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Archivio digitale delle tesi discusse presso l'Università di Pisa

Tesi etd-10012019-151841


Tipo di tesi
Tesi di specializzazione (4 anni)
Autore
PATERNI, SIMONE
URN
etd-10012019-151841
Titolo
Diabete mellito di tipo 2 nel grande anziano con frattura di femore da fragilità: valore prognostico del controllo glicometabolico e dell'approccio terapeutico.
Dipartimento
MEDICINA CLINICA E SPERIMENTALE
Corso di studi
GERIATRIA
Relatori
relatore Prof. Monzani, Fabio
Parole chiave
  • diabete mellito
  • controllo glicometabolico
  • anziani
  • geriatria
  • ortogeriatria
Data inizio appello
06/11/2019
Consultabilità
Non consultabile
Data di rilascio
06/11/2089
Riassunto
La popolazione anziana costituisce una grossa fetta della popolazione italiana ed è destinata a crescere nel tempo. Il diabete mellito di tipo 2 (DM2) interessa quasi un quinto dei soggetti > 65 anni di età ed è un noto fattore di rischio per osteoporosi e sviluppo di fratture da fragilità, fra cui la frattura di femore. Il paziente diabetico tende inoltre a cadere più spesso, sia per le complicanze legate alla malattia (neuropatie, retinopatia) sia in relazione alle ipoglicemie secondarie a trattamento. La frattura di femore rappresenta un fattore prognostico negativo per l’anziano, soprattutto se diabetico. In questo panorama si fa strada la necessità di un approccio ortogeriatrico e multidisciplinare che guardi al paziente diabetico con frattura di femore nella sua globalità.

Scopo dello studio
Il progetto Ortogeriatria nasce dalla collaborazione tra U.O. Geriatria Universitaria e U.O. Traumatologia Universitaria dell’Azienda Ospedaliera Universitaria Pisana, composta dalla U.O. Ortopedia e Traumatologia Universitaria. Scopo del presente studio è stato di valutare la prevalenza di diabete mellito di tipo 2 (DM2) in una coorte di paziente anziani fratturati di femore e di verificare la presenza di possibili correlazioni fra la presenza di questa malattia e valutazione multidimensionale geriatrica, parametri ematochimici, outcome clinico e recupero funzionale, anche in termini di controllo glico-metabolico e tipologia di terapia antidiabetica. Questa analisi favorirà una migliore pianificazione dell’iter terapeutico interdisciplinare dei pazienti fragili con frattura di femore. In particolare, consentirà di scegliere il trattamento medico più appropriato nel paziente diabetico fratturato e favorirà l’inquadramento clinico per l’accesso alle cure riabilitative oltre che la pianificazione di un adeguato follow up. Tutto ciò, anche in base alle precedenti esperienze di ortogeriatria già pubblicate, potrebbe tradursi in una migliore qualità di vita con riduzione della mortalità e del numero di recidive oltre che in una riduzione complessiva della disabilità funzionale residua e dei costi socio-economici associati.

Materiali e metodi
Il presente studio osservazionale è stato condotto in maniera longitudinale e i dati sono stati raccolti prospetticamente. Sono stati arruolati 1319 pazienti con età ≥65 anni ricoverati in regime di urgenza presso la U.O. Ortopedia e Traumatologia Universitaria dell’Azienda Ospedaliera Universitaria Pisana (A.O.U.P.) con diagnosi di frattura di femore, seguiti durante la degenza all’interno del percorso ortogeriatrico da aprile 2013 a Dicembre 2018 ed inseriti all’interno del progetto Ortogeriatria della U.O. Geriatria Universitaria della A.O.U.P. Di questa popolazione è stato quindi analizzato il sottogruppo dei pazienti affetti da DM2, costituito da 277 soggetti. I pazienti sono stati arruolati per tipologia di frattura comprendendo le sole fratture di femore ed escludendo tutti gli