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Archivio digitale delle tesi discusse presso l’Università di Pisa

Tesi etd-09142023-004247


Tipo di tesi
Tesi di laurea magistrale
Autore
MERCURIO, GIOVANNI
URN
etd-09142023-004247
Titolo
Ripetizione senza fine. La questione della morte in Heidegger, Freud e Deleuze
Dipartimento
CIVILTA' E FORME DEL SAPERE
Corso di studi
FILOSOFIA E FORME DEL SAPERE
Relatori
relatore Prof. Manca, Danilo
correlatore Prof. Godani, Paolo
Parole chiave
  • avvenire
  • being-toward-death
  • body without organs
  • corpo senza organi
  • death
  • Deleuze
  • Derrida
  • desessualizzazione
  • desexualization
  • difference
  • differenza
  • essere-per-la-morte
  • Freud
  • future
  • Heidegger
  • morte
  • narcisismo
  • narcissism
  • repetition
  • ripetizione
  • tempo
  • time
Data inizio appello
28/09/2023
Consultabilità
Non consultabile
Data di rilascio
28/09/2063
Riassunto
Il presente scritto si propone di esaminare il concetto di morte e alcune sue possibili implicazioni filosofiche; in particolare, la questione viene qui presentata a partire da un punto di vista, un problema, specifico. Infatti, ci è sembrato che la morte rappresentasse contemporaneamente la grande ‘scoperta’ della filosofia novecentesca, almeno nella misura in cui diviene centrale nella riflessione di alcuni suoi protagonisti, e la sua grande paranoia, il suo fantasma, il suo Altro inquietante. Il testo vuole allora esaminare in che modalità questo secondo aspetto emerga, e fornire un’impostazione capace di eliminare questa duplicità ambigua, questo ritorno fantasmatico. In primo luogo, prendiamo in considerazione l’opera Heideggeriana, in quanto in essa emerge la questione di una differenza irriducibile all’identità, delle differenze libere e ferine. Tuttavia, il gesto che abbiamo cercato di mettere in questione è quello con cui Heidegger riconduce sistematicamente tale differenza ad un orizzonte originario che la limita, innanzitutto in quanto riduce la ripetizione a una forma di reiterazione dell’origine, del modello. In Essere e Tempo, il Dasein deve conquistare la propria autenticità perduta, e può farlo solo nella comprensione di se stesso nel proprio essere-per-la-morte; la morte, come (im)possibilità della possibilità restituisce l’esserci al suo essere autentico. Ma l’autenticità qui è ottenuta solo come rimando all’origine perduta: la differenza e la ripetizione sono schiacciate su un modello originario, che, oltretutto, non differenzia nulla, producendo tanto la possibilità di un esserci autentico quanto il proprio oblio. In un testo più tardo dedicato all’opera di Trakl (Il linguaggio nella Poesia), Heidegger riprende la questione alla luce di una nuova concettualizzazione del Geist, concetto di cui modifica il senso rispetto ad Essere e Tempo, in cui era evitato in quanto concetto metafisico. La risemantizzazione dello spirito e una nuova impostazione del tema della morte, pensato ora come notte che fa passare all’alba del non ancora nato, ossia come ripetizione della differenza, consente ad Heidegger di riprendere il discorso inconcluso del testo del ’27 e di trovare un’origine altra, e più profonda, ‘più originaria’, che si svincola da quella greca, la quale d’altronde sarebbe fondata su questa stessa origine più profonda, che Heidegger non manca di rintracciare negli etimi alto-tedeschi. Così, egli non ricade più nell’ambiguità dell’origine obliata della questione dell’essere così come si presenta all’alba della tradizione metafisica; ma la soluzione successiva ci sembra semplicemente un approfondimento (in un’iper-origine) dello stallo iniziale, in quanto il Geist, pensato sotto la figura della fiamma, non fa che ricondurre la morte ad un ritorno all’origine, un passaggio ad un passato altro, sì, ma pur sempre passato. Come nel caso di Essere e Tempo, la morte e la differenza tornavano sotto la figura del doppio, del fantasma (ora quasi esplicitato nel tema dello spirito). Abbiamo ravvisato, in questa costante necessità di riferirsi ad un piano originario che desse consistenza alla differenza, che le fornisse un’unità, quella che abbiamo chiamato una volontà di padronanza. Il termine deriva dal tema messo a fuoco da Derrida nella sua rilettura di Al di là del principio di piacere. Sotto altra