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Archivio digitale delle tesi discusse presso l’Università di Pisa

Tesi etd-09292010-121918


Tipo di tesi
Tesi di laurea specialistica LC6
Autore
GIANI, CARLOTTA
URN
etd-09292010-121918
Titolo
Efficacia ablativa del radioiodio somministrato in ipotiroidismo o dopo stimolazione con TSH ricombinante umano in pazienti con Carcinoma differenziato della tiroide a distanza di dieci anni dal trattamento
Dipartimento
MEDICINA E CHIRURGIA
Corso di studi
MEDICINA E CHIRURGIA
Relatori
relatore Prof. Elisei, Rossella
Parole chiave
  • efficacia
  • outcome
  • radioablazione
  • radioiodio
  • ricombinante
  • TSH
  • umano
Data inizio appello
19/10/2010
Consultabilità
Completa
Riassunto
2. Introduzione





2.1 Il carcinoma differenziato della tiroide




2.1.1 Epidemiologia


Il carcinoma della tiroide rappresenta soltanto l'1-2% di tutte le neoplasie maligne dell'adulto, ed è la più comune neoplasia maligna del sistema endocrino. La sua incidenza, secondo le più recenti statistiche (1), è andata aumentando dal 2,4 per 100.000 abitanti negli anni 40'-50', fino al 8,7 per 100.000 abitanti (2, 3, 4) (relative al periodo 2002-2004)prevalentemente nelle regioni più sviluppate rispetto a quelle meno sviluppate. Questo aumento di incidenza è verosimilmente più apparente che reale, dovuto alle migliori tecniche diagnostiche, e in particolare all'ecografia del collo, che consente di identificare anche piccoli noduli tiroidei, che in passato, spesso, passavano inosservati. Nonostante tale aumento, la mortalità annua per carcinoma della tiroide è rimasta stabile: nel 1973 era dello 0,57%, nel 1980 dello 0,48% fino allo 0,47% nel 2002 (1). Incidenze elevate sono state rilevate in particolare in zone vulcaniche, come le Hawaii (dove l'incidenza del cancro della tiroide è la più elevata del mondo), il Giappone, le Filippine, la Nuova Zelanda e l'Islanda.
In letteratura sono descritti numerosi fattori di rischio per lo sviluppo del carcinoma tiroideo, tra i quali si sono dimostrati prevalenti l'esposizione a radiazioni ionizzanti e la carenza iodica.
L'esposizione a radiazioni ionizzanti, rappresenta il maggior fattore di rischio ad oggi noto, particolarmente durante l'infanzia e l'adolescenza, utilizzate frequentemente in passato per trattare l'iperplasia del timo, delle tonsille, delle adenoidi e per il trattamento dell'acne grave (5, 6, 7, 8).
A conferma di questo, è il drammatico e progressivo aumento dell'incidenza dei carcinomi tiroidei di tipo papillare riscontrato nelle regioni della Bielorussia, dell'Ucraina e del Sud della Russia colpite dal fall-out radioattivo in seguito al disastro nucleare di Chernobyl del 1986. (9, 10). L'altro fattore di rischio, (la carenza iodica) è responsabile di un deficit ormonale tiroideo che, stimolando l'asse ipotalamo-ipofisi-tiroide, aumenta la secrezione di TSH e dunque la proliferazione cellulare nel tentativo di compensare il deficit nutrizionale, predisponendo alla trasformazione tumorale (11, 12).
Ogni anno negli Stati Uniti e in Europa vengono diagnosticati circa 30.000 nuovi casi di carcinoma tiroideo e di questi l'85% è rappresentato da carcinomi differenziati della tiroide (CDT) di tipo papillare (PTC) e follicolare (FTC) . Gli altri tipi di cancro sono nettamente meno frequenti, e sono rappresentati dai carcinomi anaplastici (5-10%), dai carcinomi midollari (5-8%)e dai linfomi primitivi della tiroide (1-2%) originati spesso su una ghiandola tiroidea affetta da Tiroidite di Hashimoto di lunga durata.
Il termine carcinomi differenziati della tiroide (CDT) indica le neoplasie maligne che derivano dall'epitelio follicolare della tiroide a morfologia papillare (PTC) e/o follicolare (FTC),che mantengono le caratteristiche di differenziazione tipiche del tessuto tiroideo normale : la TSH dipendenza, la sintesi di tireoglobulina e la capacità iodocaptante.
Le forme differenziate colpiscono tutte le fasce di età con un picco di incidenza tra la terza e la sesta decade di vita, ed hanno una netta prevalenza per il sesso femminile nell'età adulta (F:M=3/4:1), ad eccezione dei bambini, dove il rapporto femmine/maschi è di poco superiore all'unità.
Il PTC rappresenta il 70% dei CDT, e le varianti istologiche sono:
Variante classica: 70% dei casi clinicamente diagnosticati (13) caratterizzata microscopicamente da papille, ciascuna di esse formata da un asse connettivo-vascolare rivestito di cellule, con un nucleo di aspetto tipico.
Variante follicolare: 20% dei casi clinicamente diagnosticati, formato esclusivamente da follicoli ripieni di colloide. Colpisce prevalentemente soggetti giovani.
Variante sclerosante: sono rare e si osservano essenzialmente nei bambini e nei giovani adulti (14). Si presentano come un ingrandimento globale della tiroide, dove i due lobi sono costituiti da un tessuto tumorale duro. Microscopicamente, questa neoplasia si caratterizza per la sua multifocalità.
Variante a cellule alte o cilindriche: sono neoplasie spesso voluminose che invadono i tessuti peri-tiroidei. Sono tipiche dei soggetti anziani (15).
L'FTC rappresenta il 20% circa dei CDT, e le sue varianti istologiche sono:
Variante classica: si presenta abitualmente come un nodulo tiroideo unico, più o meno capsulato. L'OMS, in funzione del grado di invasione dei vasi e della capsula, distingue due forme: la forma minimamente invasiva e la forma altamente invasiva (16).
Variante a cellule chiare: raro (17). Le cellule sono chiare a causa della presenza di vescicole citoplasmatiche o per l'accumulo intra-cellulare di grasso o di glicogeno.
Variante a cellule ossifile o a cellule di Hürthle: sono formati da cellule di grandi dimensioni, citoplasma abbondante, granulare (per l'abbondanza di mitocondri) e eosinofilo, da grandi nuclei con nucleolo prominente (18).
Carcinomi insulari: sono poco differenziati e altamente invasivi. Nell'insieme ricordano i carcinoidi. La prognosi è sfavorevole (19).

