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Archivio digitale delle tesi discusse presso l’Università di Pisa

Tesi etd-09032023-211937


Tipo di tesi
Tesi di laurea magistrale LM6
Autore
BUTI, SIMONA
URN
etd-09032023-211937
Titolo
Valutazione della steatosi epatica in giovani donne con Sindrome dell'ovaio micropolicistico (PCOS)
Dipartimento
RICERCA TRASLAZIONALE E DELLE NUOVE TECNOLOGIE IN MEDICINA E CHIRURGIA
Corso di studi
MEDICINA E CHIRURGIA
Relatori
relatore Prof. Tonacchera, Massimo
Parole chiave
  • pcos
  • steatosi epatica
  • 17OHprogesterone
  • SHBG
Data inizio appello
26/09/2023
Consultabilità
Non consultabile
Data di rilascio
26/09/2093
Riassunto
La Sindrome dell’Ovaio Policistico (PCOS) è la più comune endocrinopatia delle donne in età fertile. Numerosi studi epidemiologici suggeriscono che la sua prevalenza sia del 5-10%, motivo per cui è considerata la principale causa di infertilità anovulatoria ed irsutismo. Le donne affette da PCOS, oltre ad avere alterazioni in ambito riproduttivo come infertilità, irregolarità mestruali e maggiore rischio di aborto, hanno anche un maggiore rischio di problemi metabolici e patologie cardiovascolari rispetto alla popolazione generale. La sindrome è infatti spesso accompagnata da obesità, dislipidemia ed insulino-resistenza, che può essere presente sia nelle donne con PCOS obese che non obese. Le pazienti possono inoltre presentare le manifestazioni cliniche dell’iperandrogenismo, quali irsutismo, alopecia androgenica ed acne.
Ad oggi non è stato ancora compreso il meccanismo fisiopatogenetico della sindrome: essa figura come un disordine eterogeneo ad eziologia multifattoriale, in cui giocano un ruolo importante la predisposizione genetica e la suscettibilità nei confronti di fattori di rischio ambientali. Le ipotesi patogenetiche proposte prevedono l’interazione di tre condizioni, le quali possono alimentarsi l’un l’altra: l’incremento dei valori plasmatici di LH, l’insulino resistenza e l’iperandrogenismo.
Proprio in virtù della sua eterogeneità, la PCOS è stata per anni una delle entità più controverse in ambito endocrino-ginecologico, per la quale sono stati proposti nel tempo diversi criteri diagnostici.
La diagnosi ad oggi viene posta prevalentemente secondo i criteri della Consensus Conference ESHRE-ASRM di Rotterdam del 2003, che prendono in considerazione tre parametri: l’iperandrogenismo clinico e/o biochimico, l’oligo-anovulazione e l’aspetto micropolicistico dell’ovaio all’ecografia. Per la diagnosi di PCOS è necessaria la presenza di almeno due di questi tre criteri.
Nelle donne con PCOS è stata riscontrata un’elevata prevalenza di steatosi epatica. La steatosi epatica non alcolica (NAFLD) è una malattia metabolica caratterizzata dall’accumulo di grasso nel fegato, in assenza di significativo consumo di alcol (non più di 20 g/die) e/o altre possibili cause di steatosi epatica (disturbi nutrizionali, droghe, epatiti virali o autoimmuni, malattia di Wilson, emocromatosi ecc). Comprende un ampio spettro di danni epatici, distinti sulla base delle caratteristiche istologiche: dalla semplice steatosi (NAFL), ovvero accumulo di grasso intraepatico, alla steatoepatite non alcolica (NASH), in cui è presente anche necro-infiammazione parenchimale epatica, fino all’evoluzione in fibrosi, cirrosi epatica e carcinoma epatocellulare (HCC).
La prevalenza stimata di NAFLD nella popolazione mondiale è di circa il 25%, mentre si avvicina al 75% in soggetti obesi, con dislipidemia o diabete mellito di tipo 2 al punto tale da essere riconosciuta come una manifestazione epatica della sindrome metabolica. Quando la steatosi epatica si associa ad almeno 1 fattore di rischio cardiometabolico si può parlare di MASLD (metabolic dysfunction-associated steatotic liver disease).
La maggior parte dei pazienti con NAFLD è asintomatica, pertanto, la diagnosi si basa sulla valutazione di laboratorio della funzionalità epatica e/o sugli studi di imaging del fegato, quali l’ecografia e, più recentemente, l’elastometria transitoria (TE) o Fibroscan ®, il quale stima steatosi e fibrosi epatica tramite la misura del parametro di attenuazione controllata (CAP) e della rigidità epatica (LSM). Queste tecniche, seppur non invasive, non possono sostituire del tutto la biopsia epatica, che rimane ancora il gold standard per la diagnosi e la stadiazione di fibrosi epatica.
