Tesi etd-09252017-125510 |
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Tipo di tesi
Tesi di laurea specialistica LC6
Autore
BOLOGNA, MARIA LIDIA
URN
etd-09252017-125510
Titolo
DIABETE, RIDOTTA TOLLERANZA AL GLUCOSIO E MORBIDITÀ E MORTALITÀ CARDIOVASCOLARE:
FATTORI PREDITTIVI ALLA DIAGNOSI
Dipartimento
RICERCA TRASLAZIONALE E DELLE NUOVE TECNOLOGIE IN MEDICINA E CHIRURGIA
Corso di studi
MEDICINA E CHIRURGIA
Relatori
relatore Prof. Taddei, Stefano
relatore Prof.ssa Solini, Anna
relatore Prof.ssa Solini, Anna
Parole chiave
- Diabete
- emoglobina glicata
- prediabete
- ridotta tolleranza glucidica
- rischio cardiovascolare
Data inizio appello
17/10/2017
Consultabilità
Completa
Riassunto
La diffusione del diabete a livello globale con il suo carico di complicanze croniche (cardiovascolari, renali, oculari e neurologiche) rappresenta una sfida per la salute pubblica a causa del suo impatto sulla precoce morbidità e mortalità.
Il diabete mellito di tipo 2 si sta diffondendo ovunque nel mondo con una crescita inarrestabile sia nei paesi sviluppati che in quelli ancora in via di sviluppo e per questo considerato la più grande “epidemia” dei tempi moderni. A giustificare questa definizione sono soprattutto i numeri: 415 milioni di persone a livello mondiale che potrebbero diventare 642 milioni nel 2040. Questi dati allarmano ancor più quando si considerano le persone, definite prediabetiche, che presentano una iperglicemia non ancora indicativa di una stato patologico, ma neppure normale.
Il prediabete è una condizione eterogenea per patogenesi e rischio di complicanze, caratterizzato da una molteplicità di alterazioni metaboliche variamente associate tra loro che delineano diversi fenotipi.
Gli stati di disglicemia (IFG, IGT o HbA1c 5.7-6.4%), seppur asintomatici, inducono effetti deleteri sui tessuti bersaglio ed espongono gli individui ad un rischio maggiore di sviluppare diabete tipo 2 e malattie cardiovascolari. Da qui la necessità di definire un fenotipo per identificare le misure di prevenzione più appropriate ed arginare la sua diffusione prevenendone l’insorgenza sin dalle fasi più precoci.
Numerosi studi hanno dimostrato l’importante ruolo dei diversi metodi di valutazione del glucosio (glicemia a digiuno, glicemia postcarico, emoglobina glicata) nel predire la futura insorgenza del diabete e delle malattie cardiovascolari. Grande importanza hanno i criteri diagnostici perché il parametro che decidiamo di analizzare nella pratica clinica determina il numero e le caratteristiche dei pazienti a cui viene diagnosticato il prediabete. In letteratura non vi è un accordo unanime su quale test, da solo o in combinazione, debba essere usato per lo screening.
Ad oggi, non esiste una determinazione che possa essere considerata “gold standard”. Questo può essere in parte dovuto alla variabilità di laboratorio, ma anche al fatto che i tre parametri riflettono condizioni diverse dal punto di vista dell’omeostasi glicemica.
Se da almeno un ventennio la determinazione dell’emoglobina glicata rappresenta, la variabile principale sulla quale si basa la valutazione e il monitoraggio del controllo glicemico a medio e lungo termine, negli ultimi anni un numero sempre più importate di studi si è soffermato sul ruolo di nuovi marker glicemici (iperglicemia alla prima ora durante OGTT, fruttosamina e albumina glicata) che potrebbero aggiungere informazioni prognostiche complementari a quelli definiti “tradizionali”.
Lo scopo del presente lavoro di tesi è stato valutare le caratteristiche basali antropometriche e bioumorali nei pazienti con neodiagnosi o con breve durata di malattia. Lo studio, condotto su una coorte di 150 pazienti, ha analizzato anche l’impatto e il ruolo predittivo dei vari parametri alla diagnosi sulla morbidità e mortalità nel corso di un follow-up di 76 mesi. Tutti hanno eseguito accertamenti per la valutazione del profilo glucidico e lipidico e test della funzionalità epatica, tiroidea e renale. All’esame obiettivo sono stati registrati BMI, pressione arteriosa e frequenza cardiaca. Durante la valutazione i pazienti hanno subito un’intervista strutturata per raccogliere informazioni su familiarità (per diabete, dislipidemie, ipertensione), abitudini, eventuali comorbidità e relative terapie.
Al termine del follow-up sono stati registrati 22 decessi con un tasso di mortalità che si attesta intorno all’11.4%, significativo se si considera l’età media alla diagnosi (pari a 63.7 ± 11.4 anni).
Analizzando insieme i pazienti diabetici ed ipertesi sono emerse alterazioni del profilo lipidico e l’ipertensione, prevalentemente sistolica, si è dimostrata, di fatto, il fattore predittivo più forte della mortalità a 76 mesi.
Dall’analisi emerge chiaramente, in linea con studi recenti, come un filtrato renale basale più basso, seppure non inferiore a 60 ml/min/1.73 m2 si accompagni ad un outcome peggiore per la mortalità totale. Al contrario al momento della diagnosi gli indici del controllo glucidico non sono risultati particolarmente scompensati.
Oltre all’obesità, nel 12% dei casi è stata riconosciuta una pregressa cardiopatia ischemica. Un nesso, quello tra DM e MVC, che si è dimostrato forte anche nella nostra coorte di pazienti con neodiagnosi.