altri distretti corporei. Nella fase pre-operatoria tutti i pazienti sono stati sottoposti a valutazione clinica (anamnesi, esame obiettivo e stabilizzazione emodinamica) ed a valutazione multidimensionale geriatrica (VMDG), comprensiva di valutazione cognitiva tramite Short Portable Mental Status Questionnaire (SPMSQ), valutazione del grado di autonomia tramite Activities of Daily Living ed Instrumental Activities of Daily Living (ADL e IADL), controllo dello stato cognitivo tramite Confusion Assessment Method (CAM) pre- e post-operatorio per valutare l’eventuale insorgenza di delirium. Si è proceduto ad effettuare il controllo e l’ottimizzazione della terapia domiciliare in merito alle principali patologie croniche dell’anziano in accordo con le linee guida internazionali, suddividendo in particolare i pazienti diabetici in classi secondo la terapia antidiabetica assunta a domicilio. Di tutti i pazienti sono stati raccolti all’ingresso i seguenti dati: nome, sesso, età, periodo di accesso, anamnesi patologica prossima e remota, terapia domiciliare al momento del ricovero con numero e tipo di farmaci assunti, numero e tipo di comorbidità, anamnesi positiva per precedenti episodi di fratture. Al fine di standardizzare le comorbidità della popolazione è stato utilizzato il Cumulative Illness Rating Scale (CIRS). Sono stati, inoltre, inseriti i dati relativi all’andamento del ricovero: motivo di accesso al PS, numero di fratture al momento dell’accesso, sede di frattura, eventuale coesistenza di un trauma cranico, intervallo di tempo trascorso tra l’accesso in PS e l’intervento, durata della degenza, posizionamento e durata della permanenza del catetere vescicale, indice di massa corporea espresso in BMI (kg/m2), parametri vitali (pressione arteriosa espressa in mmHg e frequenza cardiaca espressa in battiti per minuto) e parametri bioumorali all’ingresso ed in dimissione. Sono state registrate, ove comparse, le complicanze peri-operatorie, in particolar modo il delirium, la comparsa di anemizzazione e l’eventuale supporto emotrasfusionale. È stata infine inserita la destinazione del paziente alla dimissione. Il follow up con intervista telefonica è stato eseguito a 6-8 mesi ed è stata esplorata, previo consenso informato telefonico, l’autonomia del soggetto in base alla deambulazione (da autonoma senza ausili fino all’allettamento), il grado di capacità funzionale domestica tramite ADL e IADL, l’aderenza alla riabilitazione. Nel corso del follow up è stato eseguito periodico censimento dei vivi e dei deceduti, ultimo a Giugno 2019, mediante programma anagrafico GSA. L’analisi statistica è stata condotta utilizzando il software IBM SPSS Statistic (IBM SPSS Statistic version 20.0 Ink IBM Corporation and itslicensor 1989-2011). I dati con distribuzione parametrica sono stati espressi come media ±DS. Le relazioni tra le diverse variabili continue sono state valutate con il t-test per campioni indipendenti, le variabili categoriche con il test chi-quadro. L’analisi della sopravvivenza in termini di Overall Survival è stata imposta tramite il metodo attuariale di Kaplan-Meier sulla base dei dati prospettici raccolti, confrontando le curve di sopravvivenza tramite il log rank test. I dati sono stati valutati tramite regressione logistica e le covariate sono state valutate sia in modalità univariata che multivariata.

Risultati
