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Archivio digitale delle tesi discusse presso l'Università di Pisa

Tesi etd-09172018-122622


Tipo di tesi
Tesi di laurea magistrale LM5
Autore
CAPPELLO, GIULIA
URN
etd-09172018-122622
Titolo
L' "anticipatory breach" e le sue implicazioni nel quadro della comparazione: possibili riflessi nel sistema italiano
Dipartimento
GIURISPRUDENZA
Corso di studi
GIURISPRUDENZA
Relatori
relatore Prof.ssa Navarretta, Emanuela
correlatore Prof.ssa Calderai, Valentina
Parole chiave
  • Anticipatory breach
Data inizio appello
08/10/2018
Consultabilità
Non consultabile
Data di rilascio
08/10/2088
Riassunto
Il lavoro di ricerca che mi accingo a illustrare nasce dal proposito di indagare la rilevanza pratica delle questioni sottese alla figura dell’ anticipatory breach, al fine di valutare se è opportuno che l’ordinamento offra gli strumenti adeguati per una loro sistemazione. Riscontrata tale opportunità, l’indagine si pone come obiettivo quello di verificare se l’ordinamento nazionale è idoneo, de iure condito, a soddisfare tale esigenza, o se al contrario, è necessario auspicare un intervento del legislatore. La prospettiva adottata dalla ricerca non è relegata entro i confini nazionali, ma si allarga all’esperienza di tradizioni giuridiche straniere, oltre che al diritto materiale uniforme, agli esperimenti in corso dei laboratori transnazionali preposti alla creazione di un futuro diritto europeo, e a strumenti internazionali di soft law.
L’indagine comparatistica mi ha permesso di delineare la complessità del fenomeno cui alludono le formule ellittiche con le quali si è soliti evocarlo (“inadempimento anticipato”, “anticipatory breach”, “antizipierter vertragsbruch”), e di constatare altresì, come nel dibattito italiano prevalga un approccio riduzionistico alle questioni pratiche emerse. Tanto nelle esperienze degli ordinamenti nazionali esplorati (inglese e tedesco), quanto nel diritto uniforme e nei progetti di armonizzazione del diritto privato europeo, l’esigenza che si evidenzia è quella di fronteggiare la pluralità di situazioni in cui il futuro adempimento della prestazione può essere messo a rischio, attraverso la predisposizione di una serie di strumenti rimediali, graduabili a seconda del conflitto di interessi che in concreto si pone. L’ipotesi principale è quella in cui, nella fase anteriore alla scadenza del termine di adempimento, risulta evidente che un inadempimento rilevante ai fini risolutori si verificherà. In questo caso si concede al contraente fedele di sciogliere anticipatamente il rapporto: il tempestivo affrancamento dal vincolo contrattuale permette infatti, a colui che si avvale del rimedio, di utilizzare in modo efficiente le risorse che sarebbero state destinate all’esecuzione del contratto, perseguendo alternativamente l’interesse che lo ha spinto a contrarre, e altresì, di evitare che queste restino immobilizzate sino alla definitiva frustrazione del proprio interesse al conseguimento del risultato contrattuale. Inoltre, una risposta tempestiva al profilarsi di un grave inadempimento può rispondere anche all’interesse del debitore che, per effetto delle contromisure tempestivamente assunte dalla sua controparte o di quelle che in ossequio al (l’anticipato) dovere di mitigazione del danno avrebbe dovuto assumere, è chiamato a risarcire un danno inferiore.
Nel caso in cui, invece, il futuro inadempimento (rilevante ai fini risolutori) non risulta ragionevolmente certo ma solo altamente probabile, in alcune delle realtà indagate si concede al contraente fedele di sospendere l’esecuzione della propria prestazione, e contestualmente, di esigere dalla controparte, entro un termine che sia ragionevole in base alle circostanze concrete, adeguate garanzie di adempimento. La concessione di garanzie (qui il termine viene utilizzato in senso atecnico), non è funzionale ad escludere che si verifichi un qualsiasi inadempimento della prestazione, quanto piuttosto un inadempimento tale da frustare l‘interesse creditorio all’adempimento, e quindi idoneo a fondare una pretesa risolutoria. Scaduto il termine senza che sia stata fornita la rassicurazione richiesta, al creditore si consente di esercitare il recesso e sciogliere quindi il rapporto.