2.1.2 Comportamento biologico

Il PTC ha la tendenza a rimanere confinato all'interno della ghiandola tiroidea. Quando metastatizza, le prime stazioni di diffusione, sono i linfonodi cervicali , e i linfonodi più frequentemente interessati sono quelli giugulari superiori, medi e inferiori. Talvolta i linfonodi sede di metastasi possono essere facilmente palpati, a differenza del tumore primitivo, di dimensione nettamente inferiore rispetto ai linfonodi metastatizzati, infatti la maggior parte dei carcinomi papillari si manifesta con una tumefazione di un linfonodo cervicale. Tuttavia, da un punto di vista prognostico, il superamento della capsula tiroidea, è ancora più più grave della diffusione linfatica, in quanto, seppur raramente, la neoplasia può diffondere lungo le fasce cervicali, verso l'esofago e verso la trachea, interessando, nelle fasi molto avanzate, anche le pareti dei grossi vasi del collo e le formazioni nervose quale il nervo laringeo. Le localizzazioni a distanza intessano prevalentemente polmoni e ossa. Più rare sono le localizzazioni epatiche, renali, cerebrali e cutanee. Nel 40-50 % circa dei casi il PTC presenta focolai multipli in uno o entrambi i lobi (20, 21, 22, 23)
Il PTC è un tumore a crescita lenta ed è uno dei tumori a prognosi più favorevole vista la sopravvivenza a 5, 10, 20 anni, rispettivamente del 95, 90, 83% (24). Non va comunque trascurata la possibilità che questo tumore si trasformi nel tempo in una neoplasia a grado di malignità più elevato (25, 26, 27)
Anche il FTC è un tumore a lenta crescita, e con prognosi relativamente favorevole, tuttavia risulta essere più aggressivo rispetto al PTC sopratutto per quanto riguarda la forma ampiamente invasiva e il carcinoma a cellule di Hürthle. I FCT, inoltre metastatizzano prevalentemente per via ematogena, localizzandosi a livello polmonare e osseo, dove in quest'ultimo provocano lesioni osteolitiche, sopratutto a carico del cingolo scapolo-omerale, dello sterno e del cranio.
Benché il CTD abbia una lenta evoluzione, con una prognosi generalmente buona, non bisogna dimenticare che resta una neoplasia potenzialmente letale in una percentuale di casi non trascurabile. Pertanto il trattamento iniziale deve essere il più radicale possibile e deve tendere ad ottenere una guarigione definitiva, una bassa incidenza di recidive locali e di metastasi a distanza ed una ottima qualità di vita senza complicanze iatrogene (28, 29).



2.1.3 Terapia

Il trattamento iniziale del carcinoma tiroideo differenziato, pur essendo ad oggi ben consolidato, ha ancora aspetti dibattuti che riguardano l'estensione del primo intervento chirurgico nei pazienti a “basso rischio”, l'uso routinario dell'ablazione post-chirurgica con I-131 e l'impiego della scintigrafia totale corporea (STC) nel monitoraggio post-chirurgico dei pazienti con CTD.
In presenza di una diagnosi di CTD, la strategia terapeutica prevede:
a) terapia chirurgica:
Il trattamento iniziale consiste in una tiroidectomia totale o “quasi totale”, associata, nei casi di ovvio coinvolgimento linfonodali, a dissezione linfonodale, che deve preservare l'integrità dei nervi laringei e delle paratiroidi: infatti le due più importanti complicanze chirurgiche, ma fortunatamente rare, sono la paralisi permanente del nervo laringeo e l'ipoparatiroidismo post-chirurgico ( circa 2% in entrambi i casi) se l'intervento è eseguito da un chirurgo esperto (30).
Una tiroidectomia radicale riduce significativamente il rischio di recidive su tessuto tiroideo residuo e di metastasi loco-regionali e/o a distanza, inoltra facilita l'ablazione post-chirurgica con radioiodio ed un adeguato follow-up (31, 32, 33, 34, 35).
In uno studio condotto alla Mayo Clinic, a 20 anni dalla diagnosi, la frequenza di recidive locali e metastasi linfonodali era rispettivamente del 14 e del 19% dopo emi-tiroidectomia e del 2 e del 6% dopo tiroidectomia totale (34).
L'alta frequenza di multifocalità e bilateralità sopratutto nei pazienti con carcinoma papillare della toroide rende ragione dell'importanza della tiroidectomia totale. Studi istologici hanno infatti dimostrato la presenza di foci microscopici di carcinoma tiroideo nel lobo contro laterale in circa il 30-80% dei pazienti con carcinoma papillare della tiroide (36).
Una chirurgia meno radicale può rappresentare un trattamento adeguato nei carcinomi tiroidei a “basso rischio” (carcinomi papillari di dimensioni inferiori a 1,5 cm, unifocali e intralobulari).
Il trattamento dei linfonodi loco-regionali rimane argomento ancora controverso, perché da un lato, trattandosi di un tumore a lenta evoluzione raramente mortale, non è attribuibile alle metastasi una chiara influenza sulla sopravvivenza lorda, dall'altro viene invece riconosciuto allo I-131 un importante ruolo terapeutico, dopo la chirurgia (37) . In presenza di metastasi accertate la necessità che l'intervento vada esteso alle sedi coinvolte è universalmente condivisa. La microdelezione dei linfonodi del comparto centrale viene effettuata in caso di sospetto pre-operatorio e/o evidenze intra-operatorie di metastasi linfonodali (38).
Il beneficio di una dissezione profilattica “in blocco” del compartimento centrale in assenza di evidenza di malattia pre- ed intra-operatoria è controverso. Sebbene non vi sia alcuna evidenza di miglioramento della frequenza di recidive o di mortalità, la rimozione dei linfonodi del compartimento centrale permette un accurata stadiazione della malattia che guida il successivo trattamento ed i follow-up. La linfadenectomia laterocervicale è guidata dalla ecografia del collo che è in grado di identificare linfonodi sospetti anche di piccole dimensioni: un controllo citologico mediante agoaspirazione e dosaggio della Tg sul liquido di lavaggio dirime qualsiasi dubbio (39) fornendo al chirurgo le adeguate informazioni.

