Tesi etd-09092017-173739 |
Link copiato negli appunti
Tipo di tesi
Tesi di laurea magistrale LM5
Autore
OCCHIUZZI, BARBARA
URN
etd-09092017-173739
Titolo
La responsabilità dell'agente provocatore e del provocato nella disciplina delle operazioni sotto copertura
Dipartimento
GIURISPRUDENZA
Corso di studi
GIURISPRUDENZA
Relatori
relatore Prof. Notaro, Domenico
Parole chiave
- antigiuridicità
- concorso di persone nel reato
- equo processo
- infiltrazione
- reato impossibile
- tentativo
- tipicità
Data inizio appello
25/09/2017
Consultabilità
Completa
Riassunto
L’elaborato si propone di approfondire i profili di responsabilità dell’agente provocatore e del provocato, nell'affrontare l’evoluzione della definizione legislativa e giurisprudenziale di agente provocatore e di agente infiltrato, in considerazione ultima dei profili e delle soluzioni processuali presentate dalla materia. Nell’elaborato si darà altresì conto dei delicatissimi risvolti processuali della materia in esame, nonché della dimensione europea del problema nel quadro delle previsioni normative e delle pronunce giurisprudenziali rese con riguardo ai principi del giusto processo.
A fronte di una ricognizione storica dell’istituto, con specifico riguardo alla responsabilità dell’agente provocatore, assumono particolare rilevanza la qualificazione della condotta entro i confini dell’antigiuridicità obiettiva, nonché l’analisi dell’elemento soggettivo ed il difetto del dolo di consumazione. In questo senso occorre riconoscere alla dottrina tedesca il merito della concettualizzazione della figura dell’agente provocatore. Si deve agli studi di Julius Glaser l’aver rintracciato l’origine assolutistica e il nomen juris francofono di agent provocateur. Nell’esperienza tedesca, così come in quella francese l’armonica corrispondenza fra substrato criminologico e dimensione penalistica emerge in tutta la sua rilevanza, funzionale alla storicizzazione del tema, ma anche alla sua precomprensione politico-criminale. La soluzione tedesca attinge al piano della colpevolezza, individuando nell’agente provocatore un concorrente nel reato, generalmente non punibile, che istiga alla consumazione e mira al solo tentativo.
A differenza dell’istigatore, nel provocatore manca il secondo elemento del “doppio-dolo” (doppelte Vorsatz), il voler causare la realizzazione del fatto, accanto al voler determinare l’istigato alla commissione del reato. Nell’ambito della soluzione tradizionale, si matura anche l’ipotesi della formelle Vollendung, consumazione formale, realizzata dal provocatore in assenza di una materielle Vollendung. Il difetto di dolo veniva poi dimostrato dai singoli autori in modi diversi che variavano a seconda del contenuto da ciascuno attribuito al concetto di «consumazione formale»: la non volontà della consumazione materiale veniva desunta ora dall'intento di evitare la lesione dell'interesse protetto, ora dall'assenza del dolo specifico richiesto per il perfezionamento della fattispecie, ora dall'intenzione di riparare il danno prodotto o contenerne l'entità. Le ipotesi più significative della punibilità del provocatore recuperano la teoria del personales Unrecht, deducendo un Handlungsunrecht rispetto alla mancanza di Erfolgsunrecht. Il provocatore partecipa alla produzione di un disvalore d’azione dell’autore principale.
In questo senso, la “soluzione soggettiva” si rivela senza dubbio essere la soluzione più vitale, tale da individuare una netta distinzione tra il trattamento riservato al provocatore o al provocato e la più affascinante sul piano politico criminale. L’applicabilità della soluzione soggettiva incontra un limite fondamentale: l’identità di contenuti oggettivi tra la fattispecie soggettiva tentata e la fattispecie soggettiva consumata. Ma il nostro ordinamento, vincolato ex lege ad un modello oggettivistico di illecito penale esclude una simile conclusione. Per quanto la teoria del “doppio dolo” risulti efficace, questa trascura che il delitto tentato è una fattispecie autonoma rispetto al delitto consumato. Al fine di legittimare la punibilità del tentativo, accontentarsi del solo disvalore d’azione, senza esigere la volontà dell’evento è tipico di un modello di illecito di stampo finalistico. Nel nostro ordinamento la stessa disciplina del tentativo è vincolata a requisiti oggettivi, ed il disvalore d’evento, così come la volontà di realizzare la lesione del bene giuridico giocano un ruolo determinante sulla punibilità.
