Tesi etd-09212006-121016 |
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Tipo di tesi
Tesi di laurea specialistica
Autore
Migliore, Antonio
Indirizzo email
antonio.migliore@libero.it
URN
etd-09212006-121016
Titolo
Ingegnerizzazione di microvasi per applicazioni nell'Ingegneria Tissutale
Dipartimento
INGEGNERIA
Corso di studi
INGEGNERIA BIOMEDICA
Relatori
Relatore Vozzi, Giovanni
Relatore Vozzi, Federico
Relatore Prof. De Rossi, Danilo
Relatore Prof.ssa Ahluwalia, Arti Devi
Relatore Vozzi, Federico
Relatore Prof. De Rossi, Danilo
Relatore Prof.ssa Ahluwalia, Arti Devi
Parole chiave
- microvascolarizzazione
- scaffold
- fibroblasti
- tissue engineering
Data inizio appello
13/10/2006
Consultabilità
Completa
Riassunto
Le moderne tecniche di coltura cellulare e lo sviluppo di bioreattori sempre più performanti permettono oggi di ottenere “prodotti” di Tissue Engineering sicuramente migliori rispetto al passato. Tuttavia, le potenzialità dei costrutti sono fortemente limitate dal tipo di trasporto di nutrienti e ossigeno, principalmente diffusivo. Per garantire le funzioni cellulari, ciascuna cellula deve trovarsi al massimo ad una distanza dell’ordine di poche centinaia di micron rispetto ad un vaso. Per far fronte a questa limitazione, l’evoluzione ha stabilito che un tessuto deve essere attraversato da una fitta rete di microvasi, i capillari. Ovviamente la microvascolarizzazione dipende principalmente dal tipo di tessuto e quindi la distanza massima tra cellula e capillare va strettamente legata al tipo cellulare: i condrociti, avendo esigenze metaboliche più basse, richiederanno un minor grado di vascolarizzazione rispetto, ad esempio, agli epatociti.
L’assenza di una rete microvascolare capace di “nutrire” adeguatamente il tessuto rigenerato è uno dei maggiori ostacoli verso la realizzazione di tessuti artificiali di spessori elevati (gli spessori raggiunti sperimentalmente sono dell’ordine di pochi millimetri).
Mentre sono già stati condotti diversi studi, dagli esiti positivi, nel campo dei grafts vascolari e nel campo di sostituti cutanei e cartilaginei, che richiedono costrutti di spessore poco rilevante o poca vascolarizzazione, le ricerche volte alla creazione di un letto capillare artificiale integrato in un tessuto spesso (e.g. intestino, fegato) sono ancora agli albori.
La possibilità di disporre a piacimento di vasi di diametro capillare o di microvasi (per definizione con diametro interno minore di 1 mm) potrebbe rappresentare la svolta verso la reale ingegnerizzazione di un tessuto biologico funzionale.
Attualmente, l’impianto di scaffold cellularizzati è limitato dal fatto che le cellule presenti su di esso consumano entro poche ore le proprie scorte di ossigeno e nutrienti, mentre il processo di angiogenesi (crescita di nuovi vasi) richiederà diversi giorni prima di poter provvedere alle esigenze metaboliche del nuovo costrutto.
La soluzione potrebbe essere rappresentata da scaffolds in grado di rilasciare opportuni fattori di crescita angiogenetici come il VEGF (Vascular Endothelial cell Growth Factor) o il FGF (Fibroblast Growth Factor). Tuttavia, con questo approccio la vascolarizzazione non è molto rapida e la stabilità dei vasi non è ottimale ai fini applicativi.
Altra alternativa potrebbe essere quella di usare sostituti di pelle ingegnerizzati contenenti fibroblasti del derma in grado di rilasciare anche diversi fattori di crescita angiogenetici.
Un approccio diverso prevede invece l’utilizzo di cellule staminali e progenitrici in quanto è stato osservato che la resistenza a condizioni di ipossia di questi tipi cellulari è di gran lunga superiore a quelle di tutti gli altri tipi ma l’impiego di questi tipi cellulari è al centro di un vivo dibattito tra il mondo etico-conservatore e quello scientifico-progressista.
Molto più ambizioso è l’approccio che prevede di realizzare in vitro un tessuto contenente una rete vascolare integrata con dimensioni e caratteristiche tali che ne permettano la connessione ai vasi del paziente durante l’intervento di impianto. La complessità associata alla presenza di milioni di cellule disposte tridimensionalmente in maniera organizzata, potrebbe essere affrontata con dei modelli software capaci di creare dei pattern bidimensionali che sovrapposti danno vita a strutture tridimensionali in grado di guidare la crescita dei vasi.