b) ablazione post-chirurgica del residuo tiroideo con iodio radioattivo:
In molti centri, la tiroidectomia totale è seguita dall'ablazione del tessuto tiroideo residuo mediante 131I, che emette essenzialmente radiazioni β (90%) ma anche radiazioni γ (10%).
Il razionale dell'ablazione del tessuto tiroideo residuo risiede in tre punti:
1-Eliminare la presenza di possibili foci di tessuto tumorale residuo,e dunque di diminuire la frequenza di recidive, dato che il carcinoma papillare della tiroide è multifocale circa nel 50% dei casi.
2-Aumentare la sensibilità della STC post-dose per identificare precocemente un eventuale malattia locale o metastasi linfonodali laterocervicali dopo somministrazione di 131I.
3-Facilitare l'interpretazione clinica del dosaggio della tireoglobulina (Tg) circolante come marcatore tumorale, dato che la Tg è prodotta sia dal residuo tiroideo, sia dalle metastasi di carcinoma tiroideo; quindi eliminando la Tg derivante dal residuo tiroideo , la Tg diviene in marcatore sierico di malattia metastatica (40, 41).
Pertanto, l'ablazione del tessuto tiroideo residuo post-chirurgico ha un triplice scopo: a) terapeutico perché elimina il rischio di presenza di un potenziale focolaio tumorale nel tessuto tiroideo residuo, rischi effettivo nel 45-50% dei casi; b) diagnostico perché consente di completare la stadiazione iniziale della malattia rivelando eventuali focolai tumorali extracervicali; c) adiuvante perché consente di migliorare il follow-up in quanto l'eliminazione del residuo, anche normale, aumenta l'accuratezza diagnostica della Tg sierica, facilitando l'evidenza di recidiva di malattia qualora si evidenzi un incremento anche minimo della Tg circolante ad uno dei controlli annuali che normalmente devono essere eseguiti (42).
Molti autori hanno dimostrato che l'ablazione del residuo tiroideo post-chirurgico diminuisce la frequenza di recidive e, secondo alcuni, anche la mortalità, tuttavia tale beneficio non sembra essere così evidente nel caso di carcinomi papillari unifocali di diametro inferiore al centimetro (microPTC) e pertanto nelle recenti linee di consenso europee per il trattamento del carcinoma tiroideo (43), così come nelle linee guida americane (42), l'ablazione del residuo post-chirurgico è indicata nei casi a rischio alto e intermedio, mentre non è indicata nei casi a basso rischio (microPTC unifocali) che alla diagnosi non presentano metastasi linfonodali e infiltrazione oltre la capsula tiroidea (31, 44, 29).
Un ruolo controverso riguarda la dose di 131I da utilizzare per l'ablazione del residuo post-chirurgico. Una revisione dei casi trattati prima del 1990 ha consentito di osservare che la percentuale di pazienti che ottenevano una radioablazione efficace e definitiva del residuo tiroide, non era dissimile tra i pazienti che venivano trattati con 30 mCi o tra 30 e 80 mCi o maggiori di 80mCi, e la percentuale si attestava intorno all'60%. Tuttavia, dal 1990 in poi, quando non è stata più impiegata la STC diagnostica, eseguita dopo somministrazione di 4-5 mCi 48 ore prima della somministrazione della dose terapeutica, si otteneva una percentuale di casi ablati dell'85%, anche con dosi di 30 mCi di 131I. Questo incremento significativo del successo dell'ablazione è stato imputato alla assenza dell'effetto “stunning” dato dalla somministrazione di basse attività di 131-I per eseguire la STC diagnostica. Si ritiene, infatti, che la dose tracciante utilizzata per la STC diagnostica, somministrata poco prima della dose terapeutica, possa stordire le cellule senza peraltro eliminarle, impedendo loro la captazione della dose ablativa (45).
Vi sono vari studi riportati in letteratura eseguiti per dimostrare l'efficacia ablativa di attività di radioiodio relativamente basse. In particolare ricordiamo il lavoro di Johansen et al in cui sono stati confrontati i risultati del trattamento ablativo in due gruppi di pazienti trattati rispettivamente con 30 o con 100 mCi di 131-I (46). Da questo studio emerge la assoluta sovrapposizione del successo ablativo nei due gruppi (81% vs 84%). Per rispondere a questo quesito, Hackshaw et al hanno eseguito una recente meta-analisi confrontando l'efficacia ablativa di diverse dosi do radioiodio (47). E' stato osservato che l'efficacia ablativa utilizzando una dose di 100 mCi era significativamente superiore a quella ottenuta con 30 mCi ma non si dimostrava alcuna differenza quando da tutti i casi venivano isolati e analizzati i risultati di tutti gli studi prospettici randomizzati, concludendo che non esistono evidenza sufficienti per affermare che la somministrazione di una bassa attività di 131I sia associata ad un inferiore successo ablativo rispetto alle attività più alte. Tuttavia, volendo dare una risposta di certezza è stato avviato uno studio randomizzato e multicentrico in cui gruppi omogenei di pazienti tiroidectomizzati per carcinoma differenziato della tiroide saranno trattati con attività diverse di 131-I (30-50-100 mCi) per stabilire quale sia la dose efficace da utilizzare in questi pazienti (48). Inoltre non bisogna sottovalutare che oltre all'efficacia ablativa sostanzialmente sovrapponibile a quella ottenuta con la somministrazione di 100 mCi di 131-I c'è sicuramente un minor rischio di effetti collaterali e in particolare di sviluppo di secondi tumori (49). Vista l'elevata percentuale di radioablazione ottenuta con soli 30 mCi, considerando altre evidenze che le recidive sono simili nei soggetti trattati con 30 mCi rispetto a quelli trattati con 100 mCi (50) e che il rischio degli effetti collaterali da terapia radiometabolica aumenta a partire da dosi >100mCi (49), si consiglia di utilizzare l'impiego di attività di 30 mCi per la radioablazione dei pazienti con patologia a rischio basso e intermedio e riservare il trattamento con attività più elevate solo ai pazienti con patologia ad alto rischio.
(inserire tabella di pagina 27 del fascicolo “Endocrinologo”)
La cellula follicolare dipende dall'ormone tireotropo (TSH) sia per la sua crescita che per la sua funzione e quindi sia per la captazione dello iodio che per la produzione degli ormoni tiroidei e della Tg. Quindi, in un paziente tiroidectomizzato per carcinoma tiroideo, sotto terapia soppressiva con Levo-tiroxina (L-T4), la secrezione del TSH (soppresso) non consentirà la captazione dello iodio del residuo post-chirurgico. Tale captazione potrà essere ottenuta solo dopo la sospensione della terapia ormonale e il conseguente incremento di TSH endogeno, che agirà da stimolo del residuo. Da sempre, l'ablazione del tessuto tiroideo residuo con 131I è stata eseguita dopo totale sospensione della terapia con LT4 per 4 o più settimane in modo da ottenere livelli elevati di TSH (almeno >25 mU/L), necessari per l'ottimale captazione del radioisotopo. Tuttavia l'ipotiroidismo determina una ridotta qualità di vita specialmente nei pazienti giovani (51) e rappresenta un potenziale pericolo nei pazienti anziani con patologie associate. Inoltre, nei pazienti con malattia metastatica l'incremento prolungato dei valori di TSH può rappresentare un rischio per la progressione della malattia (52).
