Tesi etd-09092010-203123 |
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Tipo di tesi
Tesi di laurea specialistica
Autore
COSENTINO, GIACOMO
URN
etd-09092010-203123
Titolo
L'impatto dell'entrata dei paesi dell'est nell'Unione europea
Dipartimento
ECONOMIA
Corso di studi
BANCA, BORSA E ASSICURAZIONI
Relatori
relatore Prof. Cartei, Federico
Parole chiave
- paesi dell'est
Data inizio appello
06/10/2010
Consultabilità
Non consultabile
Data di rilascio
06/10/2050
Riassunto
La storia dell’Unione Europea è sempre stata caratterizzata da una crescente
integrazione delle economie partecipanti e dalla progressiva estensione
dell’Unione a nuovi membri. Ai primi 6 paesi (Francia, Italia, Repubblica
Federale Tedesca, Belgio, Olanda e Lussemburgo) che nel 1957 avevano firmato
il Trattato di Roma dando luogo alla Comunità Economica Europea (CEE), sono
andate aggiungendosi nel tempo nuove nazioni che hanno contribuito a rendere
sempre più vasti i confini dell’UE. Nel 1973 entrarono a far parte della CEE
Danimarca, Irlanda e Regno Unito (UK). Nel 1981 fu la volta della Grecia e
cinque anni più tardi (1986) di Spagna e Portogallo. Nel 1992 il cosiddetto
Trattato sull’UE (meglio noto come Trattato di Maastricht dal nome della
cittadina dove fu raggiunto l’accordo nel dicembre dell’anno precedente)
sancisce un importante passo avanti nell’integrazione economica europea,
portando alla nascita della UE così come oggi la conosciamo. Nel 1995
aderiscono alla UE anche Austria, Finlandia e Svezia, portando a 15 il numero
complessivo dei paesi membri.
Il 2004 ed il 2007 sono stati due anni cruciali per l’Unione Europea (Ue). Il
2004 è stato “l’anno dell’allargamento”: il 1° maggio 2004 dieci paesi sono
entrati a far parte dell’Unione, portando a 25 il numero totale dei membri. I dieci
nuovi membri sono Cipro, Estonia, Lettonia, Lituania, Malta, Polonia,
Repubblica Ceca, Repubblica Slovacca, Slovenia e Ungheria. I negoziati di
adesione avviati negli anni Novanta includevano anche Bulgaria e Romania tra i
candidati all’ingresso nell’Ue nel 2004 , ma questi non sono stati ritenuti pronti
per entrare nell’Unione e quindi hanno fatto il loro definitivo ingresso solamente
il 1° gennaio 2007 portando il totale dei membri a 27. Si tratta di un evento
ritenuto da molti storico, sia perché è stato visto come un passaggio cruciale per
il processo di integrazione in Europa, sia perché ha sancito definitivamente la
fine di una separazione artificiale. Alcuni osservatori infatti anziché utilizzare il
termine “allargamento” preferiscono parlare di “riunificazione europea”, facendo
riferimento al fatto che con la comune appartenenza all’Unione i paesi europei
occidentali e orientali riprendono un cammino comune, interrotto dopo la
Seconda Guerra Mondiale. L’evento è stato segnato da molte cerimonie e
celebrazioni, ma anche da una lunga fase di preparazione, negoziati, discussioni e
polemiche.
Nonostante ci trovassimo di fronte il quinto e il sesto allargamento nella storia
dell’Ue, la loro gestazione è stata piuttosto travagliata, oltre che per il significato
storico, simbolico e politico di cui è stato rivestito, per le aspettative (non sempre
motivate) sulle sue implicazioni economiche. Coinvolgendo un numero di paesi
elevato e particolarmente diversi dai vecchi membri da molti punti di vista,
l’allargamento del 2004 molto più che i precedenti allargamenti ha posto in
evidenza il dilemma centrale dell’intero processo di integrazione europea, ovvero
se per l’UE sia necessario scegliere tra un grado di integrazione profonda, quasi
confederale tra un ristretto gruppo di paesi con sistemi economici e interessi
simili, e un tipo di integrazione meno impegnativo che coinvolga però un numero
esteso di paesi. In particolare, con riferimento alle domande di adesione dei paesi
dell’Europa centro-orientale (Peco), i timori che circolavano riguardavano il fatto
che estendere il mercato unico a un vasto gruppo di paesi con livelli di reddito
bassi, un passato storico recente segnato dall’assenza di democrazia e dalla
pianificazione centrale in economia, e una serie di gravi debolezze istituzionali
avrebbe potuto creare fratture internamente all’Unione Europea, indebolire il
mercato unico e rallentare il processo di integrazione. Il compromesso raggiunto
nel 1993 tra chi favoriva un’adesione rapida all’Ue per cogliere l’opportunità
storica e chi manifestava questi timori è stato quello di porre delle precise
condizioni per l’accesso di nuovi membri, che dovevano dimostrare di essere
pronti a entrare nell’Ue senza rischiare di destabilizzarne le basi.
