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Archivio digitale delle tesi discusse presso l’Università di Pisa

Tesi etd-09152019-153805


Tipo di tesi
Tesi di laurea magistrale LM5
Autore
FOSSATI, MATILDE
URN
etd-09152019-153805
Titolo
LA GESTIONE DI AFFARI ALTRUI TRA FUNZIONE SOLIDARISTICA E INTERESSI EGOISTICI
Dipartimento
GIURISPRUDENZA
Corso di studi
GIURISPRUDENZA
Relatori
relatore Prof.ssa Pellecchia, Enza
Parole chiave
  • affari comuni
  • funzione solidaristica
  • gestione di affari altrui
  • interessi egoistici
  • libertà di autodeterminazione
  • negotiorum gestioi
Data inizio appello
07/10/2019
Consultabilità
Completa
Riassunto
Il presente lavoro si occupa specificamente della gestione di affari altrui, classificata dal legislatore del 1942 tra le fonti produttive di obbligazioni diverse dal contratto e dal fatto illecito e quindi rientrante nella categoria residuale di “ogni altro atto o fatto idoneo a produrre obbligazioni in conformità dell’ordinamento giuridico” (art. 1173 c.c.).
Questo istituto deroga senza dubbio al principio, che attribuisce al soggetto titolare la competenza esclusiva a regolare i propri interessi, essendo fondato sulla ‘spontaneità’ dell’intervento del gestore; questa deroga tuttavia trova una giustificazione giuridicamente rilevante, come avremo modo di constatare, nel fondamento solidaristico, che tradizionalmente informa di sé l’istituto: alla base della gestione di affari altrui vi è infatti un’esigenza di ordine sociale, diretta sia ad evitare che l’impossibilità di tutelare i propri interessi, in cui venga eventualmente a trovarsi un soggetto, causi un arresto della sua attività giuridica, sia a salvaguardare il più ampio interesse della collettività ad evitare l’inutile dispersione della ricchezza.
Al fine di impostare correttamente la ricerca, occorre premettere che questa esigenza di solidarietà sociale non è avvertita allo stesso modo in ogni momento storico e ciò ha comportato una differente espansione del nostro istituto nel corso delle varie epoche.
L’istituto trova la sua origine, come vedremo, nel diritto romano, ove, proprio per le ragioni che abbiamo anticipato, si inizia a ritenere che l’ingerenza negli affari altrui non può essere sempre considerata alla stregua di un atto illecito, specie quando l’intervento del gestore sia giustificato dall’urgenza e dall’impossibilità del proprietario di provvedere personalmente alla cura dei propri affari. Nel periodo romano preclassico e classico, peraltro, la determinazione dei presupposti della gestione è il prodotto della riflessione dei giuristi, che vi provvedono con rigore tecnico al fine di precisare casisticamente l’ambito di applicazione delle actiones negotiorum gestorum. Il diritto giustinianeo introduce, come avremo modo di constatare, significativi profili di novità: si viene affermando, probabilmente per ragioni di opportunità pratica, una figura di negotiorum gestio strutturalmente indeterminata, dai requisiti interpretati in senso estensivo, che gradualmente confluisce nel più vasto ambito dell’arricchimento ingiustificato.
La configurazione giustinianea della gestione di affari, inquadrata nella categoria delle “obligationes quae quasi ex contractu nasci videntur” (I. 3,27 pr.) e incentrata sul fatto ‘oggettivo’ della gestione, piuttosto che sul requisito ‘soggettivo’ dell’animus aliena negotia gerendi, viene recepita nel diritto intermedio e consente all’istituto di rivestire un ruolo importante fino alla codificazione napoleonica, quando l’ideologia individualistica all’epoca imperante – che porta il legislatore a costruire un sistema normativo ispirato alla tutela della sovranità del proprietario nella cura dei propri affari – ne determina il declino.