Negli anni novanta, studi di ingegneria genetica hanno portato alla produzione del TSH umano ricombinante (rhTSH). Dopo l'introduzione nella pratica clinica del TSH umano ricombinante a scopo diagnostico (53) numerosi pazienti a rischio di sviluppare complicanze potenzialmente pericolose per la vita a causa della sospensione prolungata di LT4, sono stati trattati con 131I previa somministrazione di rhTSH (uso compassionevole) sia a scopo ablativo ma anche per il trattamento delle metastasi (54). Dati i vantaggi in termini di qualità di vita (55), i modesti effetti collaterali e la ridotta esposizione radiogena dei tessuti di circa un terzo, per una più rapida clearence renale (56), con la relativa riduzione del potenziale rischio di neoplasie secondarie, il suo impiego è stato quindi valutato quale possibile alternativa alla sospensione della terapia ormonale con LT4 per l'ablazione del residuo tiroideo chirurgico.
Numerosi studi hanno cercato di stabilire se l'efficacia ablativa del tessuto tiroideo residuo dopo stimolo con rhTSH era sovrapponibile a quella che si otteneva in ipotiroidismo e quale attività sarebbe stato necessario somministrare per ottenerla. Uno dei primi studi ha dimostrato risultati comparabili in termini di efficacia fra le due strategie (57). Il limite principale di questo studio era dovuto all'analisi retrospettiva e la mancanza quindi di un adeguato gruppo di controllo. Il primo studio prospettico non randomizzato pubblicato nel 2001 dimostrava l'efficacia del trattamento ablativo dopo rhTSH ma la popolazione studiata era piccola e mancava un gruppo di controllo con ipotiroidismo (58). Nel 2006 uno studio randomizzato, controllato, multicentrico ha definitivamente dimostrato che l'ablazione del tessuto tiroideo residuo con rhTSH utilizzando un'attività di 100 mCi di 131I ha efficacia sovrapponibile all'ablazione eseguita in ipotiroidismo (59) ed è sulla base di questi risultati che è derivata l'approvazione per uso clinico del rhTSH per l'ablazione del residuo tiroideo post-chirurgico nei pazienti definiti a basso rischio, dapprima in Europa, nell'Aprile 2005, successivamente negli USA, nel dicembre 2007 e successivamente nell'America Latina. Interessante notare che , mentre in Europa l'approvazione prevede l'uso di una attività di 100 mCi di 131I, l'approvazione negli USA e in America Latina non fornisce alcuna indicazione riguardo l'attività di 131-I da somministrare.
I vantaggi del trattamento ablativo con rhTSH non si limitano a quelli legati al miglioramento della qualità di vita del paziente che esegue la terapia radiometabolica senza sospendere la terapia ormonale, ma si hanno vantaggi anche in termini di tempo di esposizione al 131-I degli organi del corpo e in particolare del midollo osseo come dimostrato dal calcolo della dose media di 131I nel sangue, che è risultato significativamente minore nel gruppo dei trattati con rhTSH (56), verosimilmente per la più rapida clearence urinaria rispetto a quella molto rallentata degli ipotiroidei. Una riduzione di esposizione al 131I del sangue riflette anche una riduzione della esposizione degli altri organi e quindi una minore probabilità di effetti collaterali. Simultaneamente il tempo di permanenza del 131I nel residuo è stato dimostrato essere significativamente più lungo a vantaggio di una azione distruttiva più duratura (60). Nel carcinoma differenziato della tiroide sono necessari almeno 10 anni di follow-up per stabilire che l'efficacia terapeutica sia accompagnata anche da una efficacia duratura e che il rischio di recidiva non sia diversi tra le due strategie. Tuttavia alcuni dati iniziali su periodi di follow-up relativamente breve sono già disponibili: recentemente è stato pubblicato un primo studio con un follow-up breve (mediana 2,5 anni); retrospettivo, non randomizzato e non controllato, che dimostra che la persistenza e la recidiva di malattia era sovrapponibile nei due gruppi (61).
Sebbene ad oggi l'indicazione alla preparazione con rhTSH per l'ablazione del residuo preveda l'uso di attività di 131-I elevate (almeno 100 mCi), esistono studi che dimostrano una efficacia ablativa sovrapponibile anche con attività minori. Già nel 2002 Pacini et. al., in uno studio prospettico e randomizzato, ha confrontato pazienti trattati con 30 mCi sia in ipotiroidismo con o senza rhTSH e pazienti in eutiroidismo dopo stimolo con rhTSH. Tuttavia in questo studio il successo dell'ablazione era significativamente maggiore nel gruppo di pazienti in ipotiroidismo (con o senza rhTSH) rispetto ai pazienti eutiroidei trattati con rhTSH (62). Poco dopo però, Barbaro et al. Ha invece evidenziato una buona efficacia ablativa con 30 mCi dopo rhTSH sospendendo la terapia sostitutiva con LT4 alcuni giorni prima del trattamento (63). Un più recente studio di Pacini et al., che includeva anche pazienti a rischio intermedio con evidenza di metastasi linfonodali alla diagnosi, ha dimostrato non solo una efficacia ablativa con attività di 131I di 50 mCi pari a quella attenuta con 100 mCi ma tale efficacia si otteneva anche nei pazienti con metastasi linfonodali (64). Un recentissimo studio (65) prospettico randomizzato ha confrontato l'efficacia ablativa di una dose bassa fissa di 131I (30 mCi) in pazienti a basso rischio, sia in ipotiroidismo che in eutiroidismo dopo stimolo con rhTSH, previa breve interruzione della terapia con LT4 (4 giorni). Il successo dell'ablazione nei pazienti eutiroidei era equivalente a quello ottenuto nel gruppo dei pazienti in ipotiroidismo (65).
Nonostante tutti questi contributi rimane comunque ancora aperto il quesito se l'ablazione con basse attività di 131-I dopo stimolazione con rhTSH è efficace quanto quella eseguita con la stessa attività ma in ipotiroidismo o comunque quanto quella eseguita con stimolazione con rhTSH ed elevate attività di 131-I (100 mCi) (66).
c) Terapia soppressiva e sostitutiva con levo-tiroxina (L-T4):
Dopo la tiroidectomia tutti i pazienti con CTD devono intraprendere la terapia con ormoni tiroidei. Le finalità di questo trattamento sono essenzialmente due:
a) Correggere l'ipotiroidismo iatrogeno post-chirurgico , somministrando un dosaggio appropriato, in modo da ottenere livelli ormonali fisiologici di ormoni tiroidei (terapia sostitutiva);
b) Sopprimere i livelli circolanti di TSH sierico (terapia soppressiva). Una terapia soppressiva ottimale è quella che utilizza le dosi più basse di L-T4 sufficienti a sopprimere i valori di TSH al di sotto di 0,1 μU/ml (67, 68) in presenza di normali concentrazioni di T3 e T4 libere. Questa terapia si basa sul fatto che la soppressione del TSH priva il CTD del più importante fattore di crescita qual è appunto il TSH. L'utilità di questa soppressione è supportata da studi sull'uomo e sugli animali, dove è stato visto che la soppressione del TSH è in grado di inibire la proliferazione della cellule follicolari neoplastiche (69).
Il trattamento soppressivo si è dimostrato efficace nel ridurre la frequenza di metastasi e il tasso di mortalità.
2.1.4 Follow-up

