Tesi etd-09212012-153119 |
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Tipo di tesi
Tesi di laurea specialistica LC6
Autore
PROFETI, ALESSIA
URN
etd-09212012-153119
Titolo
D-dimero e sepsi: valore predittivo del D-dimero nel danno d'organo
Dipartimento
MEDICINA E CHIRURGIA
Corso di studi
MEDICINA E CHIRURGIA
Relatori
relatore Prof. Carmassi, Franco
Parole chiave
- D-dimero
- danno d'organo
- sepsi
Data inizio appello
16/10/2012
Consultabilità
Non consultabile
Data di rilascio
16/10/2052
Riassunto
La sepsi e il danno d’organo, che da essa può derivare, sono due patologie ancora oggi assai importanti, sia pure con alcuni distinguo. Mentre infatti la sepsi è generalmente curabile e senza sequele, il danno d’organo continua invece ad essere una patologia rilevante nei reparti di terapia intensiva.
Il riconoscimento di questa condizione e la sua rapida gestione sono pertanto fondamentali per permettere l’eventuale regressione del danno.
L’obiettivo di questa tesi consiste appunto nel cercare di stabilire se il D-dimero possa costituire un parametro in grado di porre il più precocemente possibile l’attenzione del medico sulla eventuale evoluzione della sepsi.
L’ipotesi di utilizzare questo parametro, per valutare l’eventuale progressione della sepsi in sepsi grave e shock settico, si fonda sulle numerose fonti riscontrate in letteratura che attestano una associazione tra l’infiammazione sistemica dovuta alla sepsi e l’attivazione della coagulazione, che potenziandosi determinano sia l’aumento della coagulazione che una depressione del sistema anticoagulante.
È stato altresì riscontrato, sempre in letteratura, che questo squilibrio potrebbe essere alla base dell’alterazione dell’emostasi implicata nella genesi dei microtrombi, responsabili del danno d’organo.
Il d-dimero, molecola prodotta dalla degradazione della fibrina organizzata, è un indice della pregressa attivazione della coagulazione, viene comunemente usato per l’esclusione di embolia polmonare e trombosi venosa profonda e ne è stata qui valutata la possibilità di utilizzo come indicatore della presenza o meno di danno d’organo in pazienti affetti da sepsi.
Sulla base dei dati relativi a tutti i pazienti ammessi tra febbraio 2011 e giugno 2012 nel reparto di Medicina D’urgenza Universitaria dell’Azienda Ospedaliera Universitaria Pisana sembra emergere che questo test avrebbe maggiore utilità per individuare coloro, che essendo negativi al test, più probabilmente non svilupperanno danno d’organo, piuttosto che per individuare i soggetti predisposti a sviluppare danno d’organo.
Il riconoscimento di questa condizione e la sua rapida gestione sono pertanto fondamentali per permettere l’eventuale regressione del danno.
L’obiettivo di questa tesi consiste appunto nel cercare di stabilire se il D-dimero possa costituire un parametro in grado di porre il più precocemente possibile l’attenzione del medico sulla eventuale evoluzione della sepsi.
L’ipotesi di utilizzare questo parametro, per valutare l’eventuale progressione della sepsi in sepsi grave e shock settico, si fonda sulle numerose fonti riscontrate in letteratura che attestano una associazione tra l’infiammazione sistemica dovuta alla sepsi e l’attivazione della coagulazione, che potenziandosi determinano sia l’aumento della coagulazione che una depressione del sistema anticoagulante.
È stato altresì riscontrato, sempre in letteratura, che questo squilibrio potrebbe essere alla base dell’alterazione dell’emostasi implicata nella genesi dei microtrombi, responsabili del danno d’organo.
Il d-dimero, molecola prodotta dalla degradazione della fibrina organizzata, è un indice della pregressa attivazione della coagulazione, viene comunemente usato per l’esclusione di embolia polmonare e trombosi venosa profonda e ne è stata qui valutata la possibilità di utilizzo come indicatore della presenza o meno di danno d’organo in pazienti affetti da sepsi.
Sulla base dei dati relativi a tutti i pazienti ammessi tra febbraio 2011 e giugno 2012 nel reparto di Medicina D’urgenza Universitaria dell’Azienda Ospedaliera Universitaria Pisana sembra emergere che questo test avrebbe maggiore utilità per individuare coloro, che essendo negativi al test, più probabilmente non svilupperanno danno d’organo, piuttosto che per individuare i soggetti predisposti a sviluppare danno d’organo.
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