Le preoccupazioni (anche in parte fondate) di alcuni sulle difficoltà di
integrare paesi così diversi si sono trasformate in una parte della pubblica
opinione in timori soprattutto di tipo economico di un “livellamento verso il
basso”. La parte di opinione pubblica dei vecchi membri dell’Ue che era
contraria all’allargamento temeva che i futuri membri con un livello di reddito
pro capite più basso, salari notevolmente minori, maggiore disoccupazione e
disagi sociali potessero esercitare una pressione al ribasso sui livelli salariali,
sull’occupazione e sui sistemi di sicurezza sociale in Europa, e riducessero la
capacità competitiva delle imprese occidentali, invadendo i mercati con beni a
basso prezzo e assorbendo quote rilevanti di flussi di investimento.
Al contrario, la grande maggioranza delle imprese dell’Europa occidentale
sosteneva decisamente il processo di allargamento. Dal punto di vista delle
imprese, l’allargamento dell’Ue costituisce prima di tutto un allargamento dei
mercati, che può favorire la crescita economica europea, fornire manodopera
qualificata a prezzi contenuti, e aumentare il peso economico dell’Ue nei
negoziati commerciali internazionali.
Le conseguenze economiche dell’allargamento in tutti i paesi - vecchi membri
e nuovi - hanno avuto comunque un ruolo centrale del dibattito e nel determinare
le modalità dell’allargamento. Per questo è opportuno, al di là di paure o ottimismi
poco fondati, esaminare più da vicino queste conseguenze. Infatti, gli aspetti
economici dell’allargamento, che in realtà come processo economico è solo
proseguito nel 2004 e nel 2007, saranno determinanti nel decretare il successo
dell’integrazione europea anche nei prossimi anni.
Inizialmente verrà inquadrata la storia dell’integrazione europea ripercorrendo
le varie tappe, che hanno portato nel corso degli anni, alla costituzione
dell’Unione europea così come oggi è conosciuta. Dopo aver analizzato
brevemente la storia e i meccanismi dei precedenti allargamenti, suddivisi in tre
distinti blocchi: - gli allargamenti precedenti al 1989; - il 1989 e la riunificazione
tedesca; - l’ingresso di Svezia, Austria e Finlandia; verrà trattato il percorso di
allargamento dell’Unione europea ad est, che porterà la stessa alla configurazione
attuale. L’allargamento ai paesi centro-orientali vive tre periodi distinti. Il primo
è quello legato agli accordi di associazione firmati tra l’Unione e i candidati
all’ingresso, con l’obiettivo di stabilire un quadro certo di relazioni istituzionale
ed economiche; il secondo periodo è quello legato all’applicazione dei criteri
decisi a Copenaghen, e quindi all’avvicinamento del paese candidato alle regole
dell’Unione. Il terzo periodo, una volta che questo avvicinamento si è compiuto,
è quello dell’apertura dei veri e propri negoziati all’adesione.
