Tesi etd-09062023-191024 |
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Tipo di tesi
Tesi di laurea magistrale LM5
Autore
NASO, PIERPAOLO
URN
etd-09062023-191024
Titolo
I servizi pubblici gestiti dalle societates publicanorum
Dipartimento
GIURISPRUDENZA
Corso di studi
GIURISPRUDENZA
Relatori
relatore Prof. Petrucci, Aldo
Parole chiave
- giuridica
- personalità
- publicanorum
- Societas
Data inizio appello
24/09/2023
Consultabilità
Non consultabile
Data di rilascio
24/09/2093
Riassunto
Le "societates publicanorum" rappresentarono un fenomeno d’importanza fondamentale nell’apparato finanziario di Roma degli ultimi secoli della Repubblica ed ancora del primo secolo del Principato. Inoltre, considerato l'ammontare dei capitali che esse amministravano, nonché il numero di persone in esse variamente coinvolte, o collegate alla loro organizzazione, grande era anche l'importanza dal punto di vista economico e sociale, e di conseguenza la loro influenza sulla vita pubblica romana. A ciò si aggiunga che gli ambiti di interesse di tali società erano i più vari, e spaziavano dalla riscossione dei tributi all'appalto di opere pubbliche e di forniture militari.
Il presente elaborato, dunque, prende avvio dall'esame dell'origine etimologica del termine "societas publicanorum", nonché del suo contenuto e della sua portata. Oltre a questo, è stato ritenuto di grande interesse soffermarsi sulle attività cui erano dedite queste società sull'analisi sulle modalità di aggiudicazione degli appalti per i diversi servizi di pubblica utilità, nonché sulla struttura delle "societates publicanorum", la composizione di queste e le funzioni di ciascuna categoria di soci.
L'esistenza di questa categoria di società è attestata con certezza almeno a partire dal III secolo a.C., e raggiunse il loro massimo splendore e la loro maggiore influenza nel periodo della crisi della repubblica. Tali "societates" prendevano in appalto dalla "res publica" la realizzazione e la manutenzione di opere pubbliche, quali ad esempio la costruzione di acquedotti e templi, lo sfruttamento delle miniere e delle saline, la riscossione delle imposte su terre e pascoli pubblici, l'esazione di dazi doganali e, più in generale, l'espletamento di forniture e servizi pubblici. L'avvento del principato segnò l'inizio del loro progressivo declino, e già nel II secolo d.C. la loro attività risulta ridotta alla sola riscossione dei "vectigalia".
Una delle principali peculiarità della società dei pubblicani, che la distingueva da tutte le altre società, era costituita dal fatto che ad essa era attribuita una certa capacità giuridica ed inoltre era dotata di un patrimonio comune (arca communis), distinto dal patrimonio dei singoli soci. A tal proposito, vi è la testimonianza di un frammento di Gaio, tratto dal commentario all’editto provinciale in D. 3.4.1 pr. -1 (Gaius 3. ad. ed. provinciale) che attribuisce a questo tipo di società una certa soggettività distinta dalla persona dei soci ("corpus habere"), dei beni comuni ("res communis") e, appunto, un patrimonio proprio della società ("arca communis").La maggior parte della dottrina romanistica è d’accordo nel ritenere che dal passo appena menzionato risulti provata la personalità giuridica delle societates publicanorum.
Vi è poi l'aspetto dell'organizzazione interna. Le "societates publicanorum", infatti, erano connotate da una struttura complessa e articolata con diversi livelli di partecipazione. Tra i "socii" ordinari si distingueva un gruppo più ristretto cui competeva assumere le decisioni principali alle quali si dovevano attenere gli altri soci. Tale gruppo era detto "decumani". Successivamente, si collocavano i "magistri" e i "promagistri", che fungevano da amministratori rispettivamente nella "sede centrale" e nelle "sedi locali". Queste due figure avevano sia compiti esecutivi delle delibere dei "decumani", sia operavano in qualità di rappresentanti.
Un differente livello di partecipazione era quello dei "mancipes" o "redemptores", i quali probabilmente erano soci specializzati a partecipare alle aste per aggiudicarsi gli appalti mediante la presentazione della migliore offerta.
