Tesi etd-09262019-204427 |
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Tipo di tesi
Tesi di laurea vecchio ordinamento
Autore
BOTRUGNO, VITO SIMONE
URN
etd-09262019-204427
Titolo
Esperienza real-life con i DOAC in reparti di Medicina Interna
Dipartimento
RICERCA TRASLAZIONALE E DELLE NUOVE TECNOLOGIE IN MEDICINA E CHIRURGIA
Corso di studi
MEDICINA E CHIRURGIA
Relatori
relatore Prof. Taddei, Stefano
correlatore Dott. Masi, Stefano
correlatore Dott. Masi, Stefano
Parole chiave
- anticoagulanti orali
- DOAC
- fibrillazione atriale (FA)
- ictus embolico
Data inizio appello
15/10/2019
Consultabilità
Completa
Riassunto
La fibrillazione atriale (FA) è la più comune aritmia cardiaca nella popolazione generale con una prevalenza del 1-2% e rappresenta il principale fattore di rischio per ictus cardioembolico, complicanza che interviene con un’incidenza di circa il 5% per anno se consideriamo l’intera popolazione dei pazienti con FA 1, 2. Inoltre gli ictus in pazienti con fibrillazione atriale sono più disabilitanti e determinano più elevati tassi di mortalità.
La malattia tromboembolica venosa (TEV) presenta un’incidenza annuale intorno a 100-200 casi per 100.000 abitanti nella popolazione generale, crescente con l’età, con mortalità non trascurabile (6-7% per la TVP e 12% per la EP) 255.
Lo sviluppo degli anticoagulanti orali ad azione diretta (DOAC) ha rappresentato un importante avanzamento nella terapia e la prevenzione del tromboembolismo arterioso e venoso. Questi farmaci stanno, a tutti gli effetti, sostituendo l’impiego di warfarin, molecola caratterizzata da numerose limitazioni quali a) ritardata insorgenza d’azione, b) ristretta finestra terapeutica, c) numerose interazioni farmacologiche con altri farmaci o alimenti, d) risposta variabile e non prevedibile, e) necessità del frequente monitoraggio della coagulazione.I DOAC quali l’inibitore della trombina dabigatran o del fattore Xa rivaroxaban, apixaban ed edoxaban, hanno dimostrato una non inferiorità (rivaroxaban ed edoxaban) o una superiorità (dabigatran e apixaban) rispetto a warfarin nel prevenire ictus ed eventi tromboembolici in pazienti con fibrillazione atriale (FA) associata ad una riduzione significativa di emorragie cerebrali rispetto alla terapia tradizionale con dicumarolici.
Il nostro studio si è posto l’obiettivo di analizzare le caratteristiche cliniche dei pazienti che assumevano i diversi farmaci anticoagulanti, verificando se vi fossero fattori che possano far propendere il clinico alla prescrizione dell’una o dell’altra molecola in base all’indicazione alla terapia ed alle caratteristiche cliniche dei pazienti. Altro scopo dello studio è stato quello di verificare la relazione tra ogni molecola di anticoagulante ed il suo dosaggio con la prognosi del paziente, sia in termini di rischio di sanguinamento, sia in termini di rischio di eventi ischemici. Utilizzando un disegno sperimentale di tipo osservazionale retrospettivo caso-controllo abbiamo raccolto dati clinici, terapeutici e di outcome (sanguinamento / non sanguinamento) di pazienti consecutivi che hanno avuto accesso all’Azienda Ospedaliero Universitaria Pisana nel periodo compreso dal 2013 al 2018. L’endpoint principale dello studio è stato considerato lo sviluppo di un sanguinamento durante il follow up.
I pazienti inclusi nello studio sono stati identificati sulla base della prescrizione di un anticoagulante, identificati sulla base della prescrizione del piano terapeutico per uno dei 4 anticoagulanti orali o sulla base di una diagnosi di tromboembolismo venoso o fibrillazione atriale effettuata nel corso del ricovero o presente nell’anamnesi del paziente. Una volta identificate, le caratteristiche cliniche di ogni paziente, sia in occasione del primo accesso presso una delle unità operative che in occasione dell’ultima visita di follow up, sono state recuperate dalle cartelle cliniche o dalla lettera ambulatoriale. I pazienti che avevano avuto un sanguinamento sono stati considerati i casi dello studio.