Successivamente si passerà ad analizzare i principali dati macro-economici
caratterizzanti le economie dei PECO, cercando di inquadrare il contesto socioeconomico
nel quale vengono a trovarsi i nuovi membri dell’Unione europea. I
paesi baltici sono quelli che hanno sperimentato la crescita più forte, dal punto di
vista del PIL, tra quelli che sono entrati a far parte dell’Unione europea. La
crescita che si registra in questi ultimi anni non è affatto da sottovalutare perché
conseguita in condizione di sostanziale stagnazione dell’economia europea e
internazionale. Dopo aver passato in rassegna indici fondamentali rappresentanti
la situazione economica dei nuovi membri, come il trend occupazionale, la
questione dell’agricoltura, gli investimenti diretti esteri, si giungerà alla
conclusione che questo processo di allargamento presenta notevoli difficoltà, è
un processo che presenta interessanti prospettive ma che pone anche problemi di
portata rilevante, di sicuro più difficile rispetto alle precedenti adesioni. Si tratta
di una sfida molto impegnativa per la costruzione dell’Europa, le cui
implicazioni investono sia gli attuali membri dell’Unione che i nuovi stati. Non a
caso l’analisi economica si sviluppa intorno a questioni che coinvolgono il
fenomeno della migrazione, le disparità di reddito, il finanziamento
dell’agricoltura, gli scambi commerciali e l’adozione dell’euro, senza voler
considerare l’aspetto del problema del funzionamento del sistema istituzionale
che dovrà sopportare costi crescenti sotto il profilo gestionale e deliberativo.
Infine, nell’ultimo capitolo di questo lavoro, si passerà ad analizzare il vero e
proprio impatto economico che, l’ingresso dei PECO all’interno dell’Unione
europea, porterà sia sull’economia dell’Unione che sulle singole economie
nazionali dei nuovi paesi membri. Per quanto riguarda l’impatto sull’economia
dell’Unione europea tutti i lavori hanno evidenziato che l’effetto economico
netto dell’allargamento sarà positivo in aggregato, dal momento che l’entità dei
costi attesi è decisamente inferiore ai benefici. Mentre l’effetto dell’ingresso
nell’UE per le economie dei nuovi Paesi membri è considerevole da diversi punti
di vista. Per poter accedere all’UE i dieci nuovi membri, alcuni dei quali
precedentemente appartenenti al blocco sovietico, hanno dovuto ristrutturare
massicciamente le proprie economie. Difficilmente in passato si sono osservati
cambiamenti strutturali così radicali nell’economia di un paese come è avvenuto
per i Peco. Questi cambiamenti in parte erano legati al processo di transizione da
un’economia pianificata a un’economia di mercato, ma la prospettiva di accesso
all’Ue ha agito da catalizzatore per questo processo. Un fondamentale strumento
di integrazione fra le diverse economie europea è quello degli investimenti diretti
esteri, e in questo lavoro verrà analizzato nello specifico il caso Rumeno. Il terzo
ed ultimo capitolo verrà concluso parlando della riforma istituzionale dell'UE che
si giustifica a prescindere dall'ampliamento, vista la necessità di istituire una
governanza più vicina ai cittadini.
integrazione delle economie partecipanti e dalla progressiva estensione
dell’Unione a nuovi membri. Ai primi 6 paesi (Francia, Italia, Repubblica
Federale Tedesca, Belgio, Olanda e Lussemburgo) che nel 1957 avevano firmato
il Trattato di Roma dando luogo alla Comunità Economica Europea (CEE), sono
andate aggiungendosi nel tempo nuove nazioni che hanno contribuito a rendere
sempre più vasti i confini dell’UE. Nel 1973 entrarono a far parte della CEE
Danimarca, Irlanda e Regno Unito (UK). Nel 1981 fu la volta della Grecia e
cinque anni più tardi (1986) di Spagna e Portogallo. Nel 1992 il cosiddetto
Trattato sull’UE (meglio noto come Trattato di Maastricht dal nome della
cittadina dove fu raggiunto l’accordo nel dicembre dell’anno precedente)
sancisce un importante passo avanti nell’integrazione economica europea,
portando alla nascita della UE così come oggi la conosciamo. Nel 1995
aderiscono alla UE anche Austria, Finlandia e Svezia, portando a 15 il numero
complessivo dei paesi membri.
