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Archivio digitale delle tesi discusse presso l’Università di Pisa

Tesi etd-09162014-164719


Tipo di tesi
Tesi di laurea magistrale
Autore
PISTORESI, LUCA
URN
etd-09162014-164719
Titolo
La crisi d'impresa: I piani di risanamento attestati (art. 67 L.F.)
Dipartimento
ECONOMIA E MANAGEMENT
Corso di studi
CONSULENZA PROFESSIONALE ALLE AZIENDE
Relatori
relatore Prof. Poddighe, Francesco
Parole chiave
  • risanamento
  • attestazione
  • crisi
  • professionista
  • asseverazione
  • esenzione
  • revocatoria fallimentare
  • fallimento
  • risoluzione
  • esposizione debitoria
  • equilibrio finanziario
Data inizio appello
07/10/2014
Consultabilità
Completa
Riassunto
LA CRISI D’IMPRESA: I PIANI DI RISANAMENTO ATTESTATI (ART. 67 L.F.)

La crisi internazionale che da tempo sta interessando l’economia mondiale e, in
particolare, quella dei paesi industrializzati, ha coinvolto profondamente anche il sistema
italiano pregiudicando sensibilmente le condizioni di equilibrio economico e finanziario delle
aziende.
Da qui la necessità di adottare un comportamento gestionale improntato alla flessibilità,
razionalità e correttezza, tale da mettere al riparo l’azienda da eventuali rischi derivanti da
eventi negativi che danno luogo al c.d. rischio economico.
Nonostante ciò, anche una gestione attenta e scrupolosa non lascia l’azienda indenne da
eventi inattesi e spesso imprevedibili, che possono, a seconda dell’intensità e della persistenza
con cui essi si manifestano, pregiudicare gli equilibri aziendali sino a generare situazioni di
disfunzione o, nel peggiore dei casi, di crisi.
Tale ultima circostanza difficilmente si manifesta in maniera improvvisa ed inattesa; al
contrario, nella maggior parte dei casi, essa è frutto di eventi che si manifestano in modo più o
meno latente, che si sedimentano gradualmente nell’ambito del sistema aziendale, finendo per
influenzarsi reciprocamente, e innescando in tal modo la fase del declino. Pertanto, la crisi
può essere definita come la fase post-declino, la quale è caratterizzata da una progressiva
erosione del capitale economico dell’azienda.
La crisi d’impresa è spesso il risultato del ritardo con cui si prende atto delle cause che
ne sono all’origine e tale ritardo diventa il fattore scatenante di un processo che, il più delle
volte, si rivela inarrestabile. Si intuisce, pertanto, quanto sia importante il ruolo del
management nel cogliere tempestivamente i segnali di criticità, analizzarli e fornire delle
risposte immediate in termini di strategie d’intervento.
In ambito aziendale lo stato di crisi si manifesta e si evolve con una certa gradualità,
vale a dire attraverso un progressivo processo degenerativo che trae origine da una fase di
mera disfunzione fisiologica, caratterizzata da un’insolvenza temporanea, sino alla fase della
crisi conclamata, ossia uno stato di manifesta insolvenza rappresentata da un’oggettiva
incapacità di far fronte, in tutto o in parte, alle proprie obbligazioni. Ovviamente, nel primo
caso la situazione appare decisamente meno complessa, in quanto, se affrontata con
immediatezza e con strumenti appropriati, presenta maggiori possibilità di successo.
In un’impresa in crisi, l’imprenditore è naturalmente portato a tentare la via del
risanamento, e quindi, il ripristino dell’equilibrio generale. Ciò è possibile solo dopo aver
appurato l’esistenza dei presupposti e delle condizioni di reversibilità, ossia la sussistenza dei
margini di intervento su un potenziale aziendale che si presta ad operazioni di recupero o di
riconversione.