La popolazione totale inclusa nello studio era di 176 pazienti. Il follow up medio dei pazienti era di 19.5 mesi. In totale sono stati riscontrati 26 casi di sanguinamento nel corso del follow up, di cui 19 considerati maggiori, quindi sono state comparate le variabili cliniche nei due gruppi di pazienti che evidenziando età, funzione renale, valori pressori sovrapponibili mentre emergeva che i valori di emoglobina ed ematocrito risultavano significativamente inferiori nei soggetti che avevano avuto sanguinamento. Il punteggio HAS-BLED non differiva significativamente tra i gruppi sanguinamento/non-sanguinamento (P = 0,3734). Al contrario, l’analisi delle curve ROC evidenziava un incremento del rischio di sanguinamento al follow up associato ad un punteggio del CHADS2VASC più elevato (P = 0,0101). Anche la prevalenza di comorbidità nella popolazione è simile tra coloro che avevano avuto un sanguinamento e coloro che non lo avevano avuto, così come la terapia con altri farmaci non mostra differenze tanto meno la terapia antiaggregante. Riguardo distribuzione della prescrizione delle diverse molecole di farmaco anticoagulante in base alle indicazioni alla terapia, l’anticoagulante più prescritto risultava essere il dabigatran alla dose ridotta di 110 mg, seguito da apixaban, rivaroxaban ed endoxaban.
Mentre per dabigatran, rivaroxaban e apixaban l’indicazione prevalente risultava essere la fibrillazione atriale non valvolare, per edoxaban il numero di soggetti che assumevano la terapia per trombosi venosa, embolia polmonare o fibrillazione atriale risultava sovrapponibile, si sono evidenziate invece interessanti differenze nel rischio di sanguinamento in base alla molecola anticoagulante ed al dosaggio prescritto. E’ risultato infatti un minor rischio emorragico per il dabigatran anche a basso dosaggio e maggior rischio emorragico per l’edoxaban anche a basso dosaggio (il target preferenziale dell’edoxaban sono i pazienti oncologici). Si evidenzia inoltre una correlazione tra dosaggio più elevato del farmaco e punteggio CHADVASC più alto e nessuna correlazione con età e peso corporeo. In accordo con la pratica clinica si riscontrava un dosaggio ridotto nei pazienti con valori di creatininemia elevata e quindi con ridotta capacità di eliminare il farmaco.
In definitiva possiamo dire che i risultati interessanti ottenuti incoraggiano ulteriori studi analoghi e approfondimenti real life dei dati assunti con i grandi trials. Questi dovrebbero analizzare gli effetti dei nuovi anticoagulanti orali e i profili di rischio relativi su popolazioni sempre più aderenti alla realtà clinica di ogni giorno. Possiamo affermare che tra i 4 farmaci anticoagulanti il più efficace e con minori effetti collaterali sembra essere il Dabigatran, anche se una risposta definitiva potrà essere data solo da uno studio randomizzato che effettui una comparazione diretta tra i vari farmaci. Finora in letteratura esistono metanalisi che raffrontano i vari trials che però, basandosi su metodiche statistiche non omogenee e popolazioni arruolate altrettanto diverse, non possono dare risultati precisi ed esaustivi.
La malattia tromboembolica venosa (TEV) presenta un’incidenza annuale intorno a 100-200 casi per 100.000 abitanti nella popolazione generale, crescente con l’età, con mortalità non trascurabile (6-7% per la TVP e 12% per la EP) 255.
Lo sviluppo degli anticoagulanti orali ad azione diretta (DOAC) ha rappresentato un importante avanzamento nella terapia e la prevenzione del tromboembolismo arterioso e venoso. Questi farmaci stanno, a tutti gli effetti, sostituendo l’impiego di warfarin, molecola caratterizzata da numerose limitazioni quali a) ritardata insorgenza d’azione, b) ristretta finestra terapeutica, c) numerose interazioni farmacologiche con altri farmaci o alimenti, d) risposta variabile e non prevedibile, e) necessità del frequente monitoraggio della coagulazione.I DOAC quali l’inibitore della trombina dabigatran o del fattore Xa rivaroxaban, apixaban ed edoxaban, hanno dimostrato una non inferiorità (rivaroxaban ed edoxaban) o una superiorità (dabigatran e apixaban) rispetto a warfarin nel prevenire ictus ed eventi tromboembolici in pazienti con fibrillazione atriale (FA) associata ad una riduzione significativa di emorragie cerebrali rispetto alla terapia tradizionale con dicumarolici.