Il follow-up diagnostico del CTD ha lo scopo di mantenere un'adeguata terapia con ormoni tiroidei e di individuare precocemente la persistenza o la recidiva di malattia. Il follow-up deve essere protratto per l'intera vita del paziente, data la possibilità di recidiva anche a distanza di molti anni dal trattamento iniziale. Circa il 5-20 % dei pazienti sviluppa recidive locali o metastasi loco-regionali , mentre il 5-10% di essi sviluppa metastasi a distanza (70). Le recidive sono più frequenti durante i primi 5 anni di follow-up, tuttavia possono manifestarsi anche a distanza di alcune decadi dal trattamento iniziale, pertanto il follow-up deve essere continuato per tutta la vita.
Il follow-up del CTD si avvale essenzialmente di metodiche integrate comprendenti:
La scintigrafia totale corporea con con dose diagnostica 131I
Il dosaggio della tireoglobulina circolante come marcatore tumorale (70-71)
Test di stimolo della tireoglobulina con TSH umano ricombinante

Scintigrafia totale corporea con 131I
La base razionale per l'utilizzo del 131I nella diagnosi e nella terapia delle metastasi del carcinoma tiroideo, è la capacità delle cellule follicolare di tumori tiroidei ben differenziati, primitivi e metastatici, di concentrare lo iodio.
La STC è una metodica altamente sensibile e specifica; se ne distinguono due tipi: la STC diagnostica eseguita dopo somministrazione di una dose diagnostica di 131I (1-4mCi) che ha lo scopo di identificare le eventuali aree di captazione e fare calcoli dosimetrici; e la STC post-dose terapeutica che viene eseguita dopo trattamenti con dosi elevate di 131I (30-150 mCi) per confermare la captazione e per evidenziare aree di captazione non viste alla STC diagnostica (72, 73, 74). Per effettuare la STC, sia diagnostica che terapeutica, si utilizza una gamma camera (Aspex SPX 4000, Elscint Italia) con un collimatore ad alta energia. Data la scarsa sensibilità della STC diagnostica è stata recentemente esclusa dalla lista della tecniche da utilizzare nel follow-up del paziente con CDT non accompagnati da positività del titolo di AbTg (43). La STC dopo dose terapeutica viene effettuata 3-5 giorni dalla somministrazione della dose stessa. Nel caso del trattamento radio-ablativo, la somministrazione di 131I viene preceduta da una valutazione della captazione a livello della regione del colo dopo somministrazione di una dose traccia minima di 50 microCi: questa tecnica consente di avere comunque una valutazione della captazione del residuo tiroideo ed evitare l'effetto stunning (di stordimento) delle cellule tiroidee dovuto alla dose traccia utilizzata in una STC standard (1-4 mCi) che può seriamante compromettere l'efficacia della dose ablativa (75).
La capacità di captare lo iodio da parte del tessuto tiroideo residuo o metastatico è dipendente dal TSH. Tradizionalmente, elevati livelli circolanti di TSH (<25 mU/l) venivano ottenuti mediante la sospensione della terapia con ormoni tiroidei, con conseguente ipotiroidismo spesso mal tollerato dai pazienti e con impatto negativo nella loro vita familiare, sociale e lavorativa, inoltre l'ipotiroidismo può rappresentare un pericolo particolarmente in pazienti anziani con comorbidità associate (76). L'introduzione nella pratica clinica di una preparazione esogena di TSH (rhTSH) rappresenta una valida alternativa alla sospensione della terapia con ormoni tiroidei. Il rhTSH è stato ottenuto mediante tecnologia ricombinante e, dopo un vasto numero di studi pre-clinici e clinici che ne hanno dimostrato l'efficacia e la sicurezza, è entrato nella pratica clinica del follw-up diagnostico del CDT. Attualmente la STC viene eseguita a distanza di 6-12 mesi dal trattamento radiometabolico con 131I in condizioni di eutiroidismo, previa somministrazione intramuscolo di due fiale di rhTSH (0,9 mg) a distanza di 24 ore l'una dall'altra. La dosa di 131I (4 mCi) deve essere somministrata a distanza di 24 ore dalla seconda fiala, e la STC deve essere eseguita a distanza di 48 ore dalla somministrazione di 131I. La presenza di STC negativa e di indosabilità della Tg, il follw-up non prevede ulteriori scintigrafie ma solo periodici controlli clinici, ecografici e della Tg circolante durante il trattamento con LT4. L'orientamento attuale è quello di utilizzare in maniera più selettiva la STC e di monitorare il paziente mediante il dosaggio della Tg circolante, infatti è stata ampiamente dimostrata una eccellente correlazione tra i livelli di Tg e lo stato della malattia in assenza di anticorpi anti-tireoglobulina (77,78).