Nello studio sono stati arruolati 1319 pazienti con fratture di femore trattate chirurgicamente. La popolazione in esame era costituita per il 75.9% da donne e per il 24.1% da uomini, con età media globale (±DS) di 83.3 ± 7.5 anni. I pazienti avevano diagnosi di diabete mellito di tipo 2 nel 21% dei casi (277 pazienti, di cui 198 donne e 79 uomini). Nel 95.9 % dei casi la causa dell’evento era stata una caduta accidentale, nel restante 4.1% un evento sincopale. Le fratture sono state trattate mediante intervento chirurgico di protesi nel 30% dei casi e mediante osteosintesi nel 70%, con degenza media di 5.8 giorni (1-30 giorni). Il CIRS medio calcolato è stato di (±DS) di 1.7 ± 0.5. In termini di disabilità, il 31.4% è risultato avere ADL ≤ 4 prima della frattura, mentre un 70.5% aveva un IADL ≤ 6. Mediante questionario SPMSQ è stato descritto un decadimento cognitivo ( ≥ 3 errori) nel 35.2% dei pazienti esaminati. La prevalenza di delirium ipercinetico durante la degenza (considerando sia il pre- che il post-operatorio) è stata del 10.7%. La funzionalità renale in termini di filtrato glomerulare (Chronic Kidney Disease Epidemiology Collaboration, CKD-EPI) è risultata in media all’ingresso 68.6 mL/min/1.73 m2; i valori di albuminemia erano in media di 3.6 g/dl nel pre-operatorio e di 2.9 g/dl nel post-operatorio, mentre i livelli medi di emoglobina registrati in PS sono stati di 11.5 g/dl, con una perdita media post-operatoria di 2.3 g/dl. I pazienti in esame erano non diabetici nel 79% dei casi (1042 pazienti); di questi 803 erano donne e 239 uomini. L’età media globale (±DS) è risultata di 83.6 ± 7.7 anni. La valutazione multidimensionale geriatrica (VMDG) ha mostrato valori medi (±DS) di CIRS paria 1.7 ±0.3, BADL 4.2 ±2.1 (30.4% BADL < 3), IADL 4.2 ±3.0, SPMSQ 2.7 ±3.1 (con decadimento cognitivo severo nel 13% dei casi). La durata media di degenza (±DS) è risultata di 6.1 ± 2.8 giorni. I valori medi (±DS) all’ingresso di creatininemia erano 0.96 ± 0.6 mg/dl; albuminemia 3.5 ± 0.4 g/dl; emoglobina 11.5 ± 1.7 g/dl. A 6-8 mesi dall’evento fratturativo, dei 302 pazienti non diabetici intervistati telefonicamente, il 92% aveva effettuato un percorso fisioterapico di riabilitazione; il 43% non deambulava, il 49% deambulava con ausilio, l’8% camminava autonomamente. I pazienti intervistati presentavano una perdita media (±DS) di ADL pari a - 0.68 ±2.2. Il gruppo di pazienti affetti da diabete mellito di tipo 2 si costituiva di 277 individui, di cui il 71.1% rappresentato da donne; l’età media globale (±DS) è risultata essere 82.2 ±7.7 anni. Alla valutazione multidimensionale geriatrica (VMDG) sono stati calcolati valori medi (±DS) di CIRS pari a 1.8 ±0.3, BADL 4.2 ±2.1 (33% BADL < 3), IADL 4.1 ±2.9, SPMSQ 2.6 ±2.9 (con decadimento cognitivo severo nel 13% dei casi). La durata media di degenza (±DS) è risultata di 6.9 ±2.7 giorni. I valori medi (±DS) all’ingresso di creatininemia erano 0.96 ±0.6 mg/dl; albuminemia 3,5 ±0.4 g/dl; emoglobina 11.5 ±1.7 g/dl. Il 17.8% dei pazienti diabetici era in terapia dietetica, il 39.4% assumeva almeno una terapia antidiabetica orale ed il 22% eseguiva terapia insulina. Globalmente il 35.2% aveva in terapia domiciliare almeno un farmaco ipoglicemizzante (insulina, sulfaniluree, glinidi). Il valore medio (±DS) di HbA1c è risultato di 52.3 ±14.7 mmol/mol. I valori di HbA1c nel sottogruppo dei pazienti in terapia ipoglicemizzante è risultato in media (±DS) di 57 ±16 mmol/mol, mentre negli altri era pari a 51 ±13 mmol/mol. In termini di HbA1c i soggetti in esame mostravano un controllo glico-metabolico soddisfacente (tra 42 e 52 mmol/mol) nel 37.6% dei casi ed accettabile per età (tra 53 e 63 mmol/mol) nel 29% dei casi; il 17.7% dei pazienti mostrava un pessimo controllo glicemico (HbA1c > 64 mmol/mol) ed il 15.7% un controllo troppo stretto (HbA1c < 42 mmol/mol). Dopo 6-8 mesi dall’evento fratturativo, dei 69 pazienti diabetici intervistati telefonicamente, il 94% aveva effettuato un percorso fisioterapico