Il nostro studio si è posto l’obiettivo di analizzare le caratteristiche cliniche dei pazienti che assumevano i diversi farmaci anticoagulanti, verificando se vi fossero fattori che possano far propendere il clinico alla prescrizione dell’una o dell’altra molecola in base all’indicazione alla terapia ed alle caratteristiche cliniche dei pazienti. Altro scopo dello studio è stato quello di verificare la relazione tra ogni molecola di anticoagulante ed il suo dosaggio con la prognosi del paziente, sia in termini di rischio di sanguinamento, sia in termini di rischio di eventi ischemici. Utilizzando un disegno sperimentale di tipo osservazionale retrospettivo caso-controllo abbiamo raccolto dati clinici, terapeutici e di outcome (sanguinamento / non sanguinamento) di pazienti consecutivi che hanno avuto accesso all’Azienda Ospedaliero Universitaria Pisana nel periodo compreso dal 2013 al 2018. L’endpoint principale dello studio è stato considerato lo sviluppo di un sanguinamento durante il follow up.
I pazienti inclusi nello studio sono stati identificati sulla base della prescrizione di un anticoagulante, identificati sulla base della prescrizione del piano terapeutico per uno dei 4 anticoagulanti orali o sulla base di una diagnosi di tromboembolismo venoso o fibrillazione atriale effettuata nel corso del ricovero o presente nell’anamnesi del paziente. Una volta identificate, le caratteristiche cliniche di ogni paziente, sia in occasione del primo accesso presso una delle unità operative che in occasione dell’ultima visita di follow up, sono state recuperate dalle cartelle cliniche o dalla lettera ambulatoriale. I pazienti che avevano avuto un sanguinamento sono stati considerati i casi dello studio.
La popolazione totale inclusa nello studio era di 176 pazienti. Il follow up medio dei pazienti era di 19.5 mesi. In totale sono stati riscontrati 26 casi di sanguinamento nel corso del follow up, di cui 19 considerati maggiori, quindi sono state comparate le variabili cliniche nei due gruppi di pazienti che evidenziando età, funzione renale, valori pressori sovrapponibili mentre emergeva che i valori di emoglobina ed ematocrito risultavano significativamente inferiori nei soggetti che avevano avuto sanguinamento. Il punteggio HAS-BLED non differiva significativamente tra i gruppi sanguinamento/non-sanguinamento (P = 0,3734). Al contrario, l’analisi delle curve ROC evidenziava un incremento del rischio di sanguinamento al follow up associato ad un punteggio del CHADS2VASC più elevato (P = 0,0101). Anche la prevalenza di comorbidità nella popolazione è simile tra coloro che avevano avuto un sanguinamento e coloro che non lo avevano avuto, così come la terapia con altri farmaci non mostra differenze tanto meno la terapia antiaggregante. Riguardo distribuzione della prescrizione delle diverse molecole di farmaco anticoagulante in base alle indicazioni alla terapia, l’anticoagulante più prescritto risultava essere il dabigatran alla dose ridotta di 110 mg, seguito da apixaban, rivaroxaban ed endoxaban.
Mentre per dabigatran, rivaroxaban e apixaban l’indicazione prevalente risultava essere la fibrillazione atriale non valvolare, per edoxaban il numero di soggetti che assumevano la terapia per trombosi venosa, embolia polmonare o fibrillazione atriale risultava sovrapponibile, si sono evidenziate invece interessanti differenze nel rischio di sanguinamento in base alla molecola anticoagulante ed al dosaggio prescritto. E’ risultato infatti un minor rischio emorragico per il dabigatran anche a basso dosaggio e maggior rischio emorragico per l’edoxaban anche a basso dosaggio (il target preferenziale dell’edoxaban sono i pazienti oncologici). Si evidenzia inoltre una correlazione tra dosaggio più elevato del farmaco e punteggio CHADVASC più alto e nessuna correlazione con età e peso corporeo. In accordo con la pratica clinica si riscontrava un dosaggio ridotto nei pazienti con valori di creatininemia elevata e quindi con ridotta capacità di eliminare il farmaco.
In definitiva possiamo dire che i risultati interessanti ottenuti incoraggiano ulteriori studi analoghi e approfondimenti real life dei dati assunti con i grandi trials. Questi dovrebbero analizzare gli effetti dei nuovi anticoagulanti orali e i profili di rischio relativi su popolazioni sempre più aderenti alla realtà clinica di ogni giorno. Possiamo affermare che tra i 4 farmaci anticoagulanti il più efficace e con minori effetti collaterali sembra essere il Dabigatran, anche se una risposta definitiva potrà essere data solo da uno studio randomizzato che effettui una comparazione diretta tra i vari farmaci. Finora in letteratura esistono metanalisi che raffrontano i vari trials che però, basandosi su metodiche statistiche non omogenee e popolazioni arruolate altrettanto diverse, non possono dare risultati precisi ed esaustivi.
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