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Archivio digitale delle tesi discusse presso l’Università di Pisa

Tesi etd-09122022-133944


Tipo di tesi
Tesi di laurea magistrale
Autore
PAOLI, FEDERICO
URN
etd-09122022-133944
Titolo
Tecnica e imitazione: una lettura del Politico di Platone
Dipartimento
CIVILTA' E FORME DEL SAPERE
Corso di studi
FILOSOFIA E FORME DEL SAPERE
Relatori
relatore Prof. Centrone, Bruno
correlatore Prof. Pelosi, Francesco
Parole chiave
  • Platone
  • pensiero politico
  • tecnica
  • imitazione
Data inizio appello
26/09/2022
Consultabilità
Non consultabile
Data di rilascio
26/09/2092
Riassunto
La tesi presenta una disamina di alcuni punti chiave del Politico di Platone. In primo luogo, l'analisi si concentra sui primi passi del dialogo e ne sottolinea le tematiche principali. Il dialogo viene inaugurato dalla ricerca da parte dello Straniero di Elea e di Socrate il Giovane della definizione della figura del politico. Dato che il politico si presenta virtualmente come il portatore di un sapere, e quindi di una tecnica, rimane da capire di che tipo di sapere si tratti rispetto alle molte altre tecniche "rivali" che possono ambire all'egemonia nella gestione dello stato. Insieme a questa tematica principale, il lavoro si concentra sullo statuto del concetto di "modello" come strumento euristico nel processo teorico e di apprendimento e il racconto del mito di Crono. Il risultato di queste prime considerazioni porta già a ipotizzare un collegamento tra tre argomenti fondamentali nel pensiero platonico: la questione epistemologica dell'opinione vera, la condizione sensibile come imitazione di una dimensione divina e lo statuto della tecnica come elemento apparentemente imprescindibile non solo per l'agire politico, ma più in generale per l'agire umano. Nel secondo capitolo si è quindi ripresa l'analisi proprio a partire dalla questione della tecnica insieme al primo interrogativo riguardante la "rivalità" tra le varie tecniche. In questo senso, dal confronto dei diversi "modelli" (la pastorizia, la tessitura etc.) emerge il profilo della tecnica politica come sapere in grado di prendersi cura dei sottoposti e di dirigere le altre tecniche perseguendo il bene delle altre parti della collettività. A questo punto dell'indagine rimane aperto un problema: in cosa consiste questo sapere? E in virtù di cosa può esso reclamare la massima autorità sulle altre tecniche? Per rispondere completamente a queste domande è necessario soffermarsi sulla breve trattazione della "giusta misura" che divide il dialogo. Due tecniche si occupano della misurazione. La prima "metretica" assolve però solo a compiti di misurazione relativistica, mentre la seconda "metretica", prendendo come criterio la "giusta misura", sembra confermarsi come lo strumento più adatto per operare giudizi. E questo ultimo aspetto risulta cruciale, poiché la tecnica politica per governare deve essere in grado di giudicare rettamente. In questa cornice emerge il concetto di "momento opportuno" come "giusta misura" nell'agire politico e legato essenzialmente alla dimensione cronologica. La tecnica politica allora fa uso della giusta misura poiché grazie a essa riesce a cogliere il momento opportuno in cui agire, a riconoscere ciò che è doveroso e adeguato o meno. Grazie a questo sapere essa può reclamare la sua autorità. A questo punto si è però aperta un'altra questione. In virtù del suo carattere epistemologico, la tecnica politica sembra infatti condividere con la dialettica la conoscenza della giusta misura. Nel dialogo si presentano infatti numerosi passi dove lo Straniero di Elea fa riferimento a una misura del discorso, all'adeguatezza di un argomento nella discussione etc. Se ne deduce che deve esistere un nesso tra tecnica politica e dialettica. Il terzo capitolo riprende quindi l'analisi della giusta misura, ma questa volta alla luce di un enigmatico passo del dialogo. Lo Straniero di Elea fa infatti riferimento a una futura trattazione dell'esattezza in sé, della quale però non risulta traccia né nel Politico né tantomeno negli altri dialoghi. Su questo argomento risulta interessante la posizione della Scuola di Tubinga, che considera questo rimando un riferimento all'Uno delle dottrine non scritte. Senza seguire fino in fondo questa ipotesi, il presente lavoro adotta un aspetto della posizione tubinghese, ovvero considerare questo rimando come un riferimento a un "assoluto". L'esattezza in sé sarebbe dunque l'idea della propedeuticità, in linea con uno dei propositi impliciti del Politico: delineare una metodologia dialettica. Sulla scorta di questa ipotesi, l'analisi prosegue considerando gli aspetti del politico tessitore come imitatore, poiché fa uso di strumenti doxastici per governare, e del dialettico, che a sua volta si affida a immagini e miti per meglio raggiungere lo scopo dell'indagine e per meglio far comprendere agli altri il valore di questi risultati. In conclusione, il lavoro delinea due figure distinte nei fini: il politico persegue il bene dello stato, il dialettico il sapere di per sé. Allo stesso tempo però queste due figure sembrano essere legate dal possesso della medesima conoscenza e in virtù di questa condivisione, sono anche costrette a un costante confronto con la dimensione sensibile, il mondo dell'opinione e l'imitazione.
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