In tale prospettiva, il legislatore italiano ha introdotto alcuni istituti volti a facilitare la
composizione negoziale dello stato di crisi, ricorrendo appunto, alla ristrutturazione
dell’esposizione debitoria nell’ottica della continuazione dell'attività aziendale e
precisamente:
- Il piano di risanamento (art. 67 comma 3, L. F., lett. d);
- L’accordo di ristrutturazione con i creditori (art. 182 bis, L. F.);
- Il concordato preventivo, ma con finalità di risanamento (art. 160 e segg. L.F.).
Ovviamente, la scelta tra i diversi istituti scaturisce dalle connotazioni della crisi, dallo
stadio in cui essa si trova, dalle risorse finanziarie a disposizione, nonché dagli obiettivi che il
soggetto aziendale si prefigge.
Il piano attestato trova la sua fonte giuridica nell’art. 67, comma 3, L.F. lett. d), sebbene
il suo contenuto non sia adeguatamente disciplinato dal legislatore.
Detto piano, necessita dell’intervento di un professionista abilitato, il cui compito è
quello di verificare l’esistenza o meno delle condizioni per una concreta idoneità del piano
medesimo a consentire il superamento della crisi aziendale.
La sua predisposizione non richiede un’attività partecipativa dei creditori, ma solo la
loro eventuale adesione, né è prevista alcuna forma di controllo da parte dell’Autorità
giudiziaria. Pertanto, il legislatore consente che il piano sia concepito e realizzato nella più
assoluta autonomia dell’imprenditore, permettendo a questi di sottrarsi al giudizio di
ammissibilità da parte del tribunale e al consenso dei creditori. Inoltre, tutti gli atti compiuti in
esecuzione del piano attestato godono dell’esenzione da azione revocatoria fallimentare in
caso di successivo fallimento dell’azienda.
In merito alla formazione del piano, si evidenzia che esso deve indicare alcuni elementi
essenziali ossia:
• Le cause che hanno generato la crisi;
• Lo stato di solvibilità dell’impresa;
• Le ipotesi poste alla base del piano, nonché le informazioni da fornire e le
metodologie utilizzate. Tali indicazioni sono fondamentali ai fini dell’attestazione
da parte del professionista;
• Le misure che si intendono adottare per raggiungere l’obiettivo del risanamento;
• La durata del piano, ossia il periodo temporale necessario affinché venga
ripristinato lo stato di equilibrio generale.
In merito alle misure di risanamento, si rileva la necessità di fissare obiettivi e strategie
concretamente realizzabili, ciò in funzione delle reali condizioni aziendali e di quelle
dell’ambiente circostante. A tal riguardo, dette misure possono riguardare, tra le altre:
- L’alienazione di beni, linee produttive o di rami aziendali;
- Politiche di consolidamento di debiti;
- Reperimento di nuovi finanziamenti;
- Riconversione industriale;
- Conversione di debiti in capitale proprio;
- Rilascio di adeguate garanzie a fronte di debiti pregressi.
Inoltre, il piano è un atto negoziale del debitore, per cui, non implica necessariamente
l’adesione dei creditori. Tuttavia, è stato sufficientemente evidenziato che, sebbene dal punto
di vista formale il piano di risanamento attestato previsto dall’art. 67 comma 3 lett. d) L.F.
consista principalmente in un’iniziativa che può essere unilateralmente dell’imprenditore, in
concreto, affinché lo stesso trovi esecuzione, sarà comunque necessario il consenso di una
parte significativa del ceto creditorio. Infatti, laddove il piano di risanamento attestato non
prevedesse il raggiungimento di uno o più accordi con i creditori, finalizzati a ridurre il
passivo, attraverso la ristrutturazione dei debiti, lo stesso dovrebbe prevedere il pagamento
integrale di quest’ultimi, nei tempi stabiliti e con i mezzi normali.
L’art. 67 comma 3 lett. d) L.F. stabilisce che il professionista incaricato di redigere le
attestazioni prescritte dalla legge fallimentare debba essere:
- Designato dal debitore;
- Iscritto nel registro dei revisori legali;
- In possesso dei requisiti previsti di cui all’art. 28 lett. a) e lett. b) L.F., vale a dire
un professionista iscritto all’albo dei dottori commercialisti e degli esperti
contabili ovvero degli avvocati ovvero un’associazione professionale o una
società di professionisti i cui soci siano iscritti agli albi summenzionati;
- Indipendente.
