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Archivio digitale delle tesi discusse presso l’Università di Pisa

Tesi etd-09072023-154255


Tipo di tesi
Tesi di laurea magistrale LM6
Autore
STELLA, SOFIA
URN
etd-09072023-154255
Titolo
Post-intensive care syndrome nel paziente politraumatizzato Prima, durante e dopo l'emergenza sanitaria del Covid-19
Dipartimento
RICERCA TRASLAZIONALE E DELLE NUOVE TECNOLOGIE IN MEDICINA E CHIRURGIA
Corso di studi
MEDICINA E CHIRURGIA
Relatori
relatore Prof. Biancofiore, Giandomenico Luigi
correlatore Dott.ssa Pini, Silvia
Parole chiave
  • post-intensive care syndrome
  • PICS
  • politrauma
  • polytrauma
  • Covid-19
  • Sars-Cov2
Data inizio appello
26/09/2023
Consultabilità
Non consultabile
Data di rilascio
26/09/2093
Riassunto
Negli ultimi anni le innovazioni in campo medico hanno consentito notevoli miglioramenti in ambito sanitario che hanno permesso, tra le altre cose, un importante aumento della sopravvivenza dei pazienti. Questo ha portato ad un cambiamento della tipologia di pazienti che vengono ricoverati in terapia intensiva: sono aumentati i pazienti anziani, fragili, con comorbilità importanti e che sono stati sottoposti a procedure sempre più invasive. Di conseguenza sono aumentati i pazienti che, dopo la dimissione, sono maggiormente soggetti a sviluppare una sindrome definita post-intensive care syndrome. Il termine è stato introdotto nel 2010 dalla Society of Critical Care Medicine e sta ad indicare una sindrome che può manifestarsi già 24 ore dopo il ricovero in terapia intensiva e può persistere per 5-15 anni dopo la dimissione o anche diventare permanente. Si manifesta sotto forma di sintomi che possono coinvolgere la sfera fisica, cognitiva o psicologica. Quando sintomi, prevalentemente di natura psicologica, coinvolgono i familiari o i caregivers dei pazienti che sono stati ricoverati in terapia intensiva si parla di family-PICS. I fattori di rischio per PICS possono contribuire prima (ad esempio fragilità del paziente, compromissioni funzionali preesistenti), durante (ad esempio sedazione, durata del delirium, sepsi, sindrome da distress respiratorio acuto) e dopo (ad esempio primi sintomi di ansia, depressione o PTSD) il ricovero in ICU. Per poter fare un’accurata e precoce diagnosi di PICS, la diagnostica di follow-up delle tre aree funzionali dovrebbe essere eseguita 2-4 settimane dopo la dimissione dall'ospedale e ripetuta regolarmente, almeno 6-12 mesi dopo la fine della riabilitazione ospedaliera. La diagnosi è resa difficoltosa dalla mancanza di strumenti di screening standardizzati per questa patologia: oltre all’anamnesi e all’esame obiettivo, i test che più frequentemente vengono utilizzati per andare ad indagare l’eventuale insorgenza di deficit nelle tre aree in cui si manifesta la PICS sono per il campo fisico il physical function outcome measure (PFIT), il test del cammino dei 6 minuti (6MWT) e il test timed up and go (TUG). Per l’area cognitiva il MoCA (MOntreal Cognitive Assessment), il Mini-Mental State Examination e il Mini-Cog e per la sfera psicologica l'Hospital Anxiety and Depression Scale (HADS), l'Impact of Events Scale-Revised (IES-R) e l'Impact of Event Scale-6 (IES-6) (che possono essere somministrati anche ai parenti o ai caregivers per diagnosticare l’insorgenza di F-PICS). Attualmente per contrastare la post-intensive care syndrome ci si basa principalmente sulla prevenzione, seguendo nel trattamento del paziente in ICU una serie di principi che vengono definiti nel cosiddetto ABCDEF bundle. Inoltre, in uno studio del 20231 sono state definite 12 raccomandazioni, 4 opzioni terapeutiche e una dichiarazione per la gestione della PICS. In generale gli elementi cardine nella prevenzione e nel trattamento della post-intensive care syndrome sono: mobilizzazione precoce, gestione del dolore, svezzamento precoce dalla ventilazione meccanica tramite test di risveglio e respirazione effettuati ciclicamente, uso minimo dell’analgesia e della sedazione, prevenzione e gestione del delirium, allenamento delle capacità cognitive, gestione adeguata della nutrizione, coinvolgimento dei familiari o caregivers sia tramite la possibilità di visitare il paziente, sia coinvolgendoli nel processo decisionale delle sue cure.
In generale negli ultimi anni c’è stato un aumento dell’incidenza della post-intensive care syndrome e si teme che, in seguito alla pandemia del Covid-19, ci possa essere un’impennata dei casi di PICS. Il Covid-19 è una malattia infettiva che non consente cure ordinarie a causa della natura altamente trasmissibile del virus e che ostacola tra le altre cose la corretta applicazione dell’ABCDEF bundle. I pazienti in condizioni critiche sono spesso isolati e sottoposti a sedazione profonda e contenzione fisica, la mobilitazione è ritardata e le visite dei familiari sono limitate, cosa enormemente stressante sia per i pazienti che per i loro cari. Inoltre, la malattia stessa può favorire l’insorgenza di PICS dato che può indurre encefalopatia o delirium ed inoltre causa uno stato iperinfiammatorio che, sommandosi alla prolungata immobilizzazione, può portare a importante perdita di massa muscolare. Dunque, la pandemia di Covid-19 ha avuto ripercussioni sui pazienti, sulle loro famiglie ed anche sugli operatori sanitari, il cui onere è stato considerevole. Si ritiene fondamentale seguire con accuratezza i pazienti che erano ricoverati in ICU durante l’emergenza sanitaria, sottoponendoli a follow up dopo la loro dimissione, in modo da diagnosticare precocemente l’eventuale insorgenza di post-intensive care syndrome.
