Tesi etd-09072020-084436 |
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Tipo di tesi
Tesi di dottorato di ricerca
Autore
CANFORA, CARMINE
URN
etd-09072020-084436
Titolo
Maledire e pregare: per un'analisi delle tabellae defixionum latine
Settore scientifico disciplinare
L-FIL-LET/04
Corso di studi
SCIENZE DELL'ANTICHITA' E ARCHEOLOGIA
Relatori
tutor Prof. Lentano, Mario
Parole chiave
- anthropology of the ancient world
- antropologia del mondo antico
- curse
- defixiones
- latin linguistics
- linguistica latina
- maledire
- pray
- pregare
Data inizio appello
25/09/2020
Consultabilità
Non consultabile
Data di rilascio
25/09/2060
Riassunto
Il lavoro di tesi proposto prende le mosse dall’analisi di numerose defixiones in lingua latina che i ritrovamenti archeologici hanno portato alla luce. Le defissioni sono state oggetto di studio fin dagli ultimi anni del XIX secolo, come testimoniato dalla raccolta di Robert Wünsch (1897) seguita pochi anni dopo da quella di Auguste Audollent (1904). Da quel momento in poi, sempre più tabellae sono affiorate da pozzi, cimiteri e santuari, permettendo così di ampliare la conoscenza di noi moderni relativa a un fenomeno che si rivela tutt’altro che marginale nell’ambito degli studi sul mondo antico.
Sulla natura delle defixiones si sono interrogati molti studiosi, che quasi tutti concordi le hanno ascritte all’ambito della magia, pur riconoscendo l’inadeguatezza di una netta dicotomia tra tale categoria e quella della religione [ Faraone-Obbink (1991), di Gager (1992), di Graf (1995) e di Gordon-Simón (2010)]. L’obiettivo della presente ricerca si iscrive, dunque, nel filone di studi di coloro che hanno voluto comprendere il fenomeno defissorio in lingua latina. Tuttavia, il contributo che si intende apportare è quello di un’indagine critica volta a mettere in discussione la categorizzazione delle tabellae defixionum come dispositivo magico, partendo dal dato testuale, ossia linguistico, in cui imprescindibile si dimostra la presenza del divino.
Nel primo capitolo vengono delineate le direttrici metodologiche seguite nelle successive analisi, ossia gli studi condotti da Robert Lowth sulla poesia ebraica sacra e da Roman Jakobson sulle funzioni del linguaggio. Entrambi gli studiosi hanno portato alla luce dinamiche e meccanismi propri del linguaggio poetico che si esplicano anche in testi non riconoscibili immediatamente come poetici per via dell’assenza di forme metriche sillabiche e quantitative. Questo è possibile grazie all’individuazione del meccanismo parallelistico operante in ogni testo in cui a predominare sia la “funzione poetica”, come definita da Jakobson.
Il secondo capitolo prende in esame i testi defissori latini, secondo una suddivisione per aree geografiche di provenienza.
Il terzo capitolo, a conclusione della prima sezione, fornisce dapprima un’analisi comparativa di un gruppo scelto di defissioni in lingua greca, con l’obiettivo di portare alla luce analogie e differenze con le corrispettive latine, utile a chiarire fino a che punto si possa parlare di derivazione greca per le defixiones latine. Successivamante, vengono proposti alcuni testi di maledizioni mesopotamiche per tentare di provocare una riflessione sul fenomeno defissorio nell’area mediterranea. Da ultimo, si fornisce una comparazione con le defissioni del centro Italia, che presentano indubbiamente forti affinità linguistiche con quelle latine.
La seconda macrosezione contiene l’analisi dei testi di preghiera contenuti nelle opere degli autori latini compresi tra l’età arcaica e l’età cristiana, per comprendere se la presenza del divino come interlocutore avesse potuto determinare una precisa modalità di comunicazione linguistica in lingua latina che accomunasse sia le maledizioni che le preghiere. Per compiere ciò si è fatto ricorso, anche in questo caso, alle modalità di indagine linguistica utilizzate per le defissioni.
Infine, nei capitoli conclusivi abbiamo tentato di ampliare la riflessione che, partendo dalle considerazioni formulate per ciascuna delle sezioni precedenti, portasse ad analizzare il fenomeno religioso e linguistico della cultura Romana dal punto di vista della comunicazione con il divino, di cui sia le tabellae defixionum che le preghiere propriamente dette sono rappresentanti.