Con riferimento all’indipendenza del professionista attestatore, ai sensi della nuova
formulazione dell’art. 67, comma terzo, lett. d), L.F., che risulta essere norma di riferimento
per la verifica dei requisiti di indipendenza in capo al professionista nelle varie vicende di
composizione negoziale della crisi, tale soggetto è indipendente quando:
a) Non risulti essere legato all’impresa committente né a coloro che hanno interesse
all’operazione di risanamento da rapporti di tipo professionale o personale tali da
comprometterne l’indipendenza di giudizio;
e in ogni caso quando:
b) Sia in possesso dei requisiti previsti dall’art. 2399 c.c.;
c) Non abbia prestato, neanche per il tramite di soggetti con il quale è unito in
associazione professionale, negli ultimi cinque anni, attività di lavoro dipendente
o autonomo in favore del debitore, ovvero, partecipato agli organi di
amministrazione e controllo.
Al professionista spetta il compito di valutare il grado di realizzabilità del piano, ossia le
condizioni poste alla base della sua fattibilità, e quindi, le informazioni in esso contenute.
Un piano può considerarsi attendibile e realizzabile se è formulato sulla base di ipotesi
realistiche ed adeguatamente comprovabili, nonché se si dimostra che gli obiettivi prefissati
siano ragionevolmente perseguibili.
Da qui la necessità di appurare che il piano sia:
- Compatibile con le condizioni di mercato e ambientali;
- Comparabile con i dati storici e quelli previsionali, l’attestatore deve dimostrare
l’attendibilità di quest’ultimi;
- Sostenibile, nel senso che occorre dimostrare come l’azienda sia dotata (in termini
qualitativi e quantitativi) delle risorse compatibili con le ipotesi poste alla base del
piano, nonché con gli obiettivi che esso si prefigge;
- Coerente, tra le diverse parti ed aspetti che lo compongono.
Uno degli elementi che incide sulla realizzazione di un piano di ristrutturazione è il
fattore “tempo”, e a tal proposito, è utile sottolineare che, esiste un rapporto di proporzionalità
inversa tra l’attendibilità delle ipotesi poste alla base del piano e l’arco temporale considerato.
In altre parole, tendenzialmente, più lungo è il periodo di attuazione del piano, minore risulta
il grado di attendibilità delle stime operate dal soggetto aziendale. Pertanto, la durata del
piano deve essere il più possibile contenuta (3/5 anni), in quanto, se così non fosse, il rischio
di mutamenti che potrebbero renderne vani i presupposti sarebbe elevato.
L’analisi che il professionista è chiamato a compiere presuppone un’approfondita
conoscenza degli aspetti strutturali e funzionali dell’impresa nella sua globalità. Dunque, è
necessario che il professionista razionalizzi la propria attività, delimitando in primo luogo il
campo d’azione, focalizzando, quindi, l’attenzione su quei dati quantitativi che egli ritiene
maggiormente significativi, sugli elementi che possono pregiudicare l’attestazione del piano,
sull’insussistenza o meno di fatti e/o situazioni che possono compromettere la correttezza e
l’affidabilità delle rappresentazioni contabili relativi ai fatti di gestione.
Tuttavia, nelle imprese di una certa dimensione il compito dell’attestatore potrebbe
essere facilitato dalla circostanza che i dati storici siano stati oggetto di verifica e di
attestazione da parte di altri revisori (interni o esterni), pertanto, al professionista spetterebbe
solo il compito di verificare le procedure seguite, sempreché il giudizio espresso da altri
soggetti non evidenzi delle riserve.
Il piano deve contenere l’esplicitazione delle ipotesi poste alla base dell’analisi, delle
fonti informative utilizzate nonché tutti i riferimenti metodologici che consentano
all’attestatore e ai terzi di verificare la correttezza e la congruità dei calcoli posti in essere per
l’elaborazione quantitativa del piano.