Lo studio che abbiamo svolto vuole andare ad evidenziare se vi sono differenze significative nello sviluppo di sintomi riconducibili alla post-intensive care syndrome tra pazienti che sono stati ricoverati prima, durante e dopo l’emergenza sanitaria del Covid-19. La popolazione che siamo andati a studiare comprende tutti i pazienti che sono stati ricoverati per almeno cinque giorni nel reparto di anestesia e rianimazione del pronto soccorso dell’AUOP con diagnosi di politrauma dal 01.01.2019 al 31.07.2022. Questi pazienti sono stati contattati a 6 mesi e ad un anno dalla dimissione e sono stati somministrati loro una serie di test che andavano ad indagare le tre aree in cui si manifesta la PICS. Anche i parenti o i caregivers sono stati inclusi in questo studio, andando a valutare, nel loro caso, principalmente la sfera psicologica e sociale. I test che abbiamo somministrato sono: scheda anagrafica, percorso riabilitativo, EQ-5D, Qolibrì-os, ZBI, creative GOSe, MMSE, HADS, GAD-7, PHQ-9, IES-R, ITQ, PTSS-10.
Dal confronto tra la popolazione di pazienti che è stata ricoverata prima del Covid-19 e quella che era in ospedale durante la pandemia ci aspettavamo un generale peggioramento degli outcomes dei pazienti, che invece non si è verificato. Il che può ragionevolmente essere considerato indicativo del fatto che questo reparto è riuscito a mantenere uno standard di cura elevato nonostante le difficoltà e il sovraccarico lavorativo dovuti alla pandemia.
Confrontando i risultati dei test effettuati dalla popolazione che è stata ricoverata prima del Covid-19 e quella che era in ospedale durante l’emergenza sanitaria abbiamo trovato differenze significative solo al test GOSe, dal quale è emerso che tra il primo e il secondo gruppo c’è stato un miglioramento significativo per quanto riguarda lo sviluppo di disabilità.
Tra la popolazione ricoverata durante il Covid-19 e quella che è stata in ospedale dopo la fine dell’emergenza sanitaria sono emerse delle differenze significative nei test creactive GOSe, sia a 6 mesi che a 1 anno e EQ-5D e Qolibrì-os solo a 1 anno. Questo miglioramento riscontrato nel periodo Covid-19 è contrario a quanto ci aspettavamo; riteniamo possibile che questo risultato sia dovuto, più che a un miglioramento effettivo delle cure, ad una diversa percezione della propria disabilità da parte del paziente, grazie ad una serie di situazioni “favorevoli” che potrebbero essersi instaurate durante la pandemia.
Per quanto riguarda la riabilitazione non emergono significative differenze tra le tre popolazioni di pazienti: quasi tutti scelgono di fare riabilitazione dopo la dimissione, benché pochi scelgano di rivolgersi al terapista occupazionale nonostante il test GOSe abbia evidenziato che il 54% di chi ha risposto ha manifestato difficoltà o non ha potuto ricominciare a lavorare come prima. Sarebbe forse utile fornire ai pazienti, prima di dimetterli, maggiori informazioni sul ventaglio di possibilità riabilitative e di supporto psicologico che ci sono, ricordandole loro durante gli incontri per il follow up. Potrebbe essere utile, sotto questo punto di vita, rendere più strutturata la relazione tra il reparto, che si sta occupando del follow up e di valutare l’insorgenza di PICS, e le strutture riabilitative.
Abbiamo evidenziato che in generale si riescono a coinvolgere intorno al 61% dei pazienti nel follow up (stimando un 11% di decessi e un 28% di persone irrintracciabili o che si rifiutano di sottoporsi ai test). Valutando in maniera complessiva i risultati di tutti i test di follow up, prima, durante e dopo il Covid-19, è emerso che solamente il 3% dei pazienti non ha evidenziato nessuna alterazione, fossero esse lievi, moderate o gravi, in nessuno dei test, né a 6 mesi né ad 1 anno.
Per coinvolgere maggiori persone nel follow up si potrebbe cercare di sensibilizzare maggiormente i pazienti sulla sua importanza, cogliendo questa occasione per ricordare loro che in caso di necessità non sono soli e possono rivolgersi all’ospedale per avere supporto sia per l’ex paziente che per i familiari o chi si prende cura di lui.
Nonostante possa essere laborioso far rispondere il paziente a tutti i test, è importante avere una visione completa in tutte e tre le aree di manifestazione clinica della PICS; si potrebbe dunque pensare di ridurre il numero di questionari, proponendone uno per tipologia, andando poi ad indagare in maniera più approfondita solo nel momento in cui il paziente mostrasse segni di deficit in quell’area. Sarebbe anche utile introdurre nel follow up un test che valuti in maniera specifica i deficit esclusivamente motori. Un altro problema rilevante ma risolvibile è che non sono stati effettuati molti follow up dei familiari o caregivers dei pazienti, benché sia noto che la PICS possa coinvolgere anche loro. Per questo motivo sarebbe importante prestare loro la dovuta attenzione in sede di colloquio se non addirittura organizzarne uno appositamente per loro.
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