Tesi etd-09102021-120403 |
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Tipo di tesi
Tesi di laurea magistrale LM5
Autore
DINI, ALICE ELIF
URN
etd-09102021-120403
Titolo
L'(in)effettività della protezione della vittima di violenza di genere
Dipartimento
GIURISPRUDENZA
Corso di studi
GIURISPRUDENZA
Relatori
relatore Prof.ssa Bonini, Valentina
Parole chiave
- sistema di protezione
- valutazione del rischio
- violenza di genere
- vittimizzazione reiterata
Data inizio appello
27/09/2021
Consultabilità
Non consultabile
Data di rilascio
27/09/2091
Riassunto
L’area ordinamentale nazionale è stata l’epicentro di inarrestabili scosse telluriche che vedono il suo ipocentro in Europa, segnatamente nel Consiglio d’Europa.
Invero, lo sciame sismico europeo ha messo a dura prova la già cedevole normativa interna, provocando voragini che sono state l’occasio per smantellare e ripensare la morfologia processuale penale in tema di violenza di genere.
Dunque, giacché, saranno le fonti convenzionali - ora per previsione espressa, ora per il tramite della lettura offerta dalla Corte Europea per i diritti dell’uomo -, a coordinare i lavori nell’opera di edificazione dell’inedito plesso giurisdizionale interno - al netto dei toni talora un po’ enfatici fin qui utilizzati -, la prima parte del lavoro si propone di realizzare un inquadramento ambizioso di restituire un respiro che possa dirsi sistematico ai piani di tutela della vittima di violenza.
Un’attenzione particolare verrà rivolta alla Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica - progetto pilota -, adamantina nel mettere a fuoco le strategie da attuare per raggiungere l’obiettivo, tanto cardinale quanto (ahinoi) chimerico, di eliminare ogni forma di violenza e sopraffazione nelle relazioni di genere: si allude all’architettura delle cc.dd. 4 “P” - prevention, protection, punishment, (integrated) policies -, che sono i pilastri su cui si fonda.
Tra i quattro crinali di intervento richiesti dalla c.d. Convenzione di Istanbul, ci si concentrerà sulla Protezione, che rappresenta l’asse portante di risposta delle autorità alla richiesta di aiuto delle donne vittime di violenza.
Sebbene essa veda la fisiologica coabitazione di due dimensioni protettive eterogenee - per quanto entrambe imprescindibili -, si tratterà specificatamente soltanto una di queste: non quella diretta a contenere il pericolo interno al procedimento penale, funzionale a prevenire le conseguenze traumatiche della vittimizzazione secondaria, bensì quella offerta nel procedimento penale - e in “luoghi affini” - per fronteggiare il pericolo (esterno) di reiterazione delle violenze da parte dell’autore del fatto.
A tal proposito, la seconda parte di queste riflessioni accenderà il riflettore sull’arsenale, dalle caratteristiche bizantine, adibito a protezione della vittima in tutte le sue possibili traduzioni normative: le misure protettive, a seconda del background criminale di riferimento, devono differenziarsi affinché possano dirsi fitting alla diversa profondità del pericolo e alla diversa importanza della relazione interpersonale.
Infatti, indubbiamente, siffatto armamentario a disposizione della persona offesa, sia in limine litis che all’interno del processo penale, è tutt’altro che risibile e avaro, e gode di eccezionale latitudine che muta la sua intensità ed afflittività a seconda dello strumento in esame, assumendo talora una vocazione specifica, talaltra una caratura più generale.
Ad ogni modo, un quadro così abbozzato non trova corrispondenza nella complessità del reale, poiché, in una sorta di contradictiones in terminis, le indagini statistiche condotte in questo ambito - che sono la lente attraverso la quale osservare tale fenomeno - sembrano suggerire tutt’altro.
Ma se ad apparire farisaica non è la descrizione dello strumentario a disposizione della vittima di violenza di genere, allora come motivare tale insopportabile asimmetria numerica? Ebbene, l’ultima parte del lavoro è destinata ad interrogarsi sull’effettività di tale protezione.
Invero, lo sciame sismico europeo ha messo a dura prova la già cedevole normativa interna, provocando voragini che sono state l’occasio per smantellare e ripensare la morfologia processuale penale in tema di violenza di genere.
Dunque, giacché, saranno le fonti convenzionali - ora per previsione espressa, ora per il tramite della lettura offerta dalla Corte Europea per i diritti dell’uomo -, a coordinare i lavori nell’opera di edificazione dell’inedito plesso giurisdizionale interno - al netto dei toni talora un po’ enfatici fin qui utilizzati -, la prima parte del lavoro si propone di realizzare un inquadramento ambizioso di restituire un respiro che possa dirsi sistematico ai piani di tutela della vittima di violenza.
Un’attenzione particolare verrà rivolta alla Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica - progetto pilota -, adamantina nel mettere a fuoco le strategie da attuare per raggiungere l’obiettivo, tanto cardinale quanto (ahinoi) chimerico, di eliminare ogni forma di violenza e sopraffazione nelle relazioni di genere: si allude all’architettura delle cc.dd. 4 “P” - prevention, protection, punishment, (integrated) policies -, che sono i pilastri su cui si fonda.
Tra i quattro crinali di intervento richiesti dalla c.d. Convenzione di Istanbul, ci si concentrerà sulla Protezione, che rappresenta l’asse portante di risposta delle autorità alla richiesta di aiuto delle donne vittime di violenza.
Sebbene essa veda la fisiologica coabitazione di due dimensioni protettive eterogenee - per quanto entrambe imprescindibili -, si tratterà specificatamente soltanto una di queste: non quella diretta a contenere il pericolo interno al procedimento penale, funzionale a prevenire le conseguenze traumatiche della vittimizzazione secondaria, bensì quella offerta nel procedimento penale - e in “luoghi affini” - per fronteggiare il pericolo (esterno) di reiterazione delle violenze da parte dell’autore del fatto.
A tal proposito, la seconda parte di queste riflessioni accenderà il riflettore sull’arsenale, dalle caratteristiche bizantine, adibito a protezione della vittima in tutte le sue possibili traduzioni normative: le misure protettive, a seconda del background criminale di riferimento, devono differenziarsi affinché possano dirsi fitting alla diversa profondità del pericolo e alla diversa importanza della relazione interpersonale.
Infatti, indubbiamente, siffatto armamentario a disposizione della persona offesa, sia in limine litis che all’interno del processo penale, è tutt’altro che risibile e avaro, e gode di eccezionale latitudine che muta la sua intensità ed afflittività a seconda dello strumento in esame, assumendo talora una vocazione specifica, talaltra una caratura più generale.
Ad ogni modo, un quadro così abbozzato non trova corrispondenza nella complessità del reale, poiché, in una sorta di contradictiones in terminis, le indagini statistiche condotte in questo ambito - che sono la lente attraverso la quale osservare tale fenomeno - sembrano suggerire tutt’altro.
Ma se ad apparire farisaica non è la descrizione dello strumentario a disposizione della vittima di violenza di genere, allora come motivare tale insopportabile asimmetria numerica? Ebbene, l’ultima parte del lavoro è destinata ad interrogarsi sull’effettività di tale protezione.
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