La cultura romana, del resto, non ci ha lasciato una definizione di “cosa” per i Romani fosse “magia” e di cosa non lo fosse e questo pone inevitabilmente delle difficoltà agli occhi di coloro che si accingono a studiare pratiche come le tabellae defixionum, così diverse da ciò che la cultura occidentale di matrice cristiana tende a considerare religioso. Tuttavia, è pur vero che la mancanza di categorizzazione emica ci esime da produrne una noi, mentre ci invita al contempo a considerare tale fenomeno culturale senza pregiudizi di partenza.
Sulla natura delle defixiones si sono interrogati molti studiosi, che quasi tutti concordi le hanno ascritte all’ambito della magia, pur riconoscendo l’inadeguatezza di una netta dicotomia tra tale categoria e quella della religione [ Faraone-Obbink (1991), di Gager (1992), di Graf (1995) e di Gordon-Simón (2010)]. L’obiettivo della presente ricerca si iscrive, dunque, nel filone di studi di coloro che hanno voluto comprendere il fenomeno defissorio in lingua latina. Tuttavia, il contributo che si intende apportare è quello di un’indagine critica volta a mettere in discussione la categorizzazione delle tabellae defixionum come dispositivo magico, partendo dal dato testuale, ossia linguistico, in cui imprescindibile si dimostra la presenza del divino.
Nel primo capitolo vengono delineate le direttrici metodologiche seguite nelle successive analisi, ossia gli studi condotti da Robert Lowth sulla poesia ebraica sacra e da Roman Jakobson sulle funzioni del linguaggio. Entrambi gli studiosi hanno portato alla luce dinamiche e meccanismi propri del linguaggio poetico che si esplicano anche in testi non riconoscibili immediatamente come poetici per via dell’assenza di forme metriche sillabiche e quantitative. Questo è possibile grazie all’individuazione del meccanismo parallelistico operante in ogni testo in cui a predominare sia la “funzione poetica”, come definita da Jakobson.
Il secondo capitolo prende in esame i testi defissori latini, secondo una suddivisione per aree geografiche di provenienza.
Il terzo capitolo, a conclusione della prima sezione, fornisce dapprima un’analisi comparativa di un gruppo scelto di defissioni in lingua greca, con l’obiettivo di portare alla luce analogie e differenze con le corrispettive latine, utile a chiarire fino a che punto si possa parlare di derivazione greca per le defixiones latine. Successivamante, vengono proposti alcuni testi di maledizioni mesopotamiche per tentare di provocare una riflessione sul fenomeno defissorio nell’area mediterranea. Da ultimo, si fornisce una comparazione con le defissioni del centro Italia, che presentano indubbiamente forti affinità linguistiche con quelle latine.
La seconda macrosezione contiene l’analisi dei testi di preghiera contenuti nelle opere degli autori latini compresi tra l’età arcaica e l’età cristiana, per comprendere se la presenza del divino come interlocutore avesse potuto determinare una precisa modalità di comunicazione linguistica in lingua latina che accomunasse sia le maledizioni che le preghiere. Per compiere ciò si è fatto ricorso, anche in questo caso, alle modalità di indagine linguistica utilizzate per le defissioni.
Infine, nei capitoli conclusivi abbiamo tentato di ampliare la riflessione che, partendo dalle considerazioni formulate per ciascuna delle sezioni precedenti, portasse ad analizzare il fenomeno religioso e linguistico della cultura Romana dal punto di vista della comunicazione con il divino, di cui sia le tabellae defixionum che le preghiere propriamente dette sono rappresentanti.
La cultura romana, del resto, non ci ha lasciato una definizione di “cosa” per i Romani fosse “magia” e di cosa non lo fosse e questo pone inevitabilmente delle difficoltà agli occhi di coloro che si accingono a studiare pratiche come le tabellae defixionum, così diverse da ciò che la cultura occidentale di matrice cristiana tende a considerare religioso. Tuttavia, è pur vero che la mancanza di categorizzazione emica ci esime da produrne una noi, mentre ci invita al contempo a considerare tale fenomeno culturale senza pregiudizi di partenza.
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