Tesi etd-09052011-220325 |
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Tipo di tesi
Tesi di laurea specialistica LC6
Autore
ANTONIOTTI, CARLOTTA
URN
etd-09052011-220325
Titolo
Validazione prospettica del polimorfismo -1498 C/T di VEGF come fattore predittivo di efficacia di bevacizumab in pazienti con carcinoma colorettale metastatico, in trattamento di prima linea con FOLFIRI e bevacizumab.
Dipartimento
MEDICINA E CHIRURGIA
Corso di studi
MEDICINA E CHIRURGIA
Relatori
relatore Prof. Falcone, Alfredo
Parole chiave
- bevacizumab
- carcinoma colorettale
- folfiri
- polimorfismo
- vegf
Data inizio appello
27/09/2011
Consultabilità
Non consultabile
Data di rilascio
27/09/2051
Riassunto
Il fenomeno dell’angiogenesi, inteso come formazione di neovasi da una rete vascolare preesistente, rappresenta un evento fondamentale nella cancerogenesi, necessario per fornire al tumore il supporto indispensabile per la sua crescita e progressione. In ragione di ciò, l’angiogenesi costituisce un target farmacologico nella terapia anti-neoplastica.
Lo sviluppo e la successiva introduzione nella pratica clinica di agenti ad azione anti-angiogenica hanno rivoluzionato la terapia di molte neoplasie solide, tra cui il carcinoma colorettale (Colorectal cancer, CRC). Ad oggi, l’unico farmaco anti-angiogenico registrato per il trattamento in prima e seconda linea di questa neoplasia in stadio metastatico, in associazione a chemioterapia a base di fluoropirimidine, è bevacizumab. Si tratta di un anticorpo monoclonale ricombinante umanizzato diretto contro Vascular Endothelial Growth Factor (VEGF), principale mediatore ad azione pro-angiogenica.
Studi clinici di fase III hanno dimostrato che l’associazione di bevacizumab a chemioterapici convenzionali, in prima linea di trattamento, migliora significativamente l’outcome di pazienti affetti da carcinoma colorettale metastatico (metastatic Colorectal cancer, mCRC), rispetto alla sola chemioterapia.
Attualmente, i pazienti da sottoporre a trattamento con bevacizumab sono selezionati esclusivamente in base a criteri clinici, legati alle tossicità del farmaco. Questo dato, assieme al fatto che appare evidente che non tutti i pazienti beneficiano del trattamento con l’anti-VEGF o comunque non in eguale misura, rende necessaria l’identificazione di biomarcatori predittivi di efficacia di bevacizumab. È ipotizzabile che, in questo modo, il beneficio derivato dall’anti-angiogenico possa essere ottimizzato da una più accurata selezione dei pazienti, consentendo, allo stesso tempo, un risparmio sulle tossicità e sui costi legati al trattamento.
Recenti studi hanno indicato come potenziali predittori di beneficio da bevacizumab polimorfismi germinali del gene VEGF, che codifica il target dell’anticorpo. Specifiche varianti alleliche del gene sono in grado di modularne l’espressione e verosimilmente condizionare, in modo indiretto, la risposta all’anti-VEGF. Esperienze condotte nell’ambito di diverse neoplasie in fase metastatica, compreso il CRC, hanno investigato il ruolo predittivo e prognostico di alcuni polimorfismi a singolo nucleotide (Single nucleotide Polymorphisms, SNPs) di VEGF su DNA genomico in pazienti trattati con bevacizumab. I risultati emersi, nel complesso piuttosto eterogenei, devono considerarsi non conclusivi e, quindi, non applicabili alla pratica clinica. Si tratta, infatti, di indagini condotte in modo retrospettivo e spesso carenti di un confronto con un gruppo di pazienti non trattati con bevacizumab. Inoltre, deve considerarsi che l’effetto di specifiche varianti geniche può essere variabile in patologie differenti, così come in relazione al trattamento chemioterapico somministrato insieme all’anti-VEGF.
Sulla base di queste premesse, al fine di superare le criticità metodologiche delle esperienze presenti in letteratura, è stato condotto uno studio esplorativo retrospettivo per valutare il ruolo di quattro polimorfismi di VEGF nel predire l’efficacia di bevacizumab, in pazienti con mCRC in terapia di prima linea con FOLFIRI (5FU, leucovorin e irinotecano) e bevacizumab (“gruppo bevacizumab”). I polimorfismi in studio erano localizzati due nella regione del promotore (-2578 C/A e -1498 C/T), uno nella 5’UTR (untraslated region) (+405 G/C) ed uno nella regione 3’UTR (+936 C/T). Allo scopo di stimare la possibile interazione tra l’effetto della terapia anti-VEGF ed i polimorfismi candidati, questi ultimi sono stati valutati anche in una popolazione di controllo (“gruppo controllo”), costituita da una coorte storica, trattata con sola chemioterapia FOLFIRI.
