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Archivio digitale delle tesi discusse presso l’Università di Pisa

Tesi etd-09092007-173250


Tipo di tesi
Tesi di laurea specialistica
Autore
Serafino, Andrea
URN
etd-09092007-173250
Titolo
La political economy del cambiamento climatico
Dipartimento
SCIENZE POLITICHE
Corso di studi
POLITICHE E RELAZIONI INTERNAZIONALI
Relatori
Relatore Prof. Morroni, Mario
Parole chiave
  • cambiamento climatico
  • Protocollo do Kyoto
  • riscaldamento globale
Data inizio appello
15/10/2007
Consultabilità
Completa
Riassunto
C’è oggi un’evidenza scientifica condivisa del fatto che il comportamento dell’uomo è il principale responsabile dei cambiamenti climatici in atto.
Le emissioni di gas serra, che sono la causa del riscaldamento globale, sono in rapida crescita, tanto che, in assenza di misure correttive, si prevede che il riscaldamento della Terra possa superare i 5° entro la fine del secolo rispetto all’età pre-industriale, con conseguenze estremamente pericolose per l’ambiente e per l’uomo.
La c.d. Stern Review, autorevole pubblicazione commissionata dal governo britannico e dedicata ai profili economici del cambiamento climatico, prevede per un aumento della temperatura attorno a 5°C, una perdita di produzione globale superiore al 10%. Ma tale cifra è destinata a salire se si considera che eventi climatici estremi come inondazioni, siccità e uragani diverranno molto più frequenti, con evidenti ripercussioni sull’ecosistema e sulla salute umana.
Risulta dunque necessario ridurre drasticamente la produzione di gas-serra, la cui fonte principale deriva dall’utilizzo dei combustibili fossili. Il modo economicamente più efficiente consiste nel rendere effettivo il principio secondo cui “chi inquina paga”, stabilendo un prezzo comune a livello internazionale. Tecnicamente, tale risultato può essere ottenuto istituendo una tassa sulla produzione dei gas-serra (c.d. carbon tax), o creando un mercato dei diritti d’emissione (cap-and-trade system). Ciascuno di questi due metodi ha punti di forza e di debolezza.
Gli sforzi della comunità internazionale per fronteggiare il cambiamento climatico si sono finora orientati sul cap-and-trade system, ed hanno prodotto come risultato più importante il Protocollo di Kyoto (’97). Questo è il primo accordo internazionale che pone degli obiettivi vincolanti di riduzione delle emissioni per quei Paesi sviluppati che lo hanno ratificato. Tuttavia, l’entità della diminuzione da esso stabilita è decisamente insufficiente rispetto alle esigenze ambientali. Inoltre, il mancato coinvolgimento degli Stati Uniti e dei Paesi emergenti ne limita profondamente la portata. Nella prassi poi, la maggior parte dei paesi membri del Protocollo è lontana dal centrare i target di contenimento.
La necessità di costruire un regime internazionale in grado di superare le debolezze di Kyoto e di prevenire le conseguenze più disastrose del cambiamento climatico si scontra con le grandi difficoltà di raggiungere un accordo tra i Paesi che tenga conto delle responsabilità storiche delle emissioni.
Dal punto di vista politico, la situazione è aggravata dalle caratteristiche fisiche del fenomeno: dal momento che le sue conseguenze più pericolose si produrranno solo nel lungo periodo, i governi in carica non sono incentivati a intervenire in modo risoluto. A ciò va aggiunto che la tutela dell’ambiente ha le classiche caratteristiche del bene pubblico: ciascun Paese ha quindi un forte incentivo a comportarsi da free-rider, in modo da trarre beneficio dai sacrifici altrui senza cooperare.
Ciononostante, ci sono segnali che inducono ad un moderato ottimismo sull’esito dei negoziati futuri: l’opinione pubblica si sta progressivamente sensibilizzando al problema, il che pone un potenziale stimolo ai governi. Inoltre diversi Paesi hanno annunciato obiettivi di stabilizzazione delle emissioni in modo unilaterale.
In particolare, l’Unione Europea, che finora è lontana dall’obiettivo di Kyoto, ha fissato una serie di target molto ambiziosi da raggiungere entro il 2020. Inoltre essa ha istituzionalizzato un mercato dei diritti di emissione di gas serra
Questo impegno, se mantenuto, rappresenterebbe un potente messaggio verso quei Paesi che finora sono stati i più riluttanti a intervenire, e potrebbe avvicinare la soluzione di uno dei più grandi problemi di azione collettiva delle relazioni internazionali contemporanee. Per quanto riguarda il settore privato, la probabilità che esso sarà influenzato dal cambiamento climatico sembra molto elevata. Tuttavia, il livello di tale influenza dipenderà in misura cruciale da una serie di fattori, il più evidente dei quali è il settore industriale.
Tutte le imprese saranno interessate, con diversa intensità, da spinte di natura reputazionale e competitiva. Le utilities, le industrie energetiche, minerarie, metallurgiche e manifatturiere saranno quelle maggiormente toccate dagli aspetti regolativi, mentre i settori assicurativo, farmaceutico ed edilizio saranno i più interessati dalle conseguenze fisiche del fenomeno.
Le imprese destinate a trarre beneficio dal cambiamento climatico sono quelle che riusciranno ad anticiparne le principali conseguenze per la propria industria, adattando in modo compatibile la strategia di sviluppo.
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