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Archivio digitale delle tesi discusse presso l’Università di Pisa

Tesi etd-09092021-114226


Tipo di tesi
Tesi di laurea magistrale LM5
Autore
CECCONI, BIANCA
URN
etd-09092021-114226
Titolo
La vittima vulnerabile nei reati di violenza di genere e di violenza sessuale: tra tutele, paternalismi e pregiudizi.
Dipartimento
GIURISPRUDENZA
Corso di studi
GIURISPRUDENZA
Relatori
relatore Prof.ssa Bonini, Valentina
correlatore Prof.ssa Stradella, Elettra
Parole chiave
  • Art. 90 quater c.p.p.
  • Convenzione di Istanbul
  • Direttiva 2012/29/UE
  • persona offesa
  • violenza di genere
  • violenza sessuale
  • vittima vulnerabile
  • vittimizzazione secondaria
Data inizio appello
27/09/2021
Consultabilità
Tesi non consultabile
Riassunto
Il presente elaborato tratta il tema della vittima nei reati di violenza di genere e di violenza sessuale.
In particolare, è stata posta l’attenzione sulla vulnerabilità di tale persona offesa, sulle cause che determinano la condizione di fragilità, sui meccanismi processuali di tutela e sulle critiche che possono essere mosse a questa presunzione di vulnerabilità, spesso attuata dal legislatore.
Inizieremo dalle radici sociali, culturali e storiche che hanno provocato il dipanarsi della violenza contro le donne: la disparità tra uomo e donna, gli stereotipi, le gabbie di genere rappresentano tutt’oggi la miccia che innesca la violenza di genere e la violenza sessuale; conoscere le cause che provocano questi crimini appare di primaria importanza per poterli fronteggiare.
La violenza contro le donne nasce con la società stessa; possiamo infatti dire che la civiltà greco-romana ha trasmesso alle generazioni future uno schema pre-impostato dei ruoli di genere, radici così ben salde e così profonde della subordinazione femminile sono la principale causa per cui oggi tale fenomeno sia difficile da debellare.
Gli stereotipi e le gabbie di genere sono una caratteristica comune a tutte le società, non esiste infatti una cultura in cui la violenza contro le donne sia stata sradicata.
La violenza di genere viene definita come un fenomeno giuridico complesso, perché causato da molteplici fattori volti a determinare variegate forme di violenza: sessuale, economica, psicologica, fisica, ma tutte accumunate da un unico fattore: la subordinazione della donna.
Qual è oggi giorno il ruolo di tale vittima all’interno del processo penale? quali sono le sue facoltà e le sue tutele?
Guardando alla vittima intesa in senso generale, la sua collocazione all’interno del processo è oggi molto discussa; la legislazione nazionale e sovrannazionale ha cercato di attribuirle un ruolo più definito all’interno dell’accertamento penale, escludendo però la sua connotazione come parte processuale.
In particolare, il legislatore ha messo mano ai diritti partecipativi della persona offesa, ma accanto a diritti che riguardano la vittima tout court, alcune prerogative si riferiscono in modo esclusivo a determinate categorie di soggetti offesi dal reato, tra i quali le vittime di violenza di genere e di violenza sessuale.
Oltre che a implementare la partecipazione di questi soggetti al processo penale, si è resa necessaria anche una maggiore tutela a causa degli alti rischi che possono sopraggiungere dalla partecipazione all’accertamento penale, infatti le vittime che espongono la violenza subita vanno incontro a due principali rischi: il rischio di reiterazione del reato e il rischio di vittimizzazione secondaria.
Il diritto infatti, sia a livello nazionale che internazionale, non è rimasto indifferente ai suddetti crimini, andando a delineare meccanismi di protezione ad hoc per le donne, spesso definite come vittime vulnerabili.
La Direttiva 2012/29/UE, preceduta dalla Decisione Quadro n. 2001/220/GAI, si occupa per la prima volta di una valutazione soggettiva della condizione di particolare vulnerabilità in cui può versare la vittima.
Vengono presi in considerazione sia parametri soggettivi che oggettivi, per poter dichiarare la condizione di particolare vulnerabilità e applicare le conseguenti misure di tutela. Merito della direttiva è infatti quello di delineare un individual assessment per valutare lo stato di fragilità, respingendo ogni forma di presunzione.