Questo lavoro di Tesi nasce con l’obbiettivo di realizzare in vitro delle strutture microvascolari da utilizzare in applicazioni di Tissue Engineering. Oltre all’impiego in questo settore, vengono proposte altre applicazioni dei microvasi artificiali nel settore della Cardiochirurgia, della Farmacologia e della Chirurgia Ricostruttiva.
L’approccio adottato in questa Tesi prevede l’utilizzo di strutture cilindriche, di materiale vario, sulle quali far aderire e proliferare cellule del tessuto connettivo (fibroblasti murini) che in questa applicazione andranno a costituire la tunica avventizia dei vasi. Fornendo gli stimoli giusti, tali cellule ricopriranno l’intera struttura cilindrica e produrranno quella porzione di matrice extracellulare (ECM) che agirà come scaffold e collante per lo stesso aggregato di cellule.
Dato che l’intento finale è quello di ottenere dei microvasi, sono state previste due modalità per la creazione di un lume all’interno di tali strutture. La prima modalità prevede l’impiego di fili in nylon che verranno estratti non appena gli strati cellulari, cresciuti a partire dalla semina sulla loro superficie, saranno ritenuti di spessore adeguato. La seconda modalità prevede l’impiego di fili da sutura chirurgica riassorbibili, i quali verranno degradati per via idrolitica o enzimatica dalle stesse cellule che saranno state seminate sulla loro superficie, lasciando un lume interno.
Per entrambe le metodiche è stato previsto un sistema di perfusione che permetta di connettere i microvasi ad una piccola pompa peristaltica settata sui tipici parametri di flusso del sistema capillare.
Dai primi test di semina sono emerse divere difficoltà nel posizionamento delle cellule sulla superficie dei fili, il problema era ovviamente legato alle dimensioni e alla geometria dei substrati. Tale inconveniente è stato affrontato progettando e realizzando un sistema che consente una semina sito-specifica mantenendo i fili sospesi a circa 1.5 mm dal fondo della piastra di coltura. Con questo accorgimento si evita lo sprouting cellulare verso il fondo e si fornisce alle cellule un tipo di giuda che viene definito guida per disponibilità di substrato.
Per ottenere delle strutture più compatte, i fibroblasti sono stati stimolati verso una maggiore produzione di ECM tramite l’aggiunta di acido ascorbico al normale terreno di coltura. È noto infatti che per i questo tipo di cellule tale sontanza agisce come stimolo in questo senso.
Durante il periodo di coltura è stata osservata la crescita dello strato cellulare attorno ai fili che costituisce in pratica lo spessore della parete del microvaso in via di formazione. Tali osservazioni sono state fatte tenendo in considerazione il tipo di supporto e la concentrazione di acido ascorbico.
Le sezioni ricavate sono state sottoposte a processi di colorazione che, mettendo in evidenza la componente glicolica del campione, forniscono dei dati qualitativi e quantitativi sulla presenza della ECM.
Le esperienze precedenti che mirano alla realizzazione in vitro di microvasi sono ad oggi limitate, ciò dimostra che in questo settore ci sono ancora molte strade che possono essere percorse.
I risultanti raccolti in quasta Tesi dimostrano che questo approcio appare promettente per la realizzione in vitro di una rete microvascolare per applicazioni nell’Ingegneria Tissutale.
L’assenza di una rete microvascolare capace di “nutrire” adeguatamente il tessuto rigenerato è uno dei maggiori ostacoli verso la realizzazione di tessuti artificiali di spessori elevati (gli spessori raggiunti sperimentalmente sono dell’ordine di pochi millimetri).
Mentre sono già stati condotti diversi studi, dagli esiti positivi, nel campo dei grafts vascolari e nel campo di sostituti cutanei e cartilaginei, che richiedono costrutti di spessore poco rilevante o poca vascolarizzazione, le ricerche volte alla creazione di un letto capillare artificiale integrato in un tessuto spesso (e.g. intestino, fegato) sono ancora agli albori.
La possibilità di disporre a piacimento di vasi di diametro capillare o di microvasi (per definizione con diametro interno minore di 1 mm) potrebbe rappresentare la svolta verso la reale ingegnerizzazione di un tessuto biologico funzionale.
Attualmente, l’impianto di scaffold cellularizzati è limitato dal fatto che le cellule presenti su di esso consumano entro poche ore le proprie scorte di ossigeno e nutrienti, mentre il processo di angiogenesi (crescita di nuovi vasi) richiederà diversi giorni prima di poter provvedere alle esigenze metaboliche del nuovo costrutto.