Dosaggio della tireoglobulina (Tg)
La Tg è una glicoproteina ad alto peso molecolare che rientra nella costituzione della colloide del follicolo tiroideo. Ha un peso molecolare di 330.000 dalton, viene sintetizzata nel reticolo endoplasmatico, viene poi trasferita nell'apprato del Golgi per la glicosilazione e successivamente viene immagazzinata in vescicole e liberata nella cavità del follicolo. La Tg è una proteina organo-specifica, dunque dopo tiroidectomia totale e radioablazione con 131I del tessuto tiroideo residuo, i livelli di Tg dovrebbero essere indosabili, mentre valori dosabili dovrebbero allertare il clinico (79, 80), dunque il dosaggio della Tg diventa un importante indicatore prognostico della malattia. Il dosaggio della Tg come indice di persistenza o recidiva di CTD è stato per la prima volta raccomandato da Van Herle e Uller (81)e confermato da successivi studi che hanno dimostrato la validità clinica del dosaggio della Tg. (82, 83). Due sono i limiti principali del dosaggio della Tg: 1) Nei pazienti con positività dei titoli di anticorpi anti-Tg, il dosaggio può essere gravato da falsi negativi, pertanto i livelli indosabili di Tg non possono essere interpretati come indicatore attendibile di remissione di malattia, data l'interferenza che questi hanno nel dosaggio della Tg (84, 85). 2) livelli indosabili di Tg in terapia soppressiva non sono sufficientemente attendibili per dichiarare il paziente in remissione clinica. Durante il trattamento con LT4, la Tg è indosabile in circa il 98% dei pazienti che sono considerati liberi da malattia , mentre è dosabile in tutti i pazienti che presentano metastasi a distanza. Esiste però un 20% di soggetti con metastasi linfonodali e circa un 5% con micrometastasi a distanza che presentano valori indosabili di Tg durante trattamento con ormoni tiroidei (86). Occorre quindi avere sempre una misurazione della Tg sotto stimolo. Mentre questo problema è stato superato grazie all'introduzione di routine del test di stimolazione con rhTSH, rimane il problema della interferenza da AbTg . Nei pazienti affetti da CDT con AbTg si consiglia di eseguire sempre il dosaggio della Tg sierica e degli AbTg e di associare sempre la STC diagnostica (87), considerata invece scarsamente sensibile nei pazienti con CDT e assenza di AbTg (88). Estremamente importante è seguire l'andamento nel tempo del titolo anticorpale durante il follow-up perchè una progressiva riduzione del titolo è fortemente suggestiva di una evoluzione verso la guarigione , mentre la persistenza o l'aumento del titolo sono considerati suggestivi di persistenza di tessuto tiroideo residuo e/metastatico (89).

Test di stimolo della tireoglobulina con TSH umano ricombinante
Il rhTSH è in grado di riprodurre gli stessi effetti del TSH endogeno, senza che il paziente debba sospendere la terapia con LT4 (90, 91, 92). Il rhTSH è stato approvato nel follow-up post-chirurgico del CDT negli Stati Uniti nel 1998 dalla FDA (Food and Drug Adminitration) e in Europa nel 2001 dalla EMEA (European Medicines Agency). Il protocollo di impiego del rhTSH prevede la somministrazione intramuscolo di due fiale di rhTSH (0,9 mg) a distanza di 24 ore l'una dall'altra. Il dosaggio della Tg viene eseguito in condizioni basali e a distanza di 48 e 72 ore dalla somministrazione della seconda fiala di rhTSH. Il dosaggio della Tg dopo stimolo con rhTSH è molto sensibile nei pazienti con titolo anticorpale AbTg negativo, molto più sensibile della STC diagnostica nel documentare la persistenza di malattia (93). Nei pazienti con positività agli AbTg è indicata la STC diagnostica somministrando la dose di 131I (4 mCi) a distanza di 24 ore dalla seconda fiala, ed eseguendo la STC a distanza di 48 ore dalla somministrazione del 131I (93). Un recente studio prospettico (94) ha evidenziato come il rilievo di valori indosabili di Tg dopo rhTSH in assenza di AbTg è in grado di individuare correttamente il 98% dei pazienti liberi da malattia. Pertanto attualmente si utilizza tale test di stimolo come guida per decidere quali siano i pazienti che necessitano di terapia con 131I (88) dopo la quale si eseguirà una una STC che risulta molto più sensibile della STC diagnostica per rilevare eventuali lesioni metastatiche o residui di tessuto tiroideo (73). (Grafico pagina 29 dell'Endocrinologo).

Importanza del TSH umano ricombinante
Il TSH è una glicoproteina dimerica prodotta a livello dell'ipofisi anteriore, responsabile della differenziazione e dell'attività metabolica delle cellule tiroidee. La molecola del TSH ha un peso molecolare di 28.300 dalton, contiene circa il 15% in peso di carboidrati ed è costituita da due subunità: la subunità α, strutturalmente identica a quella presente in altre tropine ipofisarie (LH, FSH) e la subunità β con specificità di azione. Non è prodotto e secreto come una singola molecola, bensì come un insieme di isoforme caratterizzate da un diverso grado di glicosilazione. Un' alterazione del pattern di glicosilazione può essere responsabile di forme di TSH biologicamente inattive, come è descritto in diverse condizioni patologiche. (figura pagina 23 dell'Endocrinologo)
Il legame al suo recettore comporta l'attivazione del l'adenilato-ciclasi, con incremento dei livelli intra-citoplasmatici di adenosina monofosfato ciclico (cAMP). Tutto ciò innesca un serie di reazioni a cascata responsabili della captazione e dell' organificazione dello iodio da parte delle cellule follicolari tiroidee oltre che alla sintesi di triiodiotironina (T3 ), tetraiodiotironina (T4 ) e tireoglobulina (Tg). Inoltre numerose evidenza cliniche e sperimentali dimostrano che anche la proliferazione della cellula follicolare tiroidea, sia normale che neoplastica, è sotto la dipendenza del TSH. E' per questo che risulta necessario in un paziente con carcinoma differenziato della tiroide, già trattato con tiroidectomia totale e terapia radiometabolica con 131I, una terapia con L-tiroxina a dosi “soppressive”, in grado di inibire la secrezione del TSH (69).
Nel corso degli anni sono state sperimentate possibili alternative all'ipotiroidismo conseguente alla sospensione della terapia con L-tiroxina, in grado di garantire la stessa sensibilità diagnostica della Tg e della scintigrafia totale corporea. Sono stati impiegati:
1.TSH bovino
2.TSH umano estrattivo
3.TSH umano ricombinante (rhTSH)

1.TSH bovino
Il TSH bovino è stato usato per la prima volta circa 50 anni fa per stimolare la captazione dello iodio da parte delle cellule tumorali tiroidee. Esistono sostanziali differenze tra il TSH bovino e quello umano che riguardano ben 26 aminoacidi nella subunità α e 12 aminoacidi nella subunità β. Solo un numero limitato di pazienti, peraltro già ipotiroidei, presentava un significativo aumento della captazione dello iodio dopo somministrazione dello di TSH bovino. Non abbiamo dati sull'uso del TSH bovino in soggetti in trattamento con ormoni tiroidei. Il suo impiego è stato abbandonato per due ragioni:
Circa il 43% dei soggetti sviluppava reazioni allergiche consistenti in reazioni locali, orticaria generalizzata e shock anafilattico, in un numero limitato di casi (97).
La somministrazione ripetuta di TSH bovino riduceva l'efficacia dello stesso a causa della produzione di anticorpi emoagglutinanti rivolti versi il TSH esogeno. Questi stessi anticorpi erano inoltre in grado di neutralizzare gli effetti del TSH endogeno (98).

