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Archivio digitale delle tesi discusse presso l’Università di Pisa

Tesi etd-09302019-112240


Tipo di tesi
Tesi di laurea magistrale LM6
Autore
POLLINO, ANNA CHIARA
URN
etd-09302019-112240
Titolo
Predittori del recupero della funzione renale in pazienti con danno renale acuto in Medicina d'Urgenza
Dipartimento
RICERCA TRASLAZIONALE E DELLE NUOVE TECNOLOGIE IN MEDICINA E CHIRURGIA
Corso di studi
MEDICINA E CHIRURGIA
Relatori
relatore Prof. Ghiadoni, Lorenzo
Parole chiave
  • creatinina
  • insufficienza
  • rene
  • urgenza
Data inizio appello
15/10/2019
Consultabilità
Non consultabile
Data di rilascio
15/10/2089
Riassunto
Il danno renale acuto (AKI, Acute Kidney Injury), in precedenza definito insufficienza renale acuta, è caratterizzato da un rapido deterioramento della funzione renale che dà luogo a ritenzione di scorie azotate e altri prodotti metabolici normalmente eliminati dal rene. È una sindrome clinica determinata da diverse entità patologiche che tuttavia condividono caratteristiche diagnostiche comuni: in particolare, un aumento della concentrazione ematica di BUN (blood urea nitrogen) e/o della creatinina sierica o plasmatica, spesso insieme a una contrazione della diuresi. Secondo le più recenti linee guida KDIGO 2012 l’AKI è definita da: un aumento della creatinina sierica ≥ 0,3 mg/dl entro 48 ore; oppure un aumento della creatina ≥ 1,5 volte rispetto al valore basale o rispetto al valore presunto nei 7 giorni precedenti; oppure una diuresi < 0,5 ml/kg/h per 6 ore. La gravità viene inoltre stadiata in tre livelli di gravità a seconda della consistenza delle alterazioni di creatinina e diuresi.
Le cause sono tradizionalmente suddivise in tre categorie. L’AKI “pre-renale” (50% dei casi, che includendo anche la sepsi arriva al 60-70% di casi) consegue ad una ipoperfusione renale che comporta una disfunzione d’organo, il più delle volte completamente reversibile. Queste forme, causa più frequente di AKI comunitaria, sono condizioni comuni in un ampio spettro di quadri clinici generalmente associati ad ipovolemia e/o ipotensione. L’AKI “renale” (20-35% dei casi) è determinata da un danno primitivo parenchimale, coinvolgente in vario modo la componente glomerulare, tubulare, interstiziale o vascolare. Questa rappresenta la principale forma di AKI nei pazienti ospedalizzati, di cui le cause più frequenti sono l’ischemia, la sepsi e i farmaci nefrotossici. L’AKI “post renale” (5-15% dei casi) o ostruttiva è causata da un'ostruzione acuta, parziale o completa di qualsiasi tratto delle vie urinarie che ostacola il deflusso di urina. Le cause più frequenti di ostruzione sono l’ipertrofia prostatica benigna, le neoplasie a sede pelvica e la nefrolitiasi.
L’AKI è associato ad un considerevole tasso di morbilità e mortalità (che può arrivare fino al 50% nelle unità di terapia intensiva) di cui lo stadio è predittivo. Una percentuale significativa di pazienti che sviluppano AKI successivamente non va
incontro ad un ripristino della funzione renale. A tal proposito, è utile sottolineare il fatto che spesso il danno renale acuto si intreccia alla malattia renale cronica: è stato largamente evidenziato infatti che la malattia renale cronica aumenta il rischio di AKI e quest’ultimo a sua volta predispone allo sviluppo di una malattia renale cronica di nuova diagnosi o al suo peggioramento verso stadi più avanzati.
Si ritiene che l'incidenza dell'AKI sia significativamente più elevata di quanto si credesse in passato, con una incidenza di oltre il 50% nei pazienti in terapia intensiva. Sebbene non esista un trattamento specifico che favorisca il recupero della funzione renale, i notevoli progressi ottenuti nell’ambito della medicina odierna possono modificare le caratteristiche epidemiologiche dell’AKI in questa categoria di pazienti.
Secondo le linee guida, risulta fondamentale il riconoscimento precoce della causa dell'AKI mediante una scrupolosa anamnesi ed una altrettanto attenta valutazione del decorso ospedaliero. A tutto questo si affianca l’esecuzione di esami di laboratorio mirati come l'analisi biochimica e microscopica delle urine o il dosaggio di molecole specifiche. Imprescindibili sono poi l’ottimizzazione dello stato emodinamico al fine di mantenere un’adeguata perfusione renale ed una eventuale rivalutazione della terapia corrente volta alla sospensione, temporanea o definitiva, dell’utilizzo di farmaci nefrotossici che possano contribuire alla progressione del danno.
Sulla base di questi presupposti, lo studio condotto si è posto l’obiettivo di individuare tutti i pazienti che accedevano nel reparto di Medicina d’Urgenza Universitaria dell’AOUP con diagnosi di AKI o che sviluppavano un danno renale acuto durante la degenza, al fine di verificare l’esistenza di fattori prognostici di recupero completo della funzione renale dopo l’episodio acuto. Il periodo dello studio va da febbraio ad agosto 2018 e da aprile ad agosto 2019, per un totale di 12 mesi di osservazione.
Sono stati arruolati 76 pazienti di cui 40 uomini e 36 donne di età media di 75 anni, con diagnosi di AKI secondo le linee guida KDIGO 2012. Di ciascun paziente sono stati analizzati fattori di rischio anamnestici e gli esami di laboratorio considerati significativi da letteratura, la degenza media, le terapie effettuate e l’eventuale recupero. Suddividendo la popolazione in base al recupero o meno della funzione renale alla dimissione, è emerso che il trattamento domiciliare con ACE-inibitori costituisce un fattore di rischio di danno acuto renale in quanto alla sospensione dello stesso il 78% dei trattati ha mostrato recupero della funzione renale. Questo dato confermerebbe come il meccanismo d’azione del farmaco inibisca l’autoregolazione renale esponendo ad un maggior rischio di danno parenchimale, in particolare in caso di fattori ipotensivanti.
È inoltre emerso che la valutazione dell’albuminuria in fase acuta potrebbe risultare utile per riconoscere i pz con maggior probabilità di recupero. È emerso infatti che fra i pz con albuminuria < 30 mg/g l’80% ha mostrato un recupero della funzione renale. Questo risultato confermerebbe come una maggior perdita della impermeabilità dalla membrana di filtrazione renale e di conseguenza maggiori valori di albuminuria correli con un una minor probabilità di recupero.
In conclusione, l’AKI è una condizione patologica frequente, sia come causa di accesso che come complicanza durante un ricovero in un reparto di medicina d’urgenza, che predilige una popolazione con fattori di rischio predisponenti. Nell’ottica poi di una stima della probabilità di recupero di funzione, sembrerebbero da considerare con particolare interesse la sospensione della terapia con ACE-inibitore e la valutazione dell’albuminuria.
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