forma, abbiamo ritrovato nell’elaborazione freudiana di un istinto di morte la stessa volontà di padronanza che, di fronte alla questione della morte, si ritraeva su un modello capace di inibire il carattere irriducibile della differenza e del desiderio. Ma, come nel caso di Heidegger, l’irriducibilità della morte continua ad assillare il testo, che finisce per essere un gioco di indecisioni, un fort/da, rispetto al tema dell’istinto di morte e della sua relazione con il piacere. Ciò ci è sembrato dovuto innanzitutto alla riconduzione dell’istinto di morte ad una tendenza al ritorno verso la materia inanimata, il che implicava un’opposizione di diritto fra Eros, fra la vita, e Thanatos. Così la morte, lungi dal produrre la differenza nel desiderio, viene di fatto espulsa da esso, e la ripetizione viene ridotta a ripetizione di un modello materiale. Per far sì che la morte non producesse più i fantasmi del desiderio, ci sembra che l’impostazione più adatta sia quella deleuziana-guattariana. Innanzitutto, abbiamo preso in analisi le sintesi dell’inconscio presentate in Differenza e Ripetizione, per sottolinearne il carattere differenziale e privo di modello. Deleuze mostra come ad ogni livello vi siano sintesi attive senza le quali non si darebbero i fenomeni che vengono detti ‘dell’Io’; così, non vi è un soggetto originario e intero, ma continuità fra attività e passività, e dunque solo un soggetto frammentato e un cogito fallito. Inoltre, le sintesi passive spiegano anche la conversione di Eros in Thanatos, senza dover passare per un’energia neutra e una differenza di natura fra i due. Non c’è dualismo del desiderio; esso, ripiegandosi su se stesso, desessualizzandosi, divenendo istinto di morte, si autoproduce. L’Io, divenuto narcisistico, agisce su se stesso, si sente, in tal modo, agito dal suo altro che esso stesso è, incrinandosi (Deleuze parla, qui, dell’Io narcisistico come forma vuota del tempo, ossia come forma del determinabile, pura differenza che ridistribuisce le determinazioni secondo un prima e un dopo: produzione dell’avvenire nel tempo). Così, la frantumazione dell’Io e dell’ordine lineare del tempo fanno la differenza, liberandosi delle proprie condizioni e producendo la novità. In questo modo, l’istinto di morte non desidera la morte, ma è il desiderio che desidera in quanto morte, in quanto informale o pura differenza. L’ultima parte del testo vuole approfondire questa concezione della morte seguendo alcuni passi de L’anti-Edipo dedicati a Blanchot, che riprendono Differenza e Ripetizione stesso. Qui si dice che il corpo senza organi è il modello della morte. Non abbiamo potuto approfondire quanto avremmo voluto tale concetto, e ci siamo dovuti attenere a quanto più importasse per il nostro tema. Basti dire che esso rappresenta lo stato informale delle differenze prima della loro sussunzione in un’identità, lo stato del corpo (individuale, sociale, della natura e della storia) prima della sua organizzazione e contro la sua organizzazione, ma anche l’improduttivo nella produzione, l’arresto della produttività; infine, la potenza del tempo intensivo che non è stato ancora svolto in una serie o in una sequenza. Tale concetto consente di elaborare sistematicamente la tesi blanchottiana di una doppia morte: vi è sempre un aspetto impersonale della morte, per cui si muore e non si finisce mai di morire; e uno personale, in cui Io finalmente muoio, e si cessa, così, di morire. Anti-Edipo ritiene che tale doppia morte indichi il ciclo della macchina desiderante: si passa continuamente da un modello della morte, il corpo senza organi come zero delle intensità, da cui esse vengono continuano a emergere, ad un’esperienza della morte, in cui il soggetto impersonale del desiderio sperimenta continuamente la morte inviluppata in tali intensità, finché non può far altro che tornare al modello, morendo questa volta come Io, ossia come soggetto fissato. Nella nozione di corpo senza organi ci è sembrato, dunque, di trovare una possibilità per un pensiero della differenza e della ripetizione che possano fare i conti con la morte senza doverla rimettere ad istanze originarie, e dunque esteriori, ossia senza doverla espellere a forza, per vederla poi ricomparire in forma fantasmatica.
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