La NAFLD ha una maggior prevalenza nelle donne affette da PCOS (40-51%) rispetto ai controlli non PCOS (35%). Tra i principali meccanismi coinvolti in quest’associazione vi sono l’obesità e l’insulino-resistenza: l’insulino-resistenza da un lato accelera la lipolisi a livello del tessuto adiposo, con conseguente aumento del flusso di acidi grassi liberi al fegato e il loro accumulo a tale livello, e dall’altro – assieme all’iperinsulinemia – stimola la sintesi epatica di acidi grassi liberi.
Anche l’iperandrogenismo è coinvolto nello sviluppo di NAFLD nelle donne con PCOS, sia agendo in modo diretto sul fegato, sia in modo indiretto modulando la sensibilità e secrezione di insulina e favorendo l’adiposità viscerale. L'insulino-resistenza a sua volta contribuisce all’iperandrogenismo, riducendo la produzione epatica di SHBG e aumentando quindi la biodisponibilità di testosterone.
Infine, sembra avere un ruolo la componente genetica. In particolare, i polimorfismi a singolo nucleotide (SNP) E167K del gene Transmembrane 6 Superfamily Member 2 (TM6SF2) e i polimorfismi I148M del gene Patatin-like Phospholipase-3 (PNPLA3) sono determinanti nel contenuto di grasso epatico, indipendentemente dall’adiposità viscerale e dall’insulino-resistenza, e nella progressione del danno epatico nella NAFLD (dalla steatoepatite alla fibrosi).
Lo scopo di questo lavoro è stato quello di valutare la frequenza di steatosi epatica, MASLD e/o fibrosi epatica nelle pazienti affette da PCOS, ricercando eventuali differenze nel profilo ormonale, lipidico e metabolico.
In questo studio sono state incluse 38 pazienti potenzialmente affette da PCOS, tutte reclutate presso l’Unità Operativa di Endocrinologia I dall’Azienda Ospedaliero Universitaria Pisana. La diagnosi di PCOS è stata posta seguendo i criteri diagnostici di Rotterdam (Diagnostic criteria of PCOS: ESHRE-ASRM 2003). Le pazienti sono state suddivise in base al BMI in normopeso (7/38), sovrappeso (7/38) ed obese (24/38) e in funzione dell’insulino-resistenza, sulla base dei criteri indicati dall’HOMA index, in insulino-resistenti (14) e non insulino-resistenti (19). Rapportando questi dati tra loro è emerso che le pazienti insulino-resistenti hanno un BMI significativamente più elevato rispetto alle pazienti non insulino-resistenti.
Abbiamo poi valutato la frequenza di steatosi epatica, MASLD e/o fibrosi epatica nelle pazienti affette da PCOS, ricercando eventuali differenze nel profilo ormonale e metabolico.
La steatosi epatica, identificata qualitativamente mediante ecografia, è stata riscontrata in 31/38 pazienti (81,6%) e la maggior parte delle pazienti (42,1%) presentava steatosi lieve.
La stessa valutazione effettuata mediante Coefficiente di Attenuazione Parenchimale (CAP) ha rivelato la presenza di steatosi nel 44,7% delle pazienti. Tale differenza rispetto a quanto visto tramite ecografia può essere attribuita, come riportato in letteratura, ad una minor sensibilità del CAP, soprattutto per steatosi di tipo lieve. In accordo con i dati presenti in letteratura, abbiamo riscontrato una prevalenza maggiore di steatosi epatica nelle pazienti con BMI più elevato, così come una maggiore gravità della steatosi.
Inoltre, delle 31 pazienti con steatosi epatica, la quasi totalità (90,3%) soddisfava la diagnosi di MASLD, perlopiù in virtù del BMI ≥ 25 kg/m2.
Abbiamo successivamente valutato parametri metabolici ed ormonali ed abbiamo osservato che le pazienti con CAP > 269 db/m avevano valori ematici di trigliceridi, transaminasi (GOT, GPT), glucosio e insulina significativamente più elevati e, viceversa, le pazienti con IR presentavano valori di CAP significativamente più elevati.
Questi risultati hanno ulteriormente confermato quanto l’insulino-resistenza svolga un ruolo cruciale nello sviluppo di NAFLD assieme all’obesità, la dislipidemia e l’iperandrogenismo.