Al contrario, il legislatore italiano con l’art. 90 quater non è stato in grado di recepire la Direttiva. Non predisponendo un iter per l’accertamento delle condizioni di particolare vulnerabilità ha reso la disciplina sterile e indeterminata, rimandando alle disposizioni successive l’applicazione degli strumenti di tutela per le persone offese presunte vulnerabili.
Già prima della Direttiva del 2012, la Convenzione del Consiglio d'Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, si era occupata di prevedere specifici diritti e specifici meccanismi di tutela nei confronti della vittima di tali crimini.
Il legislatore interno, sulla scia delle fonti internazionali e sulla scia di un sempre più acceso dibattito pubblico in tema di violenza contro le donne, è intervenuto in modo emergenziale e con la logica del doppio binario; prevedendo cioè meccanismi di tutela specifici che riguardano esclusivamente determinate vittime. Questo armamentario di cautele è stato ideato per tutelare la donna sia fuori dal processo, onde evitare una reiterazione del reato, che dentro di questo, onde evitare una vittimizzazione secondaria.
La vittimizzazione secondaria è uno dei principali problemi collegato alla violenza di genere e alla violenza sessuale; il rischio di pregiudizi da parte delle autorità competenti e il rischio di subire nuovi traumi dal processo è, in questi reati, molto alto.
Per questi motivi il legislatore ha adottato tutta una serie di meccanismi, soprattutto nella fase dell’escussione, al fine di limitare tale pericolo: gli artt. 351 comma 1-ter e 362 comma 1-bis c.p.p, artt. 392 comma 1-bis, art. 398 5-ter e 5-quater c.p.p. artt. 472 comma 3-bis e 498 4-quater c.p.p. e l’art. 134 comma 4 c.p.p., sono tutte disposizioni volte ad alleviare alla persona offesa il peso di dover rivivere il trauma del crimine all’interno di un’aula di tribunale, talvolta limitando le audizioni o le domande, talaltra rilasciando le dichiarazioni in una sede diversa rispetto a quella giudiziaria.
Oltre a questo, soprattutto grazie alla Convenzione di Istanbul, si è reso necessario implementare la formazione degli operatori giuridici che entrano in contatto, a diverso titolo, con la persona offesa; il linguaggio utilizzato da questi soggetti e la metodologia di intervento impiegata sono di primaria importanza per realizzare un’azione efficiente e evulsa da pregiudizi.
A tal proposito, si parlerà dalla recente sentenza della Corte di Strasburgo, del 27 maggio 2021, che ha condannato l’Italia per vittimizzazione secondaria a causa del linguaggio utilizzato dai giudici in un processo per presunta violenza sessuale. Il caso rappresenta chiaramente come certi danni cagionati dalle istituzioni risultano essere addirittura più dolorosi del fatto principale, e di come sia necessaria una formazione e un’educazione su questi temi per evitare stereotipi da parte delle Autorità competenti.
La critica che può essere mossa agli interventi del legislatore italiano è quella di aver categorizzato le vittime in astratto, allontanandosi dalla prospettiva della valutazione case by case prevista dalla Direttiva 2012/29/UE.
Questo assetto è ben evidente nella Sentenza 11 gennaio 2021, n.1 della Corte Costituzionale in cui viene affermato il principio per cui determinate vittime, tra cui le vittime di violenza contro le donne, abbiano diritto al patrocino gratuito indipendentemente dal reddito.
Un’impostazione di questo tipo rischia, da una parte, di trattare diversamente le vittime sulla base di una valutazione astratta e, sempre sulla base di questa, trattare allo stesso modo chi subisce il medesimo reato, quando invece sarebbe più opportuna una valutazione soggettiva circa le condizioni in cui versa la vittima per poter applicare le specifiche misure di tutela.
Trattare indistintamente le persone offese dai reati di violenza di genere e violenza sessuale come soggetti vulnerabili ex ante, rischia di sottolineare ancora una volta la fragilità della donna anche di fronte allo Stato e di replicare, anche in sede processuale, il binomio uomo-forte e donna-debole.
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