Premessa l’insufficienza assiologica dell’elemento soggettivo a determinare da solo la responsabilità del provocatore, risulta agevole ipotizzare che l’oggetto della rappresentazione dell’agente provocatore si riferisca non già al collegamento causale della propria e dell’altrui condotta al verificarsi di un evento (o meglio, di un non evento), mancando la garanzia di un dominio diretto sull’azione del provocato. Il provocatore dovrà rappresentarsi la propria e l’altrui condotta in funzione della realizzazione del proprio fine, non di un evento, ma del fine della punizione del provocato.
Un’ulteriore intuizione dell’esperienza tedesca si riverbera sul piano processuale negli ultimi anni del XX secolo. Con riguardo alla punibilità del provocato vengono all’attenzione i principi generali dell’ordinamento, e la contraddizione dell’utilizzo di uno strumento tale da manipolare la coscienza rispetto alla tutela della personalità umana. Da simile rilievo conseguono profili di preclusione processuale (lo Stato decadrebbe dalla titolarità della pretesa punitiva), cause di improcedibilità e, soprattutto, l’inservibilità della prova (prove illegittimamente acquisite – art. 191 c.p.p.).
Con riguardo alla trasformazione normativa e giurisprudenziale della definizione di agente provocatore (rectius, agente infiltrato), risulta centrale nell’art. 9 l. 146/2006 il richiamo all’art. 51 c.p. (causa di giustificazione dell’adempimento di un dovere). Lo stesso non può dirsi dell’art. 14 l. 269/1998, riferita al traffico di materiale pedopornografico, fattispecie non espressamente abrogata dall’art. 9. Dovendosi il problema sulla punibilità dell’agente provocatore risolvere in primo luogo sul piano obiettivo, risulta fondamentale riconoscerne la natura giuridica. In tal senso sembra suggestiva l’ipotesi della causa di esclusione del tipo. Gli elementi che suggeriscono tale soluzione sono la natura di acquisto “simulato”, dunque di “non acquisto”; la presenza di un contro-dolo specifico, che è il solo fine di acquisire prove; l’apparenza generale di “fattispecie di segno negativo”. La tesi si presta tuttavia ad alcune obiezioni: l’illogicità della limitazione a soggetti determinati, nonché l’ostacolo sistematico e testuale dell’espressa menzione dell’art. 51 c.p. Simili obiezioni, ancora oggi valide per la fattispecie di acquisto, non mostrano la medesima efficacia con riferimento alle condotte ad oggi ricomprese nell'art. 9 l. 146/2006. La riflessione risente, da ultimo, della natura concorsuale della condotta dell'agente infiltrato, spostando l'attenzione sulla fattispecie plurisoggettiva eventuale del concorso di persone nel reato.
Da ultimo, sul versante applicativo residuano margini di incertezza che spesso conducono a palesi contraddizioni. Queste incertezze, che tuttavia derivano da fattispecie dotate di “ansia descrittiva” prestano il fianco ad una prassi applicativa periclitante. Ancora una volta, per esigenze di certezza e maggiore aderenza all’orientamento oggettivistico del nostro ordinamento, occorre prediligere parametri che non si riferiscano, almeno non esclusivamente, allo stato soggettivo dell’agente.
A fronte di una ricognizione storica dell’istituto, con specifico riguardo alla responsabilità dell’agente provocatore, assumono particolare rilevanza la qualificazione della condotta entro i confini dell’antigiuridicità obiettiva, nonché l’analisi dell’elemento soggettivo ed il difetto del dolo di consumazione. In questo senso occorre riconoscere alla dottrina tedesca il merito della concettualizzazione della figura dell’agente provocatore. Si deve agli studi di Julius Glaser l’aver rintracciato l’origine assolutistica e il nomen juris francofono di agent provocateur. Nell’esperienza tedesca, così come in quella francese l’armonica corrispondenza fra substrato criminologico e dimensione penalistica emerge in tutta la sua rilevanza, funzionale alla storicizzazione del tema, ma anche alla sua precomprensione politico-criminale. La soluzione tedesca attinge al piano della colpevolezza, individuando nell’agente provocatore un concorrente nel reato, generalmente non punibile, che istiga alla consumazione e mira al solo tentativo.
A differenza dell’istigatore, nel provocatore manca il secondo elemento del “doppio-dolo” (doppelte Vorsatz), il voler causare la realizzazione del fatto, accanto al voler determinare l’istigato alla commissione del reato. Nell’ambito della soluzione tradizionale, si matura anche l’ipotesi della formelle Vollendung, consumazione formale, realizzata dal provocatore in assenza di una materielle Vollendung. Il difetto di dolo veniva poi dimostrato dai singoli autori in modi diversi che variavano a seconda del contenuto da ciascuno attribuito al concetto di «consumazione formale»: la non volontà della consumazione materiale veniva desunta ora dall'intento di evitare la lesione dell'interesse protetto, ora dall'assenza del dolo specifico richiesto per il perfezionamento della fattispecie, ora dall'intenzione di riparare il danno prodotto o contenerne l'entità. Le ipotesi più significative della punibilità del provocatore recuperano la teoria del personales Unrecht, deducendo un Handlungsunrecht rispetto alla mancanza di Erfolgsunrecht. Il provocatore partecipa alla produzione di un disvalore d’azione dell’autore principale.