Di tutti le varianti alleliche del gene VEGF in studio, nella popolazione di pazienti trattati con bevacizumab, l’unica a risultare correlata significativamente con l’outcome è stata VEGF -1498 C/T. Nella stessa popolazione, la mediana della sopravvivenza libera da progressione (median Progression Free Survival, mPFS) e della sopravvivenza globale (median Overall Survival, mOS) dei pazienti portatori dei genotipi VEGF -1498 C/C, C/T e T/T sono risultate, rispettivamente 12.8, 10.5, 7.5 mesi (p=0.0046, log-rank test) e 27.3, 20.5, 18.6 mesi (p=0.038, log-rank test). I portatori del genotipo VEGF -1498 T/T presentavano una PFS significativamente peggiore ed un trend negativo in OS rispetto ai portatori di almeno un allele C (mPFS 7.5 versus 11.1 mesi, p=0.0027; mOS 18.6 versus 23.1 mesi, p=0.155). Diversamente, nel “gruppo controllo”, nessuna delle varianti alleliche del polimorfismo VEGF -1498 C/T ha mostrato alcuna relazione significativa né con la PFS (Progression Free Survival), né con OS (Overall Survival).
Il test d’interazione tra le varianti del polimorfismo VEGF -1498 C/T e l’effetto del trattamento suggerisce che la relazione del genotipo VEGF -1498 T/T con una PFS più breve possa essere ricondotta all’effetto del bevacizumab (p=0.018). Poiché il polimorfismo VEGF -1498 C/T sembra condizioni il beneficio derivante dalla terapia soltanto nel gruppo di pazienti trattati con bevacizumab, è possibile ipotizzare che questo rappresenti un fattore predittivo di efficacia dell’anti-angiogenico.
La natura esplorativa ed il disegno retrospettivo del presente studio, assieme all’assenza di randomizzazione nel confronto tra i pazienti trattati e non con bevacizumab, implicano la necessità di una conferma prospettica dei risultati.
È stato, quindi, condotto uno studio di tipo prospettico che valutasse il ruolo predittivo di efficacia di bevacizumab del polimorfismo VEGF -1498 C/T, in una popolazione di 265 pazienti con mCRC, in trattamento di prima linea con FOLFIRI e bevacizumab.
Ad oggi, si dispone di risultati preliminari, derivati da un’analisi condotta su 246 pazienti valutabili. La mPFS dei pazienti portatori del genotipo VEGF -1498 T/T (N=78) e dei portatori di almeno un allele C (N=168) è risultata, rispettivamente, di 10.1 e 10.9 mesi (HR=1.20, 95% CI 0.87-1.72, p=0.26). Non confermando prospetticamente una correlazione statistica significativa tra le varianti alleliche di VEGF -1498 C/T e la PFS, questo dato, seppur preliminare, decreta verosimilmente il fallimento del polimorfismo come fattore predittivo di efficacia da bevacizumab.
Lo sviluppo e la successiva introduzione nella pratica clinica di agenti ad azione anti-angiogenica hanno rivoluzionato la terapia di molte neoplasie solide, tra cui il carcinoma colorettale (Colorectal cancer, CRC). Ad oggi, l’unico farmaco anti-angiogenico registrato per il trattamento in prima e seconda linea di questa neoplasia in stadio metastatico, in associazione a chemioterapia a base di fluoropirimidine, è bevacizumab. Si tratta di un anticorpo monoclonale ricombinante umanizzato diretto contro Vascular Endothelial Growth Factor (VEGF), principale mediatore ad azione pro-angiogenica.
Studi clinici di fase III hanno dimostrato che l’associazione di bevacizumab a chemioterapici convenzionali, in prima linea di trattamento, migliora significativamente l’outcome di pazienti affetti da carcinoma colorettale metastatico (metastatic Colorectal cancer, mCRC), rispetto alla sola chemioterapia.
Attualmente, i pazienti da sottoporre a trattamento con bevacizumab sono selezionati esclusivamente in base a criteri clinici, legati alle tossicità del farmaco. Questo dato, assieme al fatto che appare evidente che non tutti i pazienti beneficiano del trattamento con l’anti-VEGF o comunque non in eguale misura, rende necessaria l’identificazione di biomarcatori predittivi di efficacia di bevacizumab. È ipotizzabile che, in questo modo, il beneficio derivato dall’anti-angiogenico possa essere ottimizzato da una più accurata selezione dei pazienti, consentendo, allo stesso tempo, un risparmio sulle tossicità e sui costi legati al trattamento.