Come riportato in letteratura, nel nostro studio abbiamo osservato nelle donne con PCOS una correlazione tra iperandrogenismo e steatosi epatica. In particolare, i valori di FAI (free androgen index) erano significativamente più elevati nelle pazienti con steatosi, soprattutto se moderata/grave, ed i livelli di SHBG erano significativamente più bassi. Alla base di tutto ciò vi è nuovamente l’insulino-resistenza: l'aumento dei livelli di insulina causa o contribuisce all'iperandrogenismo in vario modo, tra cui la stimolazione della produzione di androgeni ovarici e l’inibizione della produzione epatica di SHBG.
Tuttavia, diversamente da quanto atteso, dal nostro studio è emerso che l’associazione significativa tra steatosi epatica e SHBG si mantiene indipendentemente dall’insulino-resistenza. Questo risultato suggerisce quindi che, oltre all’insulino-resistenza, vi sia un altro meccanismo coinvolto nel legame diretto tra iperandrogenismo, funzionalità epatica e NAFLD.
Nella seconda parte dello studio abbiamo valutato la frequenza di fibrosi epatica nelle pazienti esaminate.
Dalla misura della rigidità epatica (LSM) mediante Fibroscan® è emerso che il 72,3% delle pazienti presentava valori > 5 kPa, indicativi di una ridotta elasticità epatica.
L’incremento della rigidità epatica, oltre che dalla fibrosi, può essere determinato dalla necroinfiammazione parenchimale, pertanto le pazienti affette da PCOS, trattandosi di donne in giovane età, potrebbero rappresentare una categoria con aumentato rischio evolutivo della malattia epatica e quindi meritevoli di un monitoraggio regolare e periodico.
Come per la steatosi epatica, abbiamo valutato se nella nostra popolazione vi fossero altrettante differenze nel profilo ormonale e metabolico in funzione del valore di rigidità epatica (LSM) misurata con Fibroscan®.
A differenza di quanto osservato per i valori di CAP, non abbiamo invece riscontrato differenze significative nei valori di rigidità epatica in funzione delle transaminasi (GOT e GPT) e dell’insulino-resistenza.
Dal confronto con gli androgeni e altri ormoni, è invece emerso un dato interessante, ovvero che i livelli di 17OH-progesterone erano significativamente più bassi nelle pazienti con maggior danno epatico, ossia con LSM > 5kPa. Tale associazione non è ben chiara ed apparentemente in contrasto con l’unico studio presente in letteratura, su modello murino, in cui è emersa una correlazione tra danno epatico ed alti livelli di 17OH-progesterone.
In ultima analisi, abbiamo ricercato eventuali polimorfismi dei geni PNPLA3 e TM6SF2, i quali possono contribuire all’accumulo di grasso a livello epatico nonché alla progressione del danno epatico stesso fino alla fibrosi. Dai risultati genetici di 26 pazienti è emerso che tutte presentavano il genotipo CC del polimorfismo rs58542926 del gene TM6SF2; in merito al gene PNPLA3, la maggior parte (88,5%) delle pazienti testate presentava genotipo CC o CG del polimorfismo rs738409 ed il restante 11,5% (3/26) presentava il genotipo GG. Secondo quanto riportato in letteratura, i soggetti con genotipo GG – rispetto a quelli con allele wild-type (CC/CG) – presentano malattia più aggressiva e fibrosi epatica in stadio più avanzato. Tuttavia non è stato possibile né confermare né contraddire quanto detto a causa dell’esiguità del campione.
Nel complesso, i risultati di questo studio indicano che nelle pazienti con PCOS vi è un’aumentata prevalenza di steatosi epatica non alcolica, imputabile prevalentemente alla presenza di obesità, insulino-resistenza e dislipidemia.
Dal nostro studio è emersa anche una correlazione tra steatosi epatica e iperandrogenismo, in particolar modo con FAI e SHBG, correlata a sua volta all’insulino-resistenza. I ridotti livelli di SHBG, tuttavia, si mantengono tali indipendentemente dall’insulino-resistenza, facendo supporre che vi sia un altro meccanismo implicato nel legame tra iperandrogenismo e funzionalità epatica.
Tali differenze non sono state invece osservate in funzione della rigidità epatica misurata mediante Fibroscan®, mentre abbiamo riscontrato livelli di 17OH-progesterone significativamente più bassi per valori > 5kPa.
Quest’ultima associazione non è ben chiara e, poiché il limite maggiore del nostro studio è rappresentato dalla ridotta dimensione del campione, saranno necessari ulteriori studi per poter meglio definire il ruolo del 17OHprogesterone nella patogenesi della malattia metabolica epatica.
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