La soluzione potrebbe essere rappresentata da scaffolds in grado di rilasciare opportuni fattori di crescita angiogenetici come il VEGF (Vascular Endothelial cell Growth Factor) o il FGF (Fibroblast Growth Factor). Tuttavia, con questo approccio la vascolarizzazione non è molto rapida e la stabilità dei vasi non è ottimale ai fini applicativi.
Altra alternativa potrebbe essere quella di usare sostituti di pelle ingegnerizzati contenenti fibroblasti del derma in grado di rilasciare anche diversi fattori di crescita angiogenetici.
Un approccio diverso prevede invece l’utilizzo di cellule staminali e progenitrici in quanto è stato osservato che la resistenza a condizioni di ipossia di questi tipi cellulari è di gran lunga superiore a quelle di tutti gli altri tipi ma l’impiego di questi tipi cellulari è al centro di un vivo dibattito tra il mondo etico-conservatore e quello scientifico-progressista.
Molto più ambizioso è l’approccio che prevede di realizzare in vitro un tessuto contenente una rete vascolare integrata con dimensioni e caratteristiche tali che ne permettano la connessione ai vasi del paziente durante l’intervento di impianto. La complessità associata alla presenza di milioni di cellule disposte tridimensionalmente in maniera organizzata, potrebbe essere affrontata con dei modelli software capaci di creare dei pattern bidimensionali che sovrapposti danno vita a strutture tridimensionali in grado di guidare la crescita dei vasi.
Questo lavoro di Tesi nasce con l’obbiettivo di realizzare in vitro delle strutture microvascolari da utilizzare in applicazioni di Tissue Engineering. Oltre all’impiego in questo settore, vengono proposte altre applicazioni dei microvasi artificiali nel settore della Cardiochirurgia, della Farmacologia e della Chirurgia Ricostruttiva.
L’approccio adottato in questa Tesi prevede l’utilizzo di strutture cilindriche, di materiale vario, sulle quali far aderire e proliferare cellule del tessuto connettivo (fibroblasti murini) che in questa applicazione andranno a costituire la tunica avventizia dei vasi. Fornendo gli stimoli giusti, tali cellule ricopriranno l’intera struttura cilindrica e produrranno quella porzione di matrice extracellulare (ECM) che agirà come scaffold e collante per lo stesso aggregato di cellule.
Dato che l’intento finale è quello di ottenere dei microvasi, sono state previste due modalità per la creazione di un lume all’interno di tali strutture. La prima modalità prevede l’impiego di fili in nylon che verranno estratti non appena gli strati cellulari, cresciuti a partire dalla semina sulla loro superficie, saranno ritenuti di spessore adeguato. La seconda modalità prevede l’impiego di fili da sutura chirurgica riassorbibili, i quali verranno degradati per via idrolitica o enzimatica dalle stesse cellule che saranno state seminate sulla loro superficie, lasciando un lume interno.
Per entrambe le metodiche è stato previsto un sistema di perfusione che permetta di connettere i microvasi ad una piccola pompa peristaltica settata sui tipici parametri di flusso del sistema capillare.
Dai primi test di semina sono emerse divere difficoltà nel posizionamento delle cellule sulla superficie dei fili, il problema era ovviamente legato alle dimensioni e alla geometria dei substrati. Tale inconveniente è stato affrontato progettando e realizzando un sistema che consente una semina sito-specifica mantenendo i fili sospesi a circa 1.5 mm dal fondo della piastra di coltura. Con questo accorgimento si evita lo sprouting cellulare verso il fondo e si fornisce alle cellule un tipo di giuda che viene definito guida per disponibilità di substrato.
Per ottenere delle strutture più compatte, i fibroblasti sono stati stimolati verso una maggiore produzione di ECM tramite l’aggiunta di acido ascorbico al normale terreno di coltura. È noto infatti che per i questo tipo di cellule tale sontanza agisce come stimolo in questo senso.
Durante il periodo di coltura è stata osservata la crescita dello strato cellulare attorno ai fili che costituisce in pratica lo spessore della parete del microvaso in via di formazione. Tali osservazioni sono state fatte tenendo in considerazione il tipo di supporto e la concentrazione di acido ascorbico.
Le sezioni ricavate sono state sottoposte a processi di colorazione che, mettendo in evidenza la componente glicolica del campione, forniscono dei dati qualitativi e quantitativi sulla presenza della ECM.
Le esperienze precedenti che mirano alla realizzazione in vitro di microvasi sono ad oggi limitate, ciò dimostra che in questo settore ci sono ancora molte strade che possono essere percorse.
I risultanti raccolti in quasta Tesi dimostrano che questo approcio appare promettente per la realizzione in vitro di una rete microvascolare per applicazioni nell’Ingegneria Tissutale.
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