Inoltre, è necessario anche che il piano comprenda un’analisi di sensitività che permetta
di valutare la solidità dei risultati economico-finanziari, e quindi, dimostri quanto i risultati
indicati siano sensibili alle variazioni dei parametri utilizzati. Ciò agevola il lavoro
dell’attestatore nel formulare un giudizio che non sia eccessivamente condizionato alla
variazione di tali parametri.
Al fine di sottrarre poi, all’ambito dell’azione revocatoria una serie di atti posti in essere
sulla base della loro afferenza all’esecuzione di un piano, è utile che quest’ultimo preveda con
un elevato grado di dettaglio gli atti da compiere e ai quali si intenda dare stabilità.
In accordo a quanto stabilito dal Protocollo 2006 del CNDC, la relazione dell’attestatore
dovrà essere articolata nel seguente modo:
a) Una parte introduttiva, in cui, tra gli aspetti, devono essere specificate le qualità
professionali dell’attestatore, nonché l’insussistenza di cause di incompatibilità di
cui all’art. 28 L.F.;
b) Una parte centrale, contenente l’illustrazione del piano, gli obiettivi prefissati e la
strategia che si intende adottare. In essa devono essere anche riportati i contenuti
legati all’attività di verifica dei dati contabili, nonché le connotazioni e le capacità
della struttura tecnico-produttiva ed organizzativa dell’azienda;
c) Una parte conclusiva, in cui viene esposto il giudizio sulla veridicità dei dati
aziendali e sulla fattibilità del piano.
L’attestazione è il risultato della verifica della ragionevolezza del piano e della sua
idoneità a condurre al risanamento dell’impresa. Essa consiste quindi in un giudizio di
verifica informata e diligente sui presupposti del piano, sulla logicità e ragionevolezza delle
analisi e previsioni, e sulle metodologie usate.
L’attestatore perverrà ad un simile giudizio dopo aver espletato tutte le attività ritenute
nella prassi necessarie per la verifica dei dati previsionali, applicando per quanto possibile
qualificati standard professionali. In particolare l’attestatore dovrà, tra l’altro:
a) Accertare che i dati previsionali siano stati redatti sulla base dei principi contabili
omogenei rispetto ai principi utilizzati per la preparazione dei bilanci storici;
b) Confrontare e valutare la coerenza delle ipotesi poste a fondamento del piano con
il quadro macroeconomico e di settore;
c) Accertare la coerenza dei dati previsionali rispetto alle ipotesi, eseguendo sia
procedure di verifica dell’accuratezza dei dati elaborati, sia analisi in merito alla
coerenza interna di tali dati;
d) Analizzare con particolare attenzione le variabili del piano che potrebbero avere
un elevato tasso di volatilità e modificare quindi significativamente i risultati
attesi.
L’attestazione si concreta, essenzialmente, in un giudizio motivato e compiuto “allo
stato degli atti”, che ha soltanto due possibili esiti:
‣ Attestazione, se vi è idoneità ad assicurare il risanamento dell’impresa e dunque il
ripristino della solvibilità, fattibilità del piano e veridicità dei dati aziendali;
‣ Non attestazione, se manca anche uno solo dei due presupposti.
Il piano di risanamento ex art. 67 comma 3 lett. d), può prevedere la ristrutturazione
della posizione debitoria di un’impresa che, nonostante lo stato di difficoltà finanziaria, operi
nell’ottica della continuità aziendale. Secondo il Principio Contabile n. 6, il documento
contenente le operazioni di ristrutturazione deve porre l’accento sui seguenti aspetti:
a) La data della ristrutturazione, ossia il momento a partire dal quale vengono
rilevati contabilmente gli effetti economico-finanziari dell’operazione di
ristrutturazione, con i conseguenti effetti sul bilancio d’esercizio dell’azienda
debitrice;
b) Le modalità di rilevazione degli effetti contabili, che, a loro volta, risentono delle
differenti modalità attraverso cui si procede alla ristrutturazione, ossia la modifica
dei termini originari del debito, la cessione di attività ed, ancora, la conversione
del debito in capitale;
c) La rappresentazione in bilancio, per la quale occorre considerare:
• L’eventuale utilizzo di apposite voci (o sottovoci) negli schemi di
stato patrimoniale e di conto economico, nonché di peculiari
informazioni da fornire in un’apposita sezione della nota integrativa;
• L’indicazione, nello stato patrimoniale, di eventuali riclassificazioni
dei valori relativi alle operazioni interessate;
• L’evidenziazione, nel conto economico, degli effetti economici
derivanti dalla riduzione dei debiti;
d) Il trattamento contabile dei costi sostenuti dall’azienda (ad es. costi di consulenza,
oneri per servizi finanziari ecc.).