Vi erano poi vi erano i "socii" ordinari. Questa categoria era rivestita da tutti coloro che avevano costituito la "societas" con il "manceps" e che non ricoprivano alcuna carica direttiva o di rappresentanza, ma le cui contribuzioni, secondo le norme del contratto di società, potevano consistere in beni o in opere, o in entrambe. Infine, un ultimo e diverso livello di partecipazione era costituito da "adfines" e titolari di "partes", che normalmente erano persone esterne alla società, ma che contribuivano al suo sostentamento fornendole i mezzi economici necessari. Con il termine partes sembrerebbe alludersi a quote di partecipazione degli utili della società, proporzionate al finanziamento. Al riguardo, vi è un vivace dibattito in dottrina sulla loro circolazione e negoziabilità. Tuttavia, non si può assumere una posizione rigida che rifiuta "tout court" quanto sembra emergere dalle fonti menzionate nell'elaborato, pertanto si giunge ad affermare che nelle "societates publicanorum" vi fossero forme di circolazione della posizione di socio e del diritto di partecipazione agli utili per i finanziatori.
Infine, sembra pacifico il dato sulla maggiore stabilità della società di pubblicani di fronte a certe cause estintive generali. Infatti, nel caso di esercizio dell'"actio pro socio", I anche l’esercizio non si sarebbe verificata necessariamente la liquidazione della società, perché, sulla base di quanto affermato da Paolo nel passo D. 17.2.65.15 (Paul. 32. ad ed.) sarebbe potuto avvenire manente societate, tramite l’inserimento nella formula di una praescriptio pro actore, la quale avrebbe limitato gli effetti della litis contestatio ai rapporti fra i soci dedotti in giudizio, evitando così lo scioglimento della società.
Ancora, nel caso in cui fosse avvenuta una diminuzione della capacità patrimoniale del socio rispetto agli obblighi assunti o da assumere, un socio può legittimamente chiedere che gli venga trasferita la parte affidata a chi non è più in grado di adempiere agli obblighi assunti.
Infine, nell'ipotesi di morte di uno dei soci, sarebbe potuto subentrare il suo erede a seguito di "adscriptio" o "adscitio", senza che si estinguesse il vincolo sociale. L'"adscriptio" si verificava quando, già nel contratto di società o in quello di appalto, i soci avessero previsto il subingresso dell'erede del socio morto ascrivendogli la sua quota e previa, comunque, una valutazione caso per caso della sua idoneità. L'"adscitio", invece, alludeva alla cooptazione dell'erede del defunto effettuata dai soci che ne valutavano l'idoneità, pur mancando esplicite previsioni contrattuali in merito. Concludendo, le societates publicanorum funzionavano molto come le moderne società per azioni sia perché riconosciute come entità giuridiche sia per l’accesso ai mercati finanziari. Detto ciò, la societas publicanorum non mostra tutte le caratteristiche di una società per azioni, almeno nel senso di una definizione moderna di persona giuridica, che si è sviluppata a partire dal XVI secolo.
Si può parlare, tuttavia, di personalità giuridica in riferimento alla società di pubblicani, non perché tale figura fosse nota ai romani, ma perché essi si trovarono, da un certo momento in poi, a dover affrontare la rapida trasformazione della loro economia agricola chiusa in un sistema aperto che si estendeva su tutto il mondo conosciuto. Riuscirono a risolvere queste esigenze nell’ambito del proprio ordinamento e con propri strumenti normativi e concettuali.
Il presente elaborato, dunque, prende avvio dall'esame dell'origine etimologica del termine "societas publicanorum", nonché del suo contenuto e della sua portata. Oltre a questo, è stato ritenuto di grande interesse soffermarsi sulle attività cui erano dedite queste società sull'analisi sulle modalità di aggiudicazione degli appalti per i diversi servizi di pubblica utilità, nonché sulla struttura delle "societates publicanorum", la composizione di queste e le funzioni di ciascuna categoria di soci.
L'esistenza di questa categoria di società è attestata con certezza almeno a partire dal III secolo a.C., e raggiunse il loro massimo splendore e la loro maggiore influenza nel periodo della crisi della repubblica. Tali "societates" prendevano in appalto dalla "res publica" la realizzazione e la manutenzione di opere pubbliche, quali ad esempio la costruzione di acquedotti e templi, lo sfruttamento delle miniere e delle saline, la riscossione delle imposte su terre e pascoli pubblici, l'esazione di dazi doganali e, più in generale, l'espletamento di forniture e servizi pubblici. L'avvento del principato segnò l'inizio del loro progressivo declino, e già nel II secolo d.C. la loro attività risulta ridotta alla sola riscossione dei "vectigalia".
Una delle principali peculiarità della società dei pubblicani, che la distingueva da tutte le altre società, era costituita dal fatto che ad essa era attribuita una certa capacità giuridica ed inoltre era dotata di un patrimonio comune (arca communis), distinto dal patrimonio dei singoli soci. A tal proposito, vi è la testimonianza di un frammento di Gaio, tratto dal commentario all’editto provinciale in D. 3.4.1 pr. -1 (Gaius 3. ad. ed. provinciale) che attribuisce a questo tipo di società una certa soggettività distinta dalla persona dei soci ("corpus habere"), dei beni comuni ("res communis") e, appunto, un patrimonio proprio della società ("arca communis").La maggior parte della dottrina romanistica è d’accordo nel ritenere che dal passo appena menzionato risulti provata la personalità giuridica delle societates publicanorum.