Il 2004 ed il 2007 sono stati due anni cruciali per l’Unione Europea (Ue). Il
2004 è stato “l’anno dell’allargamento”: il 1° maggio 2004 dieci paesi sono
entrati a far parte dell’Unione, portando a 25 il numero totale dei membri. I dieci
nuovi membri sono Cipro, Estonia, Lettonia, Lituania, Malta, Polonia,
Repubblica Ceca, Repubblica Slovacca, Slovenia e Ungheria. I negoziati di
adesione avviati negli anni Novanta includevano anche Bulgaria e Romania tra i
candidati all’ingresso nell’Ue nel 2004 , ma questi non sono stati ritenuti pronti
per entrare nell’Unione e quindi hanno fatto il loro definitivo ingresso solamente
il 1° gennaio 2007 portando il totale dei membri a 27. Si tratta di un evento
ritenuto da molti storico, sia perché è stato visto come un passaggio cruciale per
il processo di integrazione in Europa, sia perché ha sancito definitivamente la
fine di una separazione artificiale. Alcuni osservatori infatti anziché utilizzare il
termine “allargamento” preferiscono parlare di “riunificazione europea”, facendo
riferimento al fatto che con la comune appartenenza all’Unione i paesi europei
occidentali e orientali riprendono un cammino comune, interrotto dopo la
Seconda Guerra Mondiale. L’evento è stato segnato da molte cerimonie e
celebrazioni, ma anche da una lunga fase di preparazione, negoziati, discussioni e
polemiche.
Nonostante ci trovassimo di fronte il quinto e il sesto allargamento nella storia
dell’Ue, la loro gestazione è stata piuttosto travagliata, oltre che per il significato
storico, simbolico e politico di cui è stato rivestito, per le aspettative (non sempre
motivate) sulle sue implicazioni economiche. Coinvolgendo un numero di paesi
elevato e particolarmente diversi dai vecchi membri da molti punti di vista,
l’allargamento del 2004 molto più che i precedenti allargamenti ha posto in
evidenza il dilemma centrale dell’intero processo di integrazione europea, ovvero
se per l’UE sia necessario scegliere tra un grado di integrazione profonda, quasi
confederale tra un ristretto gruppo di paesi con sistemi economici e interessi
simili, e un tipo di integrazione meno impegnativo che coinvolga però un numero
esteso di paesi. In particolare, con riferimento alle domande di adesione dei paesi
dell’Europa centro-orientale (Peco), i timori che circolavano riguardavano il fatto
che estendere il mercato unico a un vasto gruppo di paesi con livelli di reddito
bassi, un passato storico recente segnato dall’assenza di democrazia e dalla
pianificazione centrale in economia, e una serie di gravi debolezze istituzionali
avrebbe potuto creare fratture internamente all’Unione Europea, indebolire il
mercato unico e rallentare il processo di integrazione. Il compromesso raggiunto
nel 1993 tra chi favoriva un’adesione rapida all’Ue per cogliere l’opportunità
storica e chi manifestava questi timori è stato quello di porre delle precise
condizioni per l’accesso di nuovi membri, che dovevano dimostrare di essere
pronti a entrare nell’Ue senza rischiare di destabilizzarne le basi.
Le preoccupazioni (anche in parte fondate) di alcuni sulle difficoltà di
integrare paesi così diversi si sono trasformate in una parte della pubblica
opinione in timori soprattutto di tipo economico di un “livellamento verso il
basso”. La parte di opinione pubblica dei vecchi membri dell’Ue che era
contraria all’allargamento temeva che i futuri membri con un livello di reddito
pro capite più basso, salari notevolmente minori, maggiore disoccupazione e
disagi sociali potessero esercitare una pressione al ribasso sui livelli salariali,
sull’occupazione e sui sistemi di sicurezza sociale in Europa, e riducessero la
capacità competitiva delle imprese occidentali, invadendo i mercati con beni a
basso prezzo e assorbendo quote rilevanti di flussi di investimento.
Al contrario, la grande maggioranza delle imprese dell’Europa occidentale
sosteneva decisamente il processo di allargamento. Dal punto di vista delle
imprese, l’allargamento dell’Ue costituisce prima di tutto un allargamento dei
mercati, che può favorire la crescita economica europea, fornire manodopera
qualificata a prezzi contenuti, e aumentare il peso economico dell’Ue nei
negoziati commerciali internazionali.
Le conseguenze economiche dell’allargamento in tutti i paesi - vecchi membri
e nuovi - hanno avuto comunque un ruolo centrale del dibattito e nel determinare
le modalità dell’allargamento. Per questo è opportuno, al di là di paure o ottimismi
poco fondati, esaminare più da vicino queste conseguenze. Infatti, gli aspetti
economici dell’allargamento, che in realtà come processo economico è solo
proseguito nel 2004 e nel 2007, saranno determinanti nel decretare il successo
dell’integrazione europea anche nei prossimi anni.