Verso la fine del XIX secolo il nostro istituto tuttavia riacquista rilevanza, oltre che “per ragioni filosofiche, legate alla morale repubblicana della solidarietà, per ragioni pratiche, connesse ad una pretesa elasticità della figura, la quale per sua natura avrebbe favorito soluzioni nuove basate sull’equità” : la nuova fortuna della gestione di affari è peraltro strettamente dipendente dalla mancanza dell’espressa previsione legislativa di un rimedio generale contro l’ingiustificato arricchimento; così se di vitalità si vuol parlare, si tratta di una “vitalità fittizia” , in quanto l’istituto svolge, in questo momento storico, una funzione diversa da quella per cui era nato, in quanto risponde alla necessità di colmare una lacuna del sistema.
L’introduzione dell’azione di arricchimento senza causa nel codice civile vigente, se da un lato ha consentito alla negotiorum gestio di recuperare la propria originaria dimensione soggettiva, dall’altro ha ridotto sensibilmente l’ambito di applicazione del nostro istituto, confinandolo in zona d’ombra dalla quale non sembra più capace di uscire. Fatta infatti eccezione per la parentesi relativa al periodo post-bellico, in cui l’istituto registra un particolare sviluppo, la gestione di affari altrui sembra attualmente aver perso vitalità, dato questo che peraltro è stato ampiamente rilevato da una parte della dottrina, la quale non ha esitato a parlare di “crisi e decadenza della negotiorum gestio” . Ma, se così stanno le cose, dovremmo forse concludere che la gestione di affari altrui è destinata gradualmente a scomparire?
Preso atto dei termini della questione, la presente ricerca si propone l’obiettivo di verificare se il presupposto declino della gestione di affari altrui trovi riscontro nella dottrina e nella giurisprudenza più recente e al contempo di indagare quale sia oggi il concreto spazio applicativo del nostro istituto, anche alla luce del fatto che la rapidità e l’efficienza dei mezzi di trasporto e di comunicazione offerti dalla tecnologia moderna riduce quasi a zero i casi nei quali qualcuno, ancorché assente, non sia in grado di curare a distanza i propri affari.
Per conferire peraltro al lavoro maggiore completezza, innanzitutto approfondiremo nel cap. I la configurazione tradizionale della negotiorum gestio incentrata sulla sua funzione solidaristica; indagata quindi l’origine storica dell’istituto nell’esperienza giuridica romana, accenneremo alla qualificazione dell’istituto come “quasi-contratto” nel codice napoleonico e nel codice civile del 1865; nella parte finale del capitolo, si affronterà poi la delicata questione della natura giuridica dell’intervento gestorio in termini di fatto, atto o negozio giuridico.
Il cap. II avrà ad oggetto l’analisi della disciplina della gestione di affari nel codice civile vigente (artt. 2028-2032 c.c.), con particolare riguardo agli elementi costitutivi dell’istituto, al suo ambito di operatività, alla capacità di contrattare richiesta al soggetto agente, alle obbligazioni che derivano dalla fattispecie gestoria in capo al gestore e al dominus negotii, nonché all’istituto della ratifica.
La parte restante della trattazione (capp. III-V) si occuperà specificamente di alcuni requisiti dell’istituto, al fine di verificare la portata e l’attendibilità dei più recenti orientamenti dottrinali e giurisprudenziali diretti, come vedremo, ad attualizzare e rivitalizzare l’istituto, individuandone nuovi ambiti applicativi.
Il cap. III sarà dedicato, in particolare, all’animus aliena negotia gerendi, che giustifica il tradizionale fondamento solidaristico dell’intervento gestorio, nonché ai tentativi ricostruttivi diretti al suo superamento e alle relative ricadute pratiche (concorrenza di interessi e gestione ‘animo depraedandi’).
Nel cap. IV, relativo all’altruità dell’affare, analizzeremo la delicata questione dell’estensione della fattispecie gestoria all’ipotesi in cui il gestore agisca per un ‘affare comune’, dedicando particolare attenzione ad una recente sentenza delle Sezioni Unite della Cassazione (Cass. Sez. Un., 4 luglio 2012, n. 11135) in materia di locazione della cosa comune da parte del singolo comproprietario.
Il cap. V tratterà infine della c.d. absentia domini, che vedremo qualificata tradizionalmente come impossibilità del dominus di provvedere personalmente ai propri affari e in tempi più recenti come mera mancanza di opposizione dell’interessato all’intervento gestorio.
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