2. TSH umano estrattivo
L'uso di TSH umano purificato, ottenuto dall'ipofisi di cadaveri, è stato precocemente abbandonato nella pratica clinica per la potenziale trasmissione della sindrome di Creutzfeld-Jacob, osservata in passata nei pazienti trattati con GH umano (99)

3. TSH umano ricombinante
Dopo la clonazione dei geni di entrambe le subunità del TSH, è cominciata l'era del TSH umano ricombinante. Il gene della subunità β del TSH umano è stato isolato e caratterizzato nel 1988 (100). Dopo la sua clonazione il DNA genomico o complementare delle subunità α e β è stato inserito in vettori diversi e co-trasfettato in cellule ovariche (Chinese bamster ovary) contenenti i complessi enzimatici propri dell'ipofisi. Il TSH ottenuto è stato successivamente purificato mediante una combinazione di cromatografia a scambio ionico e filtrazione su gel. Così come il TSH nativo, esistono diverse isoforme di rhTSH, che differiscono l'una dall'altra per il diverso contenuto di acido sialico. E' stata riportata in letteratura l'esistenza di due isoforme di rhTSH (rhTSH-G, rhTSH-N) che presentano un diverso grado di sialilazione e un diverso contenuto di galattosio, probabilmente correlato alle differenti condizioni di produzione.
L'rhTSH-N presenta un contenuto di acido sialico e galattosio più basso di quello rilevabile nell'isoforma rhTSH-G e pertanto molto più simile al TSH endogeno. Un più alto contenuto di acido sialico è responsabile di una maggiore emivita della molecola e quindi di una maggiore attività biologica in vivo; al contrario, un minor contenuto di acido sialico determina una maggiore attività biologica in vitro.
Nell'uomo il rhTSH è in grado di stimolare la produzione di ormoni tiroidei e di Tg anche se somministrato a basso dosaggio (0,1 mg intramuscolo) . L'incremento della T3 precede nel tempo quello della T4 , mentre un incremento della Tg si osserva 24 ore dopo la somministrazione di rhTSH. I valori del TSH circolanti aumentano dopo circa 2 ore dalla somministrazione di rhTSH e rimangano elevati per 24 ore. Dopo circa 7 giorni dalla somministrazione dell'rhTSH, i valori di TSH si riducono al di sotto dei valori basali e tutto ciò è indotto dal rialzo dai livelli circolanti degli ormoni tiroidei (101).
Un vasto numero di studi clinici e pre-clinici hanno dimostrato che:
1.il rhTSH è sicuro e ben tollerato, con effetti collaterali transitori e caratterizzati da lieve e/o moderata nausea in circa il 11% dei pazienti e cefalea nel 7% dei pazienti. Nessun paziente sviluppa anticorpi anti-TSH, neanche in caso di precedenti somministrazioni di rhTSH;
2.nella maggior parte dei pazienti la STC dopo rhTSH è equivalente a quella ottenuta in condizioni di ipotiroidismo;
3.l'rhTSH è in grado di aumentare la sensibilità del dosaggio della Tg circolante durante il trattamento con ormoni tiroidei;
4.l'rhTSH permette ai pazienti di non sospendere la terapia con ormoni tiroidei evitando pertanto agli stessi tutti i disagi psico-fisici legati alla condizione di ipotiroidismo (rallentamento psico-fisico, difficoltà di concentrazione, riduzione della memoria, intolleranza al freddo, nausea, stipsi, incremento ponderale, riduzione della libido e facile irritabilità).
5.L'uso combinato del dosaggio della Tg e della STC dopo somministrazione di rhTSH permette di diagnosticare la presenza di metastasi nel 100% dei soggetti.
Per tutto questo è entrato a pieno titolo nel trattamento iniziale (radioablazione del residuo tiroideo post-chirurgico) (59), e nel follow up (93) del paziente con carcinoma differenziato della tiroide. Le possibili applicazioni dell'rhTSH nella pratica clinica sono rappresentate da:
1.ablazione del residuo tiroideo post-chirurgico in eutiroidismo;
2.follow-up periodico, dopo intervento di tiroidectomia totale e l'ablazione del residuo, basato essenzialmente sulla STC con 131I e del dosaggio della Tg durante il trattamento con ormoni tiroidei;
3.follow-up periodico dopo il trattamento iniziale, basato sul solo dosaggio della Tg in condizioni di eutiroidismo e dopo stimolo con rhTSH;
4.trattamento radiometabolico con alte dosi di 131I.

Altre procedure diagnostiche
Ecografia (US) della regione del collo (entrata nella pratica clinica dal 1986), associata all'esame citologico su agoaspirato tiroideo (con dosaggio della Tg su liquido di lavaggio) di linfonodi sospetti (metastatici e/o recidiva/persistenza di malattia). Oggi l'ecografia del collo rappresenta la più accurata tecnica di imaging per l'identificazione di noduli tiroidei, e la sua esecuzione è obbligatoria quando un nodulo viene scoperto alla palpazione (95). E' in grado, inoltre, di identificare linfonodi cervicali sospetti di pochi millimetri di diametro, rappresentando anche una guida per l'agoaspirazione degli stessi con ago sottile. Aspetti che ci fanno sospettare la natura maligna sono:
Nodulo tiroideo ipoecogeno, bordi irregolari, assenza di alone ipoecogeno periferico, con ipervascolarizzazione intranodulare e presenza di microcalcificazioni intranodulari.
Linfonodo ipoecogeno, di forma rotondeggiante, senza ilo, iper-vascolarizzato e con presenza di microcalcificazioni.
Questi elementi, sopratutto se associati, pongono il sospetto di malignità che dovrà essere confermata dall'esame citologico e e dal dosaggio della Tg sul liquido di lavaggio (96).
In pazienti con persistenza di malattia possono essere utilizzate altre metodiche radiologiche quali la radiografia dello scheletro, TC, RMN e scintigrafia ossea per evidenziare eventuali localizzazioni metastatiche.