Concretamente, l’obiettivo del risanamento finanziario attraverso la ristrutturazione del
debito può essere raggiunto attraverso le seguenti modalità:
a) Modifica dei termini originari del debito, ovvero il mutamento delle condizioni
originariamente concordate dalle parti. Esse possono riguardare, ad esempio: la
modifica del tasso di interesse pattuito, la data di scadenza l’ammontare del
capitale da rimborsare, ovvero il concorso di tali condizioni;
b) Il trasferimento al creditore di una o più attività patrimoniali ad estinzione parziale
del debito;
c) L’aumento di capitale con relativa assegnazione delle azioni (o quote) al creditore,
ad estinzione parziale del debito.
Con riguardo alla prima ipotesi (modifica delle clausole originarie), si può giungere alla
pattuizione dei seguenti singoli accordi o ad una combinazione di essi:
a) Riduzione del valore del capitale da rimborsare;
b) Riduzione delle somme maturate a titolo di interessi e non ancora corrisposte;
c) Riduzione dell’ammontare degli interessi che matureranno dal momento in cui
l’accordo diviene efficace sino alla data di estinzione del debito;
d) Rideterminazione degli importi e/o proroga delle scadenze inizialmente pattuite,
relative ai pagamenti che il debitore avrebbe dovuto effettuare, sia in termini di
capitale, sia in termini di interessi. A tal fine, devono essere considerate solo le
modifiche che non producono interessi, ovvero anche quelle fruttifere, ma tali da
determinare una riduzione del valore del debito.
Con riferimento alla ristrutturazione del debito, l’azienda debitrice ha l’onere di fornire
la più ampia informazione, onde consentire ai destinatari del bilancio di comprendere
chiaramente sia la reale situazione di difficoltà finanziaria dell’azienda, sia i benefici
economici e/o finanziari derivanti dall’operazione di ristrutturazione.
A tal riguardo, è necessario:
- Descrivere la situazione di difficoltà finanziaria e/o economica che ha
caratterizzato la gestione dell’impresa nel corso dell’esercizio, nonché le cause
generatrici;
- Fornire una chiara ed analitica descrizione circa l’esposizione debitoria
dell’impresa;
- Descrivere le principali connotazione dell’operazione di ristrutturazione del
debito;
- Evidenziare gli effetti di natura economica, finanziaria e patrimoniale che detta
operazione genererà sugli esercizi futuri interessati.
Nell’esercizio in cui l’accordo tra le parti diviene efficace, in nota integrativa occorre
riportare gli aspetti principali dell’operazione, tra i quali, meritano particolare menzione:
- La tipologia di ristrutturazione del debito;
- La data della ristrutturazione;
- Le fasi della attuazione e le relative modalità;
- La tipologia e l’entità dei debiti oggetto della ristrutturazione;
- L’indicazione di eventuali condizioni risolutive o sospensive dell’accordo;
- L’esistenza di eventuali pagamenti potenziali (cd. success fee) che il debitore si
impegna ad effettuare nei confronti del creditore o dei professionisti nel momento
in cui verranno raggiunti determinati risultati o al verificarsi di determinate
condizioni;
- L’esistenza di pattuizioni tra le parti volte alla tutela di eventuali obblighi
derivanti dalla gestione dei finanziamenti accordati, al cui rispetto è legato il
successo dell’operazione;
- I principali aspetti relativi alla concessione di nuovi finanziamenti da parte del
creditore connessa alla ristrutturazione del debito;
- Le caratteristiche principali di eventuali strumenti derivati connessi al debito
ristrutturato (quali ad esempio, tipologia, valore nozionale, fair value, scadenza,
data e modalità di pagamento dei flussi finanziari) e le modalità di ristrutturazione
del derivato con l’indicazione degli effetti in bilancio.