A mio avviso entrambe le fattispecie rimediali delineate, e quest’ultima in particolare, vanno collocate entro una più generale tendenza emersa nel panorama europeo, così come nell’ordinamento tedesco in seguito alla sua modernizzazione, ad anticipare la soglia di operatività del rimedio ablativo, e a “governare” le situazioni in cui la possibilità che l’interesse del creditore trovi soddisfazione sia messa seriamente a rischio. Esemplifica tale tendenza la modalità con cui si concede il ricorso allo scioglimento del contratto nelle ipotesi di ritardo: il creditore può fissare un termine congruo per permettere al debitore di adempiere, e se la prestazione tardiva al suo scadere non è stata eseguita, è legittimato a recedere dal contratto, nonostante in quel momento non si sia ancora integrato un ritardo grave. Risulta evidente la linea di continuità tra questa disposizione e quelle che permettono lo scioglimento prima del termine. Anche qui, seppure in un senso parzialmente diverso, gioca un ruolo determinante la dimensione temporale, alla quale si intende imprimere una funzione ulteriore rispetto a quella implicita nell’ idea che il ritardo sia misurabile. Essa, infatti, non rappresenta solo il contesto entro cui apprezzare il progressivo aggravarsi dell’inadempimento-ritardo e dei suoi riflessi sull’interesse del creditore, ma articola altresì una procedura pensata per comporre in modo efficiente il tipico conflitto di interessi connesso al ritardo. Se infatti il debitore non si attiva entro l’ulteriore congruo termine concessogli, per adempiere, o almeno per assicurare che la prestazione tardiva sarà offerta prima che l’aggravarsi del ritardo la renda inutile o frusti l’interesse del creditore a riceverla, al creditore sarà consentito sciogliere il rapporto. Nell’elaborato saranno analizzate più ampiamente le implicazioni sottese a tale disposizione e meglio specificati gli obiettivi che essa promuove, nel tentativo di mostrare come essi convergono, con quelli espressi dalle disposizioni sulla c.d. risoluzione anticipata, entro una prospettiva unitaria. Inoltre, si metterà in evidenza come l’immagine dello strumento risolutorio che risulta da tale analisi è confermata da tratti più generali della sua disciplina. Un primo riscontro si rintraccia nel modo di configurare la fattispecie dell’inadempimento, quale presupposto applicativo del rimedio ablativo: essa infatti, prescindendo del tutto dal requisito dell’imputabilità, non importa se declinato in senso soggettivo (colpa), o in senso oggettivo (sfera organizzativa o di rischio), viene concepita alla stregua di una sopravvenienza da “gestire”, sia quando si richiama come fatto attuale, sia quando vi si allude come oggetto di una prognosi. Un secondo riscontro può scorgersi nella natura giuridica dello strumento atto a sciogliere il contratto: si tratta, infatti, di un atto stragiudiziale ad opera di parte, che non necessita pertanto del ricorso al giudice e di una sentenza costitutiva per esplicare i suoi effetti. L’instaurazione di un processo è eventuale, e rimessa all’istanza del debitore che ritenga inesistenti i presupposti per lo scioglimento. Gli effetti del recesso stragiudiziale, è importante sottolineare, sono solo liberatori: a seguito del suo esercizio il creditore non può cambiare opinione e esigere l’adempimento, e il debitore non può eseguire la prestazione e pretendere la controprestazione. Le eventuali restituzioni e il risarcimento del danno, se le parti non raggiungono un accordo, possono essere ottenute solo tramite l’esercizio di un’azione di condanna, il cui accoglimento implica l’accertamento della risoluzione. L’uso dello strumento processuale viene così adeguato alla reale funzionalità del rimedio. Il recesso si configura pertanto, come uno strumento agile, dotato di maggiore efficacia deterrente, che conferisce immediatamente al contraente fedele la libertà di tornare sul mercato e concludere un contratto sostitutivo, consentendo di limitare le conseguenze negative dell’inadempimento, ed aumentare così le probabilità che il debitore non sia chiamato a rispondere del danno conseguente alla mancata attuazione dello scambio. In definitiva, quello che interessa valutare nell’ammettere o meno la risoluzione è solo e soltanto se lo scambio prefigurato dalle parti possa essere realizzato con reciproca soddisfazione, o all’opposto l’attuazione del rapporto contrattuale sia ormai pregiudicata, e giustifichi pertanto la scelta del creditore di affrancarsi da esso. La valutazione viene condotta prospettando soluzioni che promuovono efficienza, tempestività, certezza nei traffici e nella soluzione dei conflitti.
La riflessione sull’ammissibilità nel nostro ordinamento della risoluzione prima del termine non può pertanto prescindere da un più generale dibattito sull’esigenza di governare in modo razionale la fase di (in)attuazione del rapporto, nel quale sono implicati diversi interrogativi: se ha senso tracciare una netta cesura tra ciò che succede prima della scadenza del termine e ciò che si manifesta dopo di essa, e pertanto qual è il significato attribuire al fatto dell’inadempimento, se considerato nel più ampio iter che conduce alla mancata realizzazione dello scambio; se è efficace la scelta di non promuovere strumenti funzionali a sciogliere la situazione di paralizzante incertezza che si presenta in seguito al ritardo; se la conservazione del contratto è un valore in sé o piuttosto va favorita nei limiti in cui, in base a una valutazione preventiva, risulta capace di soddisfare gli interessi sottesi allo scambio; se lo strumento risolutorio va concepito in modo rigido e unitario, o al contrario costruito in modo flessibile, così da modularsi a seconda del conflitto di interessi emerso, prevedendo pertanto presupposti applicativi distinti per il suo esercizio etc…
Lo scritto si propone di rispondere agli interrogativi posti, auspicando una cauta apertura alle istanze emerse dall’indagine comparatistica, e individuandone le linee direttive.