Vi è poi l'aspetto dell'organizzazione interna. Le "societates publicanorum", infatti, erano connotate da una struttura complessa e articolata con diversi livelli di partecipazione. Tra i "socii" ordinari si distingueva un gruppo più ristretto cui competeva assumere le decisioni principali alle quali si dovevano attenere gli altri soci. Tale gruppo era detto "decumani". Successivamente, si collocavano i "magistri" e i "promagistri", che fungevano da amministratori rispettivamente nella "sede centrale" e nelle "sedi locali". Queste due figure avevano sia compiti esecutivi delle delibere dei "decumani", sia operavano in qualità di rappresentanti.
Un differente livello di partecipazione era quello dei "mancipes" o "redemptores", i quali probabilmente erano soci specializzati a partecipare alle aste per aggiudicarsi gli appalti mediante la presentazione della migliore offerta.
Vi erano poi vi erano i "socii" ordinari. Questa categoria era rivestita da tutti coloro che avevano costituito la "societas" con il "manceps" e che non ricoprivano alcuna carica direttiva o di rappresentanza, ma le cui contribuzioni, secondo le norme del contratto di società, potevano consistere in beni o in opere, o in entrambe. Infine, un ultimo e diverso livello di partecipazione era costituito da "adfines" e titolari di "partes", che normalmente erano persone esterne alla società, ma che contribuivano al suo sostentamento fornendole i mezzi economici necessari. Con il termine partes sembrerebbe alludersi a quote di partecipazione degli utili della società, proporzionate al finanziamento. Al riguardo, vi è un vivace dibattito in dottrina sulla loro circolazione e negoziabilità. Tuttavia, non si può assumere una posizione rigida che rifiuta "tout court" quanto sembra emergere dalle fonti menzionate nell'elaborato, pertanto si giunge ad affermare che nelle "societates publicanorum" vi fossero forme di circolazione della posizione di socio e del diritto di partecipazione agli utili per i finanziatori.
Infine, sembra pacifico il dato sulla maggiore stabilità della società di pubblicani di fronte a certe cause estintive generali. Infatti, nel caso di esercizio dell'"actio pro socio", I anche l’esercizio non si sarebbe verificata necessariamente la liquidazione della società, perché, sulla base di quanto affermato da Paolo nel passo D. 17.2.65.15 (Paul. 32. ad ed.) sarebbe potuto avvenire manente societate, tramite l’inserimento nella formula di una praescriptio pro actore, la quale avrebbe limitato gli effetti della litis contestatio ai rapporti fra i soci dedotti in giudizio, evitando così lo scioglimento della società.
Ancora, nel caso in cui fosse avvenuta una diminuzione della capacità patrimoniale del socio rispetto agli obblighi assunti o da assumere, un socio può legittimamente chiedere che gli venga trasferita la parte affidata a chi non è più in grado di adempiere agli obblighi assunti.
Infine, nell'ipotesi di morte di uno dei soci, sarebbe potuto subentrare il suo erede a seguito di "adscriptio" o "adscitio", senza che si estinguesse il vincolo sociale. L'"adscriptio" si verificava quando, già nel contratto di società o in quello di appalto, i soci avessero previsto il subingresso dell'erede del socio morto ascrivendogli la sua quota e previa, comunque, una valutazione caso per caso della sua idoneità. L'"adscitio", invece, alludeva alla cooptazione dell'erede del defunto effettuata dai soci che ne valutavano l'idoneità, pur mancando esplicite previsioni contrattuali in merito. Concludendo, le societates publicanorum funzionavano molto come le moderne società per azioni sia perché riconosciute come entità giuridiche sia per l’accesso ai mercati finanziari. Detto ciò, la societas publicanorum non mostra tutte le caratteristiche di una società per azioni, almeno nel senso di una definizione moderna di persona giuridica, che si è sviluppata a partire dal XVI secolo.
Si può parlare, tuttavia, di personalità giuridica in riferimento alla società di pubblicani, non perché tale figura fosse nota ai romani, ma perché essi si trovarono, da un certo momento in poi, a dover affrontare la rapida trasformazione della loro economia agricola chiusa in un sistema aperto che si estendeva su tutto il mondo conosciuto. Riuscirono a risolvere queste esigenze nell’ambito del proprio ordinamento e con propri strumenti normativi e concettuali.
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