Importanza del TSH umano ricombinante

Il TSH è una glicoproteina dimerica prodotta a livello dell'ipofisi anteriore, responsabile della differenziazione e dell'attività metabolica delle cellule tiroidee. La molecola del TSH ha un peso molecolare di 28.300 dalton, contiene circa il 15% in peso di carboidrati ed è costituita da due subunità: la subunità α, strutturalmente identica a quella presente in altre tropine ipofisarie (LH, FSH) e la subunità β con specificità di azione. Non è prodotto e secreto come una singola molecola, bensì come un insieme di isoforme caratterizzate da un diverso grado di glicosilazione. Un' alterazione del pattern di glicosilazione può essere responsabile di forme di TSH biologicamente inattive, come è descritto in diverse condizioni patologiche.
Il legame al suo recettore comporta l'attivazione del l'adenilato-ciclasi, con incremento dei livelli intra-citoplasmatici di adenosina monofosfato ciclico (cAMP). Tutto ciò innesca un serie di reazioni a cascata responsabili della captazione e dell' organificazione dello iodio da parte delle cellule follicolari tiroidee oltre che alla sintesi di triiodiotironina (T3 ), tetraiodiotironina (T4 ) e tireoglobulina (Tg). Inoltre numerose evidenza cliniche e sperimentali dimostrano che anche la proliferazione della cellula follicolare tiroidea, sia normale che neoplastica, è sotto la dipendenza del TSH. E' per questo che risulta necessario in un paziente con carcinoma differenziato della tiroide, già trattato con tiroidectomia totale e terapia radiometabolica con 131I, una terapia con L-tiroxina a dosi “soppressive”, in grado di inibire la secrezione del TSH (69).
Nel corso degli anni sono state sperimentate possibili alternative all'ipotiroidismo conseguente alla sospensione della terapia con L-tiroxina, in grado di garantire la stessa sensibilità diagnostica della Tg e della scintigrafia totale corporea. Sono stati impiegati:
4.TSH bovino
5.TSH umano estrattivo
6.TSH umano ricombinante (rhTSH)

1.TSH bovino
Il TSH bovino è stato usato per la prima volta circa 50 anni fa per stimolare la captazione dello iodio da parte delle cellule tumorali tiroidee. Esistono sostanziali differenze tra il TSH bovino e quello umano che riguardano ben 26 aminoacidi nella subunità α e 12 aminoacidi nella subunità β. Solo un numero limitato di pazienti, peraltro già ipotiroidei, presentava un significativo aumento della captazione dello iodio dopo somministrazione dello di TSH bovino. Non abbiamo dati sull'uso del TSH bovino in soggetti in trattamento con ormoni tiroidei. Il suo impiego è stato abbandonato per due ragioni:
Circa il 43% dei soggetti sviluppava reazioni allergiche consistenti in reazioni locali, orticaria generalizzata e shock anafilattico, in un numero limitato di casi (97).
La somministrazione ripetuta di TSH bovino riduceva l'efficacia dello stesso a causa della produzione di anticorpi emoagglutinanti rivolti versi il TSH esogeno. Questi stessi anticorpi erano inoltre in grado di neutralizzare gli effetti del TSH endogeno (98).

2. TSH umano estrattivo
L'uso di TSH umano purificato, ottenuto dall'ipofisi di cadaveri, è stato precocemente abbandonato nella pratica clinica per la potenziale trasmissione della sindrome di Creutzfeld-Jacob, osservata in passata nei pazienti trattati con GH umano (99)

3. TSH umano ricombinante
Dopo la clonazione dei geni di entrambe le subunità del TSH, è cominciata l'era del TSH umano ricombinante. Il gene della subunità β del TSH umano è stato isolato e caratterizzato nel 1988 (100). Dopo la sua clonazione il DNA genomico o complementare delle subunità α e β è stato inserito in vettori diversi e co-trasfettato in cellule ovariche (Chinese bamster ovary) contenenti i complessi enzimatici propri dell'ipofisi. Il TSH ottenuto è stato successivamente purificato mediante una combinazione di cromatografia a scambio ionico e filtrazione su gel. Così come il TSH nativo, esistono diverse isoforme di rhTSH, che differiscono l'una dall'altra per il diverso contenuto di acido sialico. E' stata riportata in letteratura l'esistenza di due isoforme di rhTSH (rhTSH-G, rhTSH-N) che presentano un diverso grado di sialilazione e un diverso contenuto di galattosio, probabilmente correlato alle differenti condizioni di produzione.
L'rhTSH-N presenta un contenuto di acido sialico e galattosio più basso di quello rilevabile nell'isoforma rhTSH-G e pertanto molto più simile al TSH endogeno. Un più alto contenuto di acido sialico è responsabile di una maggiore emivita della molecola e quindi di una maggiore attività biologica in vivo; al contrario, un minor contenuto di acido sialico determina una maggiore attività biologica in vitro.
Nell'uomo il rhTSH è in grado di stimolare la produzione di ormoni tiroidei e di Tg anche se somministrato a basso dosaggio (0,1 mg intramuscolo) . L'incremento della T3 precede nel tempo quello della T4 , mentre un incremento della Tg si osserva 24 ore dopo la somministrazione di rhTSH. I valori del TSH circolanti aumentano dopo circa 2 ore dalla somministrazione di rhTSH e rimangano elevati per 24 ore. Dopo circa 7 giorni dalla somministrazione dell'rhTSH, i valori di TSH si riducono al di sotto dei valori basali e tutto ciò è indotto dal rialzo dai livelli circolanti degli ormoni tiroidei (101).
Un vasto numero di studi clinici e pre-clinici hanno dimostrato che:
1.il rhTSH è sicuro e ben tollerato, con effetti collaterali transitori e caratterizzati da lieve e/o moderata nausea in circa il 11% dei pazienti e cefalea nel 7% dei pazienti. Nessun paziente sviluppa anticorpi anti-TSH, neanche in caso di precedenti somministrazioni di rhTSH;
2.nella maggior parte dei pazienti la STC dopo rhTSH è equivalente a quella ottenuta in condizioni di ipotiroidismo;
3.l'rhTSH è in grado di aumentare la sensibilità del dosaggio della Tg circolante durante il trattamento con ormoni tiroidei;
4.l'rhTSH permette ai pazienti di non sospendere la terapia con ormoni tiroidei evitando pertanto agli stessi tutti i disagi psico-fisici legati alla condizione di ipotiroidismo (rallentamento psico-fisico, difficoltà di concentrazione, riduzione della memoria, intolleranza al freddo, nausea, stipsi, incremento ponderale, riduzione della libido e facile irritabilità).
5.L'uso combinato del dosaggio della Tg e della STC dopo somministrazione di rhTSH permette di diagnosticare la presenza di metastasi nel 100% dei soggetti.
Per tutto questo è entrato a pieno titolo nel trattamento iniziale (radioablazione del residuo tiroideo post-chirurgico) (59), e nel follow up (93) del paziente con carcinoma differenziato della tiroide. Le possibili applicazioni dell'rhTSH nella pratica clinica sono rappresentate da:
1.ablazione del residuo tiroideo post-chirurgico in eutiroidismo;
2.follow-up periodico, dopo intervento di tiroidectomia totale e l'ablazione del residuo, basato essenzialmente sulla STC con 131I e del dosaggio della Tg durante il trattamento con ormoni tiroidei;
3.follow-up periodico dopo il trattamento iniziale, basato sul solo dosaggio della Tg in condizioni di eutiroidismo e dopo stimolo con rhTSH;
4.trattamento radiometabolico con alte dosi di 131I.
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