In questo senso, la “soluzione soggettiva” si rivela senza dubbio essere la soluzione più vitale, tale da individuare una netta distinzione tra il trattamento riservato al provocatore o al provocato e la più affascinante sul piano politico criminale. L’applicabilità della soluzione soggettiva incontra un limite fondamentale: l’identità di contenuti oggettivi tra la fattispecie soggettiva tentata e la fattispecie soggettiva consumata. Ma il nostro ordinamento, vincolato ex lege ad un modello oggettivistico di illecito penale esclude una simile conclusione. Per quanto la teoria del “doppio dolo” risulti efficace, questa trascura che il delitto tentato è una fattispecie autonoma rispetto al delitto consumato. Al fine di legittimare la punibilità del tentativo, accontentarsi del solo disvalore d’azione, senza esigere la volontà dell’evento è tipico di un modello di illecito di stampo finalistico. Nel nostro ordinamento la stessa disciplina del tentativo è vincolata a requisiti oggettivi, ed il disvalore d’evento, così come la volontà di realizzare la lesione del bene giuridico giocano un ruolo determinante sulla punibilità.
Premessa l’insufficienza assiologica dell’elemento soggettivo a determinare da solo la responsabilità del provocatore, risulta agevole ipotizzare che l’oggetto della rappresentazione dell’agente provocatore si riferisca non già al collegamento causale della propria e dell’altrui condotta al verificarsi di un evento (o meglio, di un non evento), mancando la garanzia di un dominio diretto sull’azione del provocato. Il provocatore dovrà rappresentarsi la propria e l’altrui condotta in funzione della realizzazione del proprio fine, non di un evento, ma del fine della punizione del provocato.
Un’ulteriore intuizione dell’esperienza tedesca si riverbera sul piano processuale negli ultimi anni del XX secolo. Con riguardo alla punibilità del provocato vengono all’attenzione i principi generali dell’ordinamento, e la contraddizione dell’utilizzo di uno strumento tale da manipolare la coscienza rispetto alla tutela della personalità umana. Da simile rilievo conseguono profili di preclusione processuale (lo Stato decadrebbe dalla titolarità della pretesa punitiva), cause di improcedibilità e, soprattutto, l’inservibilità della prova (prove illegittimamente acquisite – art. 191 c.p.p.).
Con riguardo alla trasformazione normativa e giurisprudenziale della definizione di agente provocatore (rectius, agente infiltrato), risulta centrale nell’art. 9 l. 146/2006 il richiamo all’art. 51 c.p. (causa di giustificazione dell’adempimento di un dovere). Lo stesso non può dirsi dell’art. 14 l. 269/1998, riferita al traffico di materiale pedopornografico, fattispecie non espressamente abrogata dall’art. 9. Dovendosi il problema sulla punibilità dell’agente provocatore risolvere in primo luogo sul piano obiettivo, risulta fondamentale riconoscerne la natura giuridica. In tal senso sembra suggestiva l’ipotesi della causa di esclusione del tipo. Gli elementi che suggeriscono tale soluzione sono la natura di acquisto “simulato”, dunque di “non acquisto”; la presenza di un contro-dolo specifico, che è il solo fine di acquisire prove; l’apparenza generale di “fattispecie di segno negativo”. La tesi si presta tuttavia ad alcune obiezioni: l’illogicità della limitazione a soggetti determinati, nonché l’ostacolo sistematico e testuale dell’espressa menzione dell’art. 51 c.p. Simili obiezioni, ancora oggi valide per la fattispecie di acquisto, non mostrano la medesima efficacia con riferimento alle condotte ad oggi ricomprese nell'art. 9 l. 146/2006. La riflessione risente, da ultimo, della natura concorsuale della condotta dell'agente infiltrato, spostando l'attenzione sulla fattispecie plurisoggettiva eventuale del concorso di persone nel reato.
Da ultimo, sul versante applicativo residuano margini di incertezza che spesso conducono a palesi contraddizioni. Queste incertezze, che tuttavia derivano da fattispecie dotate di “ansia descrittiva” prestano il fianco ad una prassi applicativa periclitante. Ancora una volta, per esigenze di certezza e maggiore aderenza all’orientamento oggettivistico del nostro ordinamento, occorre prediligere parametri che non si riferiscano, almeno non esclusivamente, allo stato soggettivo dell’agente.
File
Nome file | Dimensione |
---|---|
Tesi_BOc..._2017.pdf | 1.54 Mb |
Contatta l’autore |