Spesso accade che l’impresa, al fine di ristabilire l’equilibrio finanziario, abbia necessità
di stipulare con i suoi creditori (nello specifico gli istituti di credito) accordi contenenti
termini e condizioni della manovra finanziaria, atti a sostenere il percorso di turnaround.
Queste trattative possono avere ad oggetto la proposizione, da parte del debitore verso
gli istituti di credito, di richieste di moratoria, volte a “congelare” per un certo periodo alcuni
pagamenti (quote di rimborso capitale/interessi) sulla scorta di contratti originari tra l’impresa
e le banche.
Altre volte, invece, gli accordi riguardano la conversione di passività finanziarie a breve
termine (tipicamente lo scoperto di conto corrente derivante da affidamenti per cassa e dalle
anticipazione sui contratti o sulle fatture rimaste insolute), in passività a medio-lungo termine.
Infine, è possibile che il debitore stipuli con gli istituti di credito richieste per
l’erogazione di nuova finanza, sottoforma di: mutui, aperture di credito in conto corrente,
convenzioni di factoring, o al perfezionamento di operazioni di lease back. Tutto ciò può
essere di grande aiuto per l’imprenditore che dispone in questo modo delle risorse necessarie
a completare il percorso di risanamento e a rilanciare la propria impresa.
Nell’eventualità che il piano di risanamento si riveli eccessivamente conservativo e
l’imprenditore registri, in termini economici e finanziari, risultati migliori di quelli
pronosticati, con afflusso di liquidità in quantità più elevate o comunque in tempi più ristretti
di quelli attesi, si verifica un’ipotesi di overperformance del piano.
In tal caso sarà possibile prevedere che l’eccesso di cassa realizzato, venga utilizzato
per accelerare i pagamenti in favore degli istituti di credito, o che al termine dell’operazione
di risanamento venga riconosciuta, a quest’ultimi, una remunerazione aggiuntiva, detta
commissione di ristrutturazione.
È importante che nelle previsioni negoziali, siano inseriti meccanismi di monitoraggio
sull’esecuzione del piano, in quanto la verifica tra il rispetto del programma imprenditoriale
oggetto di attestazione, e il progressivo superamento della situazione di squilibrio, rappresenta
il nesso tra il piano di risanamento e i relativi atti esecutivi che vale a esentare i secondi dalla
revocatoria.
A tale stregua, i creditori aderenti all’accordo, sono senz’altro incentivati a vigilare
sull’operato dell’imprenditore. Per consentire ciò si ricorre spesso alla stipulazione di clausole
che prevedono flussi informativi sull’andamento della gestione e sulla situazione patrimoniale
e finanziaria, nonché l’eventuale coinvolgimento di uno o più “rappresentanti” del ceto
creditorio nell’organo di gestione o in quello di controllo.
Di frequente, in sede negoziale, si procede, all’enucleazione di specifiche soglie
patrimoniali, economiche e finanziarie, il cui superamento comporta il serio rischio
d’insuccesso del turnaround. Questi parametri sono poi resi oggetto di specifiche convenants,
la cui violazione, quand’anche non si accompagni all’inadempimento in materia di rimborso,
costituisce, di per sé sola, un importante segnale di allarme circa la persistente idoneità del
piano a raggiungere i suoi scopi.
In una simile ipotesi è opportuno procedere ad un riesame dell’effettiva capacità
dell’impresa di riconquistare uno stato di equilibrio, apportando, se del caso, gli opportuni
correttivi alle misure individuate in origine nel piano.
Indipendentemente dall’ampiezza di ogni intervento correttivo, si rende indispensabile
il contributo dell’esperto, atteso che gli effetti legali del piano continuano a prodursi
esclusivamente in presenza dell’attestazione rilasciata da questi.
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