Ponendo più specificamente lo sguardo sulla risoluzione anticipata emerge chiaramente come in tutti i contesti, normativi e non, nei quali tale rimedio è disciplinato, non si richiede necessariamente la violazione di un obbligo, quale presupposto imprescindibile per l’avvio della valutazione prognostica sul verificarsi dei requisiti necessari all’esercizio dello scioglimento del vincolo. Si intende infatti, concedere il rimedio anche nei casi in cui non si è dinanzi a una difformità tra la condotta dovuta e quella posta in essere, ma piuttosto a una circostanza sopravvenuta idonea a influenzare in negativo il processo di attuazione del rapporto. Questo rilievo nel dibattito italiano sul tema viene perlopiù ignorato, e l’intera questione sull’ammissibilità di una tutela risolutoria anticipata si appiattisce sostanzialmente su quella diversa, che ha ad oggetto la configurabilità di un inadempimento ante diem o pendente condicione (ovviamente vanno tenute distinte le problematiche che solleva l’ipotesi in cui l’obbligo principale sia inesigibile da quelli in cui esso sia inefficace). Definire i termini del problema in questo modo ha due immediate implicazioni: da un lato, la descrizione di un quadro incompleto del fenomeno, sia alla luce degli elementi che emergono dai contesti in cui la riflessione intorno ad esso ha raggiunto un indiscusso livello di maturazione, sia considerando che il pregiudizio arrecato all’adempimento finale può essere parimenti causato da circostanze non riconducibili alla violazione di un obbligo; dall’altro, l’insufficienza dei risultati a cui si perviene, limitandosi a prospettare la violazione di un obbligo ante diem o pendente condicione (a prescindere dal fatto che alcuni lo concepiscono come espressione dello stesso obbligo fondamentale alla prestazione, altri come un obbligo accessorio e strumentale a quello principale, altre ancora come un obbligo integrativo di buona fede, autonomo rispetto a quello principale ma ed esso funzionale) per giustificare l’esperibilità anticipata del rimedio risolutorio.
In sostanza, la dottrina riconcettualizza la fattispecie di inadempimento per ammettere che possa integrarsi prima del termine, e così soddisfare il presupposto che l’art. 1453 c.c. richiede per l’esercizio del rimedio. Al contrario, la possibilità per il contraente fedele di attivare il rimedio risolutorio, in pendenza di un termine o di una condizione, dovrebbe essere vagliata evidenziando la dialettica degli interessi in gioco, e valutando in base a indici normativi effettivamente pertinenti al riguardo (diversi quindi dal testo dell’art. 1453 c.c.) se nel nostro ordinamento determinati tipi di lesione (o inattuazione) dell’interesse creditorio coinvolto rivestano rilevanza giuridica ai fini risolutori. Entro una tale prospettiva, affermare che è stato anticipatamente violato un obbligo nulla dice circa l’effettivo pregiudizio arrecato all’adempimento finale, ad esempio se esso sia sanabile o meno, e pertanto non può essere decisivo nel prospettare qual è il concreto conflitto di interessi in base al quale deve effettuarsi valutazione sull’anticipabilità della tutela risolutoria, e più in generale, sull’opportunità di predisporre strumenti che ne assicurino una efficiente composizione.
Nel lavoro intendo esporre più puntualmente le critiche sollevate, e indicare quali sono a mio parere i passaggi ermeneutici da compiere, per valutare se il nostro ordinamento sia in grado di affrontare in modo soddisfacente le istanze che emergono dall’analisi del fenomeno sotteso alla formula, laconica e ambigua, “inadempimento anticipato”. Ritengo a questo proposito più coerente con le esigenze che il tema esprime non tentare di dimostrare la rilevanza, con valenza generale, di figure quali l’inadempimento anticipato (si pensi alle implicazioni che si manifesterebbero sul piano del risarcimento del danno o dell’azione esecutiva), o il pericolo di inadempimento (che come vedremo si rivela carica di ambiguità), ma piuttosto di valutare se l’ordinamento indagato sistematicamente manifesti sensibilità per i bisogni di tutela emersi, e se la ratio del rimedio che risulta di volta in volta più opportuno a soddisfare gli interessi concretamente rilevanti giustifichi una sua applicazione analogica.

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