben due occasioni, vi è stata una rimessione della questione alle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, affinché esse dirimessero il contrasto interpretativo; tuttavia, in entrambe le occasioni, stante il rigetto del Primo Presidente della Suprema Corte, esse non hanno avuto modo di intervenire.
Da ultimo, si è cercato di individuare quelle che dovrebbero essere le prospettive de iure condendo, ipotizzando anche un intervento del legislatore sul terzo comma dell’art. 416 bis c.p.
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