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Archivio digitale delle tesi discusse presso l’Università di Pisa

Tesi etd-09072023-175716


Tipo di tesi
Tesi di laurea magistrale LM6
Autore
DINI, ALESSANDRO
URN
etd-09072023-175716
Titolo
Studio longitudinale sull'andamento dei markers di infiammazione e fatica in pazienti con nuova diagnosi di Sclerosi Multipla in terapia con "Disease Modifying Therapy"
Dipartimento
RICERCA TRASLAZIONALE E DELLE NUOVE TECNOLOGIE IN MEDICINA E CHIRURGIA
Corso di studi
MEDICINA E CHIRURGIA
Relatori
relatore Prof.ssa Pasquali, Livia
Parole chiave
  • sclerosi multipla
  • infiammazione
  • stress ossidativo
  • fatigue
  • malattie demielinizzanti
  • disease modifying therapy
  • neurologia
Data inizio appello
26/09/2023
Consultabilità
Non consultabile
Data di rilascio
26/09/2093
Riassunto
La Sclerosi Multipla (SM) è una malattia infiammatoria cronica demielinizzante del SNC con patogenesi autoimmune ed eziologia multifattoriale.
L’età di esordio è compresa tra i 20 e i 40 anni e rappresenta la più comune causa di disabilità di origine non traumatica nel giovane-adulto. Ha una prevalenza 2-100/100.000 ab, variabile tra le aree geografiche e un rapporto M:F che varia da 1:2 a 1:3. I dati epidemiologici italiani riflettono quelli mondiali e mostrano una maggior incidenza e una maggior prevalenza in Sardegna.
La natura multifattoriale della SM si spiega attraverso la presenza di fattori di rischio e predisposizione genetica. Tra i fattori di rischio si annoverano: infezione da Epstein-Barr Virus (EBV), fumo di sigaretta, carenza di vitamina D e obesità adolescenziale. Per quanto riguarda la predisposizione genetica numerosi studi hanno messo in evidenza il ruolo della mutazione di altrettanto numerosi HLA di tipo II, concordando sul fatto che i principali sottotipi implicati siano HLA-DRB1*15:01 e HLA-DQB1*06:02.
La complessa patogenesi della SM non è ancor oggi del tutto nota, ma quel che è certo è che il meccanismo centrale riguarda la perdita di tolleranza del Sistema immunitario (SI) nei confronti di peptidi self mielinici. In questo modo si producono linfociti T CD4+ e CD8+ autoreattivi che vanno a danneggiare il rivestimento mielinico assonale a livello di multiple aree del SNC (sopratentoriali, sottotentoriali o midollari). Oltre all’attivazione aberrante del SI innato, concorrono disfunzioni del SI adattivo e partecipano al danno anche linfociti B, microglia e macrofagi infiltranti.
Il danno autoimmunitario produce lesioni demielinizzanti che alterano la conduzione del segnale negli assoni coinvolti e ciò determina segni e sintomi di disfunzione neurologica focale in corrispondenza alla sede in cui si verificano tali lesioni.
Per questa ragione la clinica risulta variegata; generalmente esordisce con un attacco acuto di disfunzione neurologica focale che si estrinseca con sintomi visivi (di cui il principale è la neuropatia ottica retrobulbare), sintomi sensitivi, sintomi motori, sintomi da compromissioni di strutture del tronco encefalico e del cervelletto. Nelle fasi avanzate della malattia spesso insorgono deficit cognitivi, sintomi neuropsichiatrici, fatigue e sintomi urinari.
In questo contesto si riconoscono, poi, tre fenotipi clinici principali che descrivono l’andamento classico della malattia, ovvero SM relapsing-remitting (SM-RR), SM secondary-progressive (SM-SP) e SM primary-progressive (SM-PP) e due entità clinico-radiologiche note come Clinical isolated syndrome (CIS) e Radiological isolated syndrome (RIS).
La diagnosi si fa attraverso un esame obiettivo neurologico (EON) in cui si valuta il tipo di sintomatologia e il grado di disabilità del soggetto, a cui segue un’indagine radiologica attraverso una Risonanza magnetica (MRI) di encefalo e/o midollo e un’indagine chimico-fisica attraverso l’analisi del liquido cefalo-rachidiano (CSF) che dimostra l’eventuale sintesi di bande oligoclonali intratecali. Sulla base di ciò, lo strumento clinico-radiologico validato per la diagnosi, ad oggi, è rappresentato dai criteri di McDonald aggiornati al 2017.
Per lungo tempo ritenuta una malattia altamente invalidante, al giorno d’oggi esistono terapie ad alta efficacia che vanno sotto il nome di Disease modyfing therapies (DMTs), le quali permettono il controllo della maggior parte dei quadri clinici. Tra questi trattamenti si riconoscono due linee di farmaci sulla base dei profili di efficacia e sicurezza. Tra i farmaci di prima linea si annoverano Interferone-beta, Glatiramer acetato, Teriflunomide e Dimetilfumarato, mentre quelli di seconda linea comprendono farmaci di ultima generazione appartenenti alle classi degli antagonisti dei recettori della sfingosina-1-fosfato (Fingolimod, Siponimod ecc.), anticorpi monoclonali (Natalizumab, Ocrelizumab, ecc.) e antimetaboliti (Cladribina).
Nella gestione del soggetto affetto da SM, questi farmaci, si affiancano ad altre strategie terapeutiche che comprendono i trattamenti dell’attacco acuto e i trattamenti sintomatici, mirati al mantenimento di una buona qualità di vita dei pazienti.

In questo studio sono stati approfonditi due aspetti della malattia che negli ultimi anni sono sempre più al centro della ricerca: la fatigue e l’infiammazione.
La fatigue rappresenta uno dei sintomi più frequentemente sperimentati dai pazienti affetti e comporta una riduzione della qualità di vita notevole. I meccanismi fisiopatologici alla base sono molteplici e non del tutto noti e comprendono lesioni strutturali della sostanza bianca e grigia, processi infiammatori, reclutamento maladattativo dei network e alterazione della metacognizione.
Riguardo all’infiammazione è noto che questa rappresenti il principale driver della malattia ed eserciti il suo effetto lesivo in tutte le fasi della malattia. I processi infiammatori sono descritti attraverso l’analisi delle concentrazioni di citochine e altri markers di infiammazione aspecifici (PCR e TNFα) ma anche di markers di stress ossidativo (che pare avere un ruolo centrale nei processi neurodegenerativi che determinano la malattia).

Questo studio ha, come endpoint primario quello di evidenziare un’eventuale correlazione tra la DMT intrapresa dai pazienti presi in esame e l’andamento nel tempo (con valutazione al basale e a 3 mesi dall’inizio del trattamento) della fatigue e dei markers di infiammazione e di stress ossidativo.
Inoltre, come endpoint secondario, si è cercato di evidenziare un’eventuale correlazione tra (1) la fatigue, valutata tramite questionari, e i markers di infiammazione e di stress ossidativo e tra (2) la fatigue, valutata tramite questionari, e disturbi dell'umore e del sonno, anch'essi valutati tramite questionari.
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