Riassumendo i risultati di questo studio osservazionale suggeriscono che l’eccesso di mortalità nei diabetici tipo 2 sia accompagnato da alterazioni di vari parametri biologici, in funzione dell’età, del controllo pressorio e della funzione renale.
Risulta pertanto fondamentale individuare non soltanto i soggetti con IFG e IGT, ma anche casi di diabete misconosciuto per attuare strategie di prevenzione intervenendo sullo stile di vita e avviando un trattamento precoce dei fattori di rischio cardiovascolare.
Il diabete mellito di tipo 2 si sta diffondendo ovunque nel mondo con una crescita inarrestabile sia nei paesi sviluppati che in quelli ancora in via di sviluppo e per questo considerato la più grande “epidemia” dei tempi moderni. A giustificare questa definizione sono soprattutto i numeri: 415 milioni di persone a livello mondiale che potrebbero diventare 642 milioni nel 2040. Questi dati allarmano ancor più quando si considerano le persone, definite prediabetiche, che presentano una iperglicemia non ancora indicativa di una stato patologico, ma neppure normale.
Il prediabete è una condizione eterogenea per patogenesi e rischio di complicanze, caratterizzato da una molteplicità di alterazioni metaboliche variamente associate tra loro che delineano diversi fenotipi.
Gli stati di disglicemia (IFG, IGT o HbA1c 5.7-6.4%), seppur asintomatici, inducono effetti deleteri sui tessuti bersaglio ed espongono gli individui ad un rischio maggiore di sviluppare diabete tipo 2 e malattie cardiovascolari. Da qui la necessità di definire un fenotipo per identificare le misure di prevenzione più appropriate ed arginare la sua diffusione prevenendone l’insorgenza sin dalle fasi più precoci.
Numerosi studi hanno dimostrato l’importante ruolo dei diversi metodi di valutazione del glucosio (glicemia a digiuno, glicemia postcarico, emoglobina glicata) nel predire la futura insorgenza del diabete e delle malattie cardiovascolari. Grande importanza hanno i criteri diagnostici perché il parametro che decidiamo di analizzare nella pratica clinica determina il numero e le caratteristiche dei pazienti a cui viene diagnosticato il prediabete. In letteratura non vi è un accordo unanime su quale test, da solo o in combinazione, debba essere usato per lo screening.
Ad oggi, non esiste una determinazione che possa essere considerata “gold standard”. Questo può essere in parte dovuto alla variabilità di laboratorio, ma anche al fatto che i tre parametri riflettono condizioni diverse dal punto di vista dell’omeostasi glicemica.
Se da almeno un ventennio la determinazione dell’emoglobina glicata rappresenta, la variabile principale sulla quale si basa la valutazione e il monitoraggio del controllo glicemico a medio e lungo termine, negli ultimi anni un numero sempre più importate di studi si è soffermato sul ruolo di nuovi marker glicemici (iperglicemia alla prima ora durante OGTT, fruttosamina e albumina glicata) che potrebbero aggiungere informazioni prognostiche complementari a quelli definiti “tradizionali”.
Lo scopo del presente lavoro di tesi è stato valutare le caratteristiche basali antropometriche e bioumorali nei pazienti con neodiagnosi o con breve durata di malattia. Lo studio, condotto su una coorte di 150 pazienti, ha analizzato anche l’impatto e il ruolo predittivo dei vari parametri alla diagnosi sulla morbidità e mortalità nel corso di un follow-up di 76 mesi. Tutti hanno eseguito accertamenti per la valutazione del profilo glucidico e lipidico e test della funzionalità epatica, tiroidea e renale. All’esame obiettivo sono stati registrati BMI, pressione arteriosa e frequenza cardiaca. Durante la valutazione i pazienti hanno subito un’intervista strutturata per raccogliere informazioni su familiarità (per diabete, dislipidemie, ipertensione), abitudini, eventuali comorbidità e relative terapie.
Al termine del follow-up sono stati registrati 22 decessi con un tasso di mortalità che si attesta intorno all’11.4%, significativo se si considera l’età media alla diagnosi (pari a 63.7 ± 11.4 anni).
Analizzando insieme i pazienti diabetici ed ipertesi sono emerse alterazioni del profilo lipidico e l’ipertensione, prevalentemente sistolica, si è dimostrata, di fatto, il fattore predittivo più forte della mortalità a 76 mesi.
Dall’analisi emerge chiaramente, in linea con studi recenti, come un filtrato renale basale più basso, seppure non inferiore a 60 ml/min/1.73 m2 si accompagni ad un outcome peggiore per la mortalità totale. Al contrario al momento della diagnosi gli indici del controllo glucidico non sono risultati particolarmente scompensati.
Oltre all’obesità, nel 12% dei casi è stata riconosciuta una pregressa cardiopatia ischemica. Un nesso, quello tra DM e MVC, che si è dimostrato forte anche nella nostra coorte di pazienti con neodiagnosi.
Riassumendo i risultati di questo studio osservazionale suggeriscono che l’eccesso di mortalità nei diabetici tipo 2 sia accompagnato da alterazioni di vari parametri biologici, in funzione dell’età, del controllo pressorio e della funzione renale.
Risulta pertanto fondamentale individuare non soltanto i soggetti con IFG e IGT, ma anche casi di diabete misconosciuto per attuare strategie di prevenzione intervenendo sullo stile di vita e avviando un trattamento precoce dei fattori di rischio cardiovascolare.
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