di riabilitazione; il 44% non deambulava, il 50% deambulava con ausilio, il 6% camminava autonomamente. I pazienti intervistati presentavano una perdita media (±DS) di ADL pari a - 0.62 ±2.2. I pazienti diabetici presentavano in media (±DS) un carico di comorbidità significativamente maggiore dei controlli non diabetici [CIRS 1.8 ±0.3 Vs 1.7 ±0.3 (p<0.0001)]. Al contrario non è risultata statisticamente significativa la differenza presente negli altri items della VMDG: BADL 4.2 ±2.1 (33% BADL <3) Vs 4.2 ±2.1 (30.4% BADL <3); IADL 4.1 ±2.9 Vs 4.1 ±3; SPSMQ 2.6 ±2.9 Vs 2.7 ±3.1. La degenza media (±DS) dei pazienti con DM2 è risultata significativamente più lunga dei controlli [6.9 ±2.7 Vs 6.1 ±2.8 giorni (p<0,0001)]. Fra i dati ematochimici pre-intervento presi in esame, i pazienti diabetici presentavano un livello medio (±DS) di creatininemia significativamente maggiore rispetto ai non diabetici [1.3 ±0.9 Vs 0.9 ±0.6 (p<0,003)], mentre albuminemia ed emocromo non differivano in modo significativo (albuminemia 3.5 ±0.4 Vs 3.5 ±0.4 g/dl; emoglobina 11.5 ±1.7 Vs 11.2 ±1.7 g/dl; piastrine 208739 ±79000 Vs 200270 ±57365 /mcL; globuli bianchi 9171 ±3141 Vs 9206 ±3330 /mcL). Nessuna differenza tra pazienti diabetici e non diabetici era presente in termini di numero di fratture pregresse, aderenza alla riabilitazione e ripresa della deambulazione a 6-8 mesi. I pazienti diabetici trattati con terapia ipoglicemizzante (insulina, glinidi, sulfaniluree) rispetto a quelli trattati con farmaci non ipoglicemizzanti (metformina, incretine) presentavano valori medi (±DS) di HbA1c significativamente maggiori (56 ±14 Vs 49 ±14 mmol/mol, p < 0.003). In termini di VMDG i pazienti in terapia ipoglicemizzante avevano peggiori risultati allo SPMSQ con differenza statisticamente significativa (2.1 ±2.5 Vs 2.9 ±3.2, p < 0.05) mentre non differivano per livelli di autonomia (BADL 4.1 ±2.0 Vs 4.2 ±2.1; IADL 3.9 ±2.8 Vs 4.3 ±3.0) e parametri ematochimici (creatinina 1.1 ±0.9 Vs 1.2 ±0.9; albuminemia 3.4 ±0.3 Vs 3.5 ±0.4 g/dl; emoglobina 11.2 ±1.8 Vs 11.3 ±1.7 g/dl). I pazienti in terapia con insulina e/o sulfaniluree presentavano una frequenza maggiore di traumi cranici (16% Vs 12%) e di fratture multiple (14.6% Vs 8.7%) associate alla caduta, seppur in assenza di significatività statistica. In anamnesi patologica remota non risultavano differenze significative nel numero di pregresse fratture, risultate di pari frequenza nei due gruppi. Uno degli obiettivi dello studio è stato quello di valutare la sopravvivenza dei soggetti in esame, è stato quindi eseguito il censimento dei soggetti deceduti tramite apposito programma (GSA); il follow up di osservazione medio è stato di 28.9 mesi (1-60 mesi). Nel gruppo dei pazienti diabetici la mortalità ad un anno è risultata del 20% (contro il 15% dei non diabetici) con un aumento progressivo fino a 5 anni (45% per i diabetici Vs 38% dei non diabetici). All’analisi di sopravvivenza secondo regressione di Cox i pazienti con DM2 hanno mostrato rispetto ai non diabetici una aumentata mortalità ( H.R. 1.42 I.C.95% 1.08-1.89). Questa relazione è stata confermata all’analisi multivariata corretta per età, sesso, CIRS e terapia ipoglicemizzante (Adjusted H.R. 1.36 I.C.95% 1.01-1.84). In termini di controllo glico-metabolico, espresso come valore di HbA1c, non sono state evidenziate differenze significative di mortalità all’interno del gruppo dei pazienti diabetici fratturati di femore. Tuttavia i pazienti con valori di HbA1c soddisfacenti, compresi nell’intervallo tra 42 e 64 mmol/l, presentavano nei primi 24 mesi una sopravvivenza maggiore rispetto ai soggetti con valori di HbA1c all’ingresso < 42 mmol/mol e > 64 mmol/mol.