Inizialmente verrà inquadrata la storia dell’integrazione europea ripercorrendo
le varie tappe, che hanno portato nel corso degli anni, alla costituzione
dell’Unione europea così come oggi è conosciuta. Dopo aver analizzato
brevemente la storia e i meccanismi dei precedenti allargamenti, suddivisi in tre
distinti blocchi: - gli allargamenti precedenti al 1989; - il 1989 e la riunificazione
tedesca; - l’ingresso di Svezia, Austria e Finlandia; verrà trattato il percorso di
allargamento dell’Unione europea ad est, che porterà la stessa alla configurazione
attuale. L’allargamento ai paesi centro-orientali vive tre periodi distinti. Il primo
è quello legato agli accordi di associazione firmati tra l’Unione e i candidati
all’ingresso, con l’obiettivo di stabilire un quadro certo di relazioni istituzionale
ed economiche; il secondo periodo è quello legato all’applicazione dei criteri
decisi a Copenaghen, e quindi all’avvicinamento del paese candidato alle regole
dell’Unione. Il terzo periodo, una volta che questo avvicinamento si è compiuto,
è quello dell’apertura dei veri e propri negoziati all’adesione.
Successivamente si passerà ad analizzare i principali dati macro-economici
caratterizzanti le economie dei PECO, cercando di inquadrare il contesto socioeconomico
nel quale vengono a trovarsi i nuovi membri dell’Unione europea. I
paesi baltici sono quelli che hanno sperimentato la crescita più forte, dal punto di
vista del PIL, tra quelli che sono entrati a far parte dell’Unione europea. La
crescita che si registra in questi ultimi anni non è affatto da sottovalutare perché
conseguita in condizione di sostanziale stagnazione dell’economia europea e
internazionale. Dopo aver passato in rassegna indici fondamentali rappresentanti
la situazione economica dei nuovi membri, come il trend occupazionale, la
questione dell’agricoltura, gli investimenti diretti esteri, si giungerà alla
conclusione che questo processo di allargamento presenta notevoli difficoltà, è
un processo che presenta interessanti prospettive ma che pone anche problemi di
portata rilevante, di sicuro più difficile rispetto alle precedenti adesioni. Si tratta
di una sfida molto impegnativa per la costruzione dell’Europa, le cui
implicazioni investono sia gli attuali membri dell’Unione che i nuovi stati. Non a
caso l’analisi economica si sviluppa intorno a questioni che coinvolgono il
fenomeno della migrazione, le disparità di reddito, il finanziamento
dell’agricoltura, gli scambi commerciali e l’adozione dell’euro, senza voler
considerare l’aspetto del problema del funzionamento del sistema istituzionale
che dovrà sopportare costi crescenti sotto il profilo gestionale e deliberativo.
Infine, nell’ultimo capitolo di questo lavoro, si passerà ad analizzare il vero e
proprio impatto economico che, l’ingresso dei PECO all’interno dell’Unione
europea, porterà sia sull’economia dell’Unione che sulle singole economie
nazionali dei nuovi paesi membri. Per quanto riguarda l’impatto sull’economia
dell’Unione europea tutti i lavori hanno evidenziato che l’effetto economico
netto dell’allargamento sarà positivo in aggregato, dal momento che l’entità dei
costi attesi è decisamente inferiore ai benefici. Mentre l’effetto dell’ingresso
nell’UE per le economie dei nuovi Paesi membri è considerevole da diversi punti
di vista. Per poter accedere all’UE i dieci nuovi membri, alcuni dei quali
precedentemente appartenenti al blocco sovietico, hanno dovuto ristrutturare
massicciamente le proprie economie. Difficilmente in passato si sono osservati
cambiamenti strutturali così radicali nell’economia di un paese come è avvenuto
per i Peco. Questi cambiamenti in parte erano legati al processo di transizione da
un’economia pianificata a un’economia di mercato, ma la prospettiva di accesso
all’Ue ha agito da catalizzatore per questo processo. Un fondamentale strumento
di integrazione fra le diverse economie europea è quello degli investimenti diretti
esteri, e in questo lavoro verrà analizzato nello specifico il caso Rumeno. Il terzo
ed ultimo capitolo verrà concluso parlando della riforma istituzionale dell'UE che
si giustifica a prescindere dall'ampliamento, vista la necessità di istituire una
governanza più vicina ai cittadini.
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