Tesi etd-09112016-202111 |
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Tipo di tesi
Tesi di laurea magistrale
Autore
DE RAMUNDO, DAVIDE
URN
etd-09112016-202111
Titolo
Il problema dell'altro nell'universalismo occidentale: per un'epistemologia geo-filosofica dell'alterità
Dipartimento
CIVILTA' E FORME DEL SAPERE
Corso di studi
FILOSOFIA E FORME DEL SAPERE
Relatori
relatore Prof. Iacono, Alfonso Maurizio
Parole chiave
- alterità
- Occidente
- omologazione
- Oriente
- relazione
- universalismo
Data inizio appello
26/09/2016
Consultabilità
Completa
Riassunto
In questo mio lavoro ho affrontato il problema dell’universalismo che rappresenta un atteggiamento tipico del nostro tempo di uniformare e omogeneizzare la grande famiglia degli uomini. “Si è tutti uguali”. Questo atteggiamento ha creato un rapporto con l’altro di tipo colonialista. Si dimentica infatti che si è sempre tutti uguali rispetto a qualcuno, a partire da qualcosa. Dunque dietro questo dispositivo, che si serve della comparaison, e di una inclusione escludente, si è deformato l’altro, creato a propria immagine e somiglianza e non percepito nella sua vera differenza. Alla base di questo meccanismo c’è un errore epistemologico che porta a confondere i fatti con l’osservazione sui fatti, per questo si fa necessaria una visione perspicua (come la chiama Wittgenstein) che ci porti a vedere le connessioni tra le cose. Inoltre ho cercato di mostrare come mai in un mondo sempre più reticolare come quello odierno stanno ritornando in auge razzismi, nazionalismi e miti. Tutto questo considerandolo sempre rispetto all’altro che, in un contesto universale viene smaterializzato, desostanzializzato e decontestualizzato. Dunque uno dei problemi di fondo consiste nel fatto che se io non percepisco il mio confine, ma soprattutto, non mi sento parte di esso, come posso accorgermi di essere sconfinato nell’altro. Con confini intendo, i limiti, la soglia del mio essere etico che si incarna in uno spazio. Il confine è la coscienza di un’altra presenza. Perciò, sui troppo facili ritornelli del nuovo umanesimo, come afferma l’antropologo Marc Augé, «bisogna ripensare oggi l’elemento della frontiera, per comprendere le contraddizioni della nostra società: una frontiera non è uno sbarramento, ma un passaggio. Segnala allo stesso tempo la presenza dell’altro e la possibilità di raggiungerlo», di comprenderlo. Questa com-prensione è impedita dall’universalismo, in esso il soggetto si perde. L’individuo smarrisce il suo essere che è sempre tracciato. E allora è lì che l’uomo inventa o percorre solchi già tracciati da nazionalismi, razzismi, fanatismi, fondamentalismi, intolleranze etc.. L’essere ha bisogno di tracce, di confini; di abitare lo spazio ed esserne abitato a sua volta. Dunque è inutile nascondersi ancora dietro vuoti umanesimi. Come sottolinea Ẑiẑek, in Benvenuti in tempi moderni, «le nozioni ideologiche predominanti come libertà e democrazia (e, possiamo aggiungere, tolleranza) sono “nozioni di disorientamento”: esse offuscano la vera linea di separazione, mentre un’idea vera separa, permettendoci così di tracciare chiaramente questa linea (tra la nostra posizione emancipativa e l’ideologia che vogliamo rifiutare). Per esempio, è ovvio che vogliamo combattere il razzismo, il sessismo ecc., ma la caratterizzazione di questi fenomeni come fenomeni di “intolleranza” o “molestia” offusca la vera linea di separazione e confonde la lotta contro razzismo e sessismo con la nozione narcisistico-soggettivistica dello spazio privato che non deve essere invaso dal prossimo». Infine si è cercato di analizzare quel modello di dispersione rizomatica, quell’esaltazione delle differenze, che a detta di chi scrive, ha finito per porsi inevitabilmente come rovescio speculare di un modello totalizzante e unitario. Quello che si voleva eliminare e che si è strenuamente combattuto – cioè il modello totale e unitario della ragione e del reale – ha finito per intrufolarsi dentro le stesse armi che lo combattevano e si è incarnato nella fattispecie dell’universalismo. Dunque si fa sempre urgente una relazione con l’altro che non sia universale e omologante ma che vada a sperimentare l’alterità e non semplicemente ad interpretarla. È necessario uscire dalla logica dicotomica del noi-loro ed entrare nel flusso del reale che vede nel noi anche del loro e viceversa. Conoscere l’altro si può, ma per comprenderlo bisogna partire dal suo essere gettato in un contesto particolare. Per questo si fa necessaria una epistemologia geo-filosofica dell’alterità che tenga conto del processo di conoscenza, ma anche dell’aspetto geo-grafico in cui è inserito l’altro.
Note
La tesi in oggetto non è stata inserita correttamente nel data base dall’autore. L’autore stesso ed i relatori sono stati avvertiti di tale omissione
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