Recenti studi hanno indicato come potenziali predittori di beneficio da bevacizumab polimorfismi germinali del gene VEGF, che codifica il target dell’anticorpo. Specifiche varianti alleliche del gene sono in grado di modularne l’espressione e verosimilmente condizionare, in modo indiretto, la risposta all’anti-VEGF. Esperienze condotte nell’ambito di diverse neoplasie in fase metastatica, compreso il CRC, hanno investigato il ruolo predittivo e prognostico di alcuni polimorfismi a singolo nucleotide (Single nucleotide Polymorphisms, SNPs) di VEGF su DNA genomico in pazienti trattati con bevacizumab. I risultati emersi, nel complesso piuttosto eterogenei, devono considerarsi non conclusivi e, quindi, non applicabili alla pratica clinica. Si tratta, infatti, di indagini condotte in modo retrospettivo e spesso carenti di un confronto con un gruppo di pazienti non trattati con bevacizumab. Inoltre, deve considerarsi che l’effetto di specifiche varianti geniche può essere variabile in patologie differenti, così come in relazione al trattamento chemioterapico somministrato insieme all’anti-VEGF.
Sulla base di queste premesse, al fine di superare le criticità metodologiche delle esperienze presenti in letteratura, è stato condotto uno studio esplorativo retrospettivo per valutare il ruolo di quattro polimorfismi di VEGF nel predire l’efficacia di bevacizumab, in pazienti con mCRC in terapia di prima linea con FOLFIRI (5FU, leucovorin e irinotecano) e bevacizumab (“gruppo bevacizumab”). I polimorfismi in studio erano localizzati due nella regione del promotore (-2578 C/A e -1498 C/T), uno nella 5’UTR (untraslated region) (+405 G/C) ed uno nella regione 3’UTR (+936 C/T). Allo scopo di stimare la possibile interazione tra l’effetto della terapia anti-VEGF ed i polimorfismi candidati, questi ultimi sono stati valutati anche in una popolazione di controllo (“gruppo controllo”), costituita da una coorte storica, trattata con sola chemioterapia FOLFIRI.
Di tutti le varianti alleliche del gene VEGF in studio, nella popolazione di pazienti trattati con bevacizumab, l’unica a risultare correlata significativamente con l’outcome è stata VEGF -1498 C/T. Nella stessa popolazione, la mediana della sopravvivenza libera da progressione (median Progression Free Survival, mPFS) e della sopravvivenza globale (median Overall Survival, mOS) dei pazienti portatori dei genotipi VEGF -1498 C/C, C/T e T/T sono risultate, rispettivamente 12.8, 10.5, 7.5 mesi (p=0.0046, log-rank test) e 27.3, 20.5, 18.6 mesi (p=0.038, log-rank test). I portatori del genotipo VEGF -1498 T/T presentavano una PFS significativamente peggiore ed un trend negativo in OS rispetto ai portatori di almeno un allele C (mPFS 7.5 versus 11.1 mesi, p=0.0027; mOS 18.6 versus 23.1 mesi, p=0.155). Diversamente, nel “gruppo controllo”, nessuna delle varianti alleliche del polimorfismo VEGF -1498 C/T ha mostrato alcuna relazione significativa né con la PFS (Progression Free Survival), né con OS (Overall Survival).
Il test d’interazione tra le varianti del polimorfismo VEGF -1498 C/T e l’effetto del trattamento suggerisce che la relazione del genotipo VEGF -1498 T/T con una PFS più breve possa essere ricondotta all’effetto del bevacizumab (p=0.018). Poiché il polimorfismo VEGF -1498 C/T sembra condizioni il beneficio derivante dalla terapia soltanto nel gruppo di pazienti trattati con bevacizumab, è possibile ipotizzare che questo rappresenti un fattore predittivo di efficacia dell’anti-angiogenico.
La natura esplorativa ed il disegno retrospettivo del presente studio, assieme all’assenza di randomizzazione nel confronto tra i pazienti trattati e non con bevacizumab, implicano la necessità di una conferma prospettica dei risultati.
È stato, quindi, condotto uno studio di tipo prospettico che valutasse il ruolo predittivo di efficacia di bevacizumab del polimorfismo VEGF -1498 C/T, in una popolazione di 265 pazienti con mCRC, in trattamento di prima linea con FOLFIRI e bevacizumab.
Ad oggi, si dispone di risultati preliminari, derivati da un’analisi condotta su 246 pazienti valutabili. La mPFS dei pazienti portatori del genotipo VEGF -1498 T/T (N=78) e dei portatori di almeno un allele C (N=168) è risultata, rispettivamente, di 10.1 e 10.9 mesi (HR=1.20, 95% CI 0.87-1.72, p=0.26). Non confermando prospetticamente una correlazione statistica significativa tra le varianti alleliche di VEGF -1498 C/T e la PFS, questo dato, seppur preliminare, decreta verosimilmente il fallimento del polimorfismo come fattore predittivo di efficacia da bevacizumab.
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