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Archivio digitale delle tesi discusse presso l’Università di Pisa

Tesi etd-09172013-125851


Tipo di tesi
Tesi di laurea magistrale LM5
Autore
ZIRAFA, ANNAMARIA
URN
etd-09172013-125851
Titolo
Custodia cautelare in carcere e criteri generali di scelta delle misure: profili problematici della presunzione di adeguatezza e situazioni di incompatibilitá
Dipartimento
GIURISPRUDENZA
Corso di studi
GIURISPRUDENZA
Relatori
relatore Marzaduri, Enrico
Parole chiave
  • adeguatezza
  • cautelare
  • custodia
  • incompatibilitá
  • presunzione
Data inizio appello
07/10/2013
Consultabilità
Completa
Riassunto
Per lunghissimo tempo, la privazione della libertá personale di un soggetto sospettato di aver commesso un reato, ha rappresentato nel sistema processual-penalistico, la regola. una misura ordinaria ai fini dello svolgimento del processo. Dal momento in cui si innestava il processo, nei confronti dell’indagato, vigeva una presunzione di colpevolezza, alla luce della quale, la carcerazione preventiva non rappresentava altro che un’anticipazione di quella che poi sarebbe stata la pena; nessun diritto veniva riconosciuto e garantito all’imputato e per mezzo di una privazione anticipata della sua libertá si garantiva la sua persona alla disponibilitá dei magistrati, i quali ne potevano disporre senza limiti, al fine di scoprire la veritá, fine primario del processo.
Il superamento di questa logica di stampo inquisitorio, nel nostro ordinamento, è storicamente recente: nonostante giá in epoca illuministica si manifestó un riconoscimento dell’indagato come titolare di diritti inviolabili, soltanto nel secondo dopo guerra con l’entrata in vigore della Costituzione del 1948, prima carta costituzionale rigida della storia italiana, fu sancita, all’art. 13, l’inviolabilitá della libertá personale, prevedendo, solo in casi eccezionali e in presenza di determinate garanzie, la possibilitá di adottare provvedimenti restrittivi. Nonostante la lettera della norma, in relazione ai modi e ai casi in cui tale restrizione è possibile, non ha mancato di prevedere stringenti garanzie (tramite una doppia riserva, di legge e di giurisdizione) nulla dice relativamente agli scopi che devono essere perseguiti tramite una limitazione cosí incisiva sulle libertá individuali.
È necessario ricorrere ad un’altra previsione costituzionale, il comma 2 dell’art. 27 per restringere le ipotesi in cui il legislatore puó prevedere una limitazione di tale primaria libertá e in particolar modo far riferimento al principio di non colpevolezza, il quale non consente un’anticipazione della pena, che potrá essere eseguita solo dopo una sentenza di condanna divenuta irrevocabile; per cui la carcerazione preventiva in nessun caso puó rispondere ai fini propri della pena, ma deve trovare la sua ragion d’essere in esigenze diverse, esigenze di natura processuale: puó essere, dunque, disposta una carcerazione anteriore ad un giudicato definitivo solo qualora si configurino pericoli che possono compromettere l’esito stesso del processo.
Alla luce dei principi costituzionali suddetti, il legislatore del nuovo codice di procedura penale (intervento normativo che si era posto come necessario proprio al fine di dare concretezza al contenuto della Costituzione) in materia di strumenti cautelari, ha individuato un sistema normativo volto alla tutela della persona dell’imputato, prevedendo una garanzia massima delle libertá fondamentali; un sistema basato sul principio del ”minor sacrificio necessario”, nel quale è il giudice, che esercitando il suo potere discrezionale, individua la misura piú idonea da disporre, che allo stesso tempo sia sufficiente a soddisfare le esigenze che si presentano in concreto, ma incida il meno possibile sulle libertá individuali: la custodia carceraria è vista come extrema ratio, misura a cui ricorrere quando tutte le altre risultano insufficienti.
La normativa era esclusivamente basata su una logica cautelare votata ai principi di adeguatezza e proporzionalitá, nella quale il potere discrezionale del giudice era un elemento centrale e trovava dei limiti –di carattere non assoluto- solo in poche ed eccezionali ipotesi individuate dal legislatore, che in maggioranza rispondono ad esigenze di bilanciamento tra diritti fondamentali. Ipotesi di incompatibilitá con la custodia cautelare in carcere, le quali, permeate da un particolare favore nei confronti della persona imputata, danno ancor piú rigore al criterio di stretta necessitá della custodia cautelare: soltanto in presenza di esigenze cautelari di eccezionale rilevanza potrá essere disposta la misura piú afflittiva. Si tratta di presunzioni relative di inadeguatezza della misura custodiale che lasciano sempre al giudice il compito di valutare quale sia la misura piú idonea, seppur con criteri piú stringenti.
Negli anni seguenti all’entrata in vigore del codice, il legislatore è peró intervenuto con una serie di riforme che hanno “tradito” lo spirito originario della normativa codicistica: sono stata previste una serie di presunzioni volte ad applicare, in presenza di determinate fattispecie criminose -di varia natura e socialmente rilevanti per motivi differenti- la sola custodia cautelare, senza consentire al giudice di valutare in concreto gli elementi determinanti caso per caso; una reintroduzione di quegli automatismi che ormai si era creduto di essersi lasciati per sempre alle spalle con il superamento del precedente codice di procedura penale.
Fin dalla sua prima previsione, tale normativa non ha mancato di sollevare ipotesi di incostituzionalitá, tanto da provocare numerosi ricorsi dinanzi alla Corte Costituzionale, la quale è divenuta soggetto fondamentale per la riconduzione delle previsioni speciali entro confini di legittimitá. Seppur con un percorso interpretativo articolato, non ancora concluso, e non sempre di efficace risposta, la Corte di legittimitá, sta sempre piú delineando una soluzione a tutte le problematiche emerse.


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