Conclusioni
La nostra casistica ha evidenziato nella popolazione in esame una prevalenza di DM2 pari al 21%, di poco superiore rispetto alla popolazione generale italiana sopra 65 anni di età (pari al 18.8%). La elevata prevalenza di diabete mellito di tipo 2 riscontrata in questo gruppo di pazienti anziani con frattura di femore può certamente essere messa in relazione all’aumentato rischio fratturativo che associa tale patologia sistemica alle fratture da fragilità ed in particolare a quella di femore. Tuttavia nella popolazione in esame il numero di pregresse fratture non differiva tra diabetici e non diabetici; tali risultati, parzialmente in disaccordo con quanto riportato in letteratura, potrebbero dipendere dalle caratteristiche generali della popolazione in esame, caratterizzata mediamente da una buona riserva funzionale e cognitiva. Il gruppo di anziani diabetici con frattura di femore ha mostrato significative differenze con il gruppo dei non diabetici in termini di maggiori comorbidità e peggiore funzionalità renale, come ci si poteva aspettare in ragione della patologia diabetica, mentre non si sono riscontrate differenze in termini di funzionalità residue (BADL ed IADL) e stato cognitivo (SPMSQ). Inoltre si è confermata la maggiore durata di degenza ospedaliera del paziente diabetico. I pazienti in terapia con farmaci ipoglicemizzanti (insulina, sulfaniluree, glinidi), pari al 35.2% dei soggetti diabetici esaminati, presentavano un numero maggiore di traumi cranici e fratture multiple associate alla caduta, a sottolineare la maggiore severità delle cadute ipoglicemia-correlate. Peraltro, l’utilizzo di insulina e sulfaniluree si associava a peggiori capacità cognitive, in termini di numero di errori allo SPMSQ, con una differenza statisticamente significativa rispetto ai pazienti in terapia dietetica o in terapia antidiabetica non ipoglicemizzante, confermando la nota associazione per il paziente diabetico tra decadimento cognitivo ed ipoglicemia. Il diabete mellito di tipo 2 si è confermato fattore prognostico negativo di sopravvivenza nel panziente anziano con frattura di femore, indipendentemente dal sesso, dal grado di comorbidità e dall’utilizzo di terapie ipoglicemizzanti. Il soggetto anziano fratturato di femore è risultato avere, nel nostro studio, un rischio di morte del 42% superiore rispetto ad un coetaneo non diabetico, dato in linea con altri studi presenti in letteratura. Da studi precedenti emerge come l’aumento di mortalità successivo alla frattura di femore nell’anziano, anche diabetico, dipenda nel primo anno da complicanze post-operatorie, in primis infettive. Studi recenti hanno confermato che la differenza assoluta di mortalità tra diabetici e non diabetici aumenta anche negli anni successivi alla frattura a supporto del fatto che la mortalità in eccesso per i pazienti diabetici con frattura di femore non è dovuta esclusivamente all'aumento della mortalità nella fase acuta post-operatoria. Questo andamento della mortalità è stato osservato anche nella nostra casistica, dove persiste fino ad almeno 60 mesi dalla frattura. Le cause di questo andamento della curva di sopravvivenza nel diabetico anziano fratturato di femore non sono ancora del tutto chiare; non si può escludere che il diabete mellito possa contribuire nel rendere l’anziano più fragile e quindi meno capace di rispondere agli eventi acuti che compaiono nell’età avanzata, tra i quali la frattura di femore è sicuramente uno dei più i temibili. Inoltre, i livelli di HbA1c nel nostro studio non impattano significativamente sulla sopravvivenza, dato in accordo con studi su popolazioni analoghe presenti in letteratura. Si sottolinea tuttavia che i pazienti anziani in esame che avevano un controllo glico-metabolico ottimale (HbA1c 42-52 mmol/mol ) o soddisfacente per età (HbA1c 53-63 mmol/mol) mostravano un maggiore sopravvivenza nei primi 24 mesi dalla frattura rispetto ai pazienti con un controllo glicemico inadeguato (HbA1c ≥ 64 mmol/mol) o troppo rigido (HbA1c ≤ 42 mmol/mol). Questo conferma la necessità di mantenere un adeguato controllo glicemico nel paziente anziano diabetico, prediligendo la personalizzazione del trattamento ed evitando un eccessivo controllo glico-metabolico. Infine a 6-8 mesi dall’evento la maggioranza dei pazienti diabetici e non diabetici, pur aderendo a percorsi riabilitativi, non aveva recuperato la deambulazione autonoma con una perdita in funzioni di base, senza differenze significative tra i due gruppi, a confermare il ruolo della frattura di femore nella perdita della capacità deambulatoria, specie dell’anziano. Si può pertanto ritenere che la gravità d’impatto della frattura di femore sull’anziano imponga una attenta valutazione preventiva in termini di rischio fratturativo e di cadute, specie nel paziente diabetico. Inoltre il percorso ortogeriatrico, notoriamente associato ad un miglioramento della sopravvivenza nei pazienti anziani fratturati, deve essere considerato non solo come valido strumento di valutazione pre- e post-operatoria nel setting traumatologico ma anche come metodo di valutazione clinica sul medio-lungo periodo dopo una frattura da fragilità attraverso un periodico controllo dei pazienti a rischio.
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