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Archivio digitale delle tesi discusse presso l’Università di Pisa

Tesi etd-09032020-154528


Tipo di tesi
Tesi di laurea magistrale LM5
Autore
TARASCONE, GIUSEPPE
URN
etd-09032020-154528
Titolo
L' EMBLEMA DELLA REPUBBLICA ITALIANA: STORIA IGNORATA D'UN PATRIMONIO SENZA TEMPO
Dipartimento
GIURISPRUDENZA
Corso di studi
GIURISPRUDENZA
Relatori
relatore Prof. Conti, Gian Luca
Parole chiave
  • aquila bicipite
  • cinta turrita
  • costituzione
  • crisi
  • diritto del lavoro
  • emblema
  • Federazione russa
  • Italia
  • Paschetto
  • principi costituzionali
  • Repubblica italiana
  • simbolo di stato
  • stella d'Italia
  • stemma
  • valori costituzionali
Data inizio appello
20/10/2020
Consultabilità
Tesi non consultabile
Riassunto
A (più o meno) ventiquattro ore dall' ufficialità dei risultati elettorali più importanti della storia italiana, l' allora capo provvisorio dello Stato - Alcide de Gasperi -, per tramite del primo atto normativo di stampo repubblicano (d.lgs. pres. n. 1 del 19 giugno 1946), diede avvio al percorso di elaborazione e approvazione dell' emblema della neonata Repubblica, al fine di dotarla d' un simbolo coerente col nuovo corso, spendibile sia sul palcoscenico internazionale che nei farraginosi affari dominanti l' ambito strettamente burocratico.
Nonostante l' apprezzabile urgenza di portare a conclusione, rapidamente e felicemente, la vicenda a causa del persistente, inopportuno quanto, in parte, inevitabile utilizzo di stampigliature di matrice regia e fascista - si pervenne perfino all' ammonimento e conseguente imbarazzo diplomatico! -, il secondo passaggio non si eseguì prima del 27 ottobre, quando venne nominata la commissione competente. Presieduta da Ivanoe Bonomi e contrassegnata dalla presenza di autorevoli rappresentati del panorama artistico nazionale, confidando - ciecamente - nel genio interpretativo dei partecipanti, bandì giorno 8 Novembre un concorso a premi, lasciandoli praticamente liberi di figurare la loro idea di giovane Italia.
I bozzetti pervenuti - 637 da 341 concorrenti - raffigurarono, al contempo, un profondo e gelido buco nell' acqua, da cui i commissari furono risoluti a non venirne fagocitati. In seguito a un prima, imponente sfoltita, 5 finalisti vennero selezionati per essere letteralmente guidati - quella volta si! - alla realizzazione di un disegno apprezzato; ma come? A tal proposito, nei primi giorni di Dicembre, venne organizzata una doppia spedizione agli archivi statali, alla ricerca della simbologia di quei popoli europei costretti - per questo e per quello - a rinnovarne il vestiario, nella speranza di poter esser colti, un po' come San Paolo, dall'ispirazione illuminante.
La commissione ne uscì integra e persuasa dall' idea che un simbolo, per essere veramente tale, dovesse naturalmente emergere dalla storia della collettività rappresentata. Sicché, eleggendo la cinta turrita a elemento di sintesi della civiltà italiana, e assegnando minuziose e vincolanti indicazioni per la realizzazione della stessa, diede ai finalisti un nuovo appuntamento per l'inizio dell' anno entrante.
Da quell' ultima sfornata venne scelto il prototipo eseguito da Paolo Paschetto, pittore e incisore valdese operante da diverso tempo sulla scena romana che, trattenuto per correzioni e modifiche dell'ultimo minuto, poté disimpegnarsi soltanto il 24 febbraio, giorno in cui venne approvata ufficialmente, dalla commissione, anche la versione definitiva del bozzetto a colori.
Dopo quasi due mesi si sopraggiunse allo snodo, tanto insidioso quanto auspicato, e dai commissari e dallo stesso autore, della presentazione al pubblico, avvenuta in una mostra - nella quale fu esposto il complesso dei bozzetti finalisti - allestita presso la sede romana dell' illustre Associazione Artistica Internazionale. Quei pochi giornalisti che si degnarono di assistervi, non furono certo magnanimi nei loro articoli a commento dell' opera vincitrice mentre i politici, a eccezione delle sincere e preoccupate attenzioni - poste nero su bianco in una lettera indirizzata a De Gasperi - del presidente della Costituente - Umberto Terracini - si mostravano come fossero addirittura all' oscuro dell' intera vicenda.
A dir il vero, almeno a disposizione dei loro occhi, i riflettori continuarono a esser puntati sulla cinta turrita di Paschetto, posta in pianta stabile in una sala - frequentata! - di Montecitorio; purtroppo, non meno vero, fu come non vi fosse mai entrata.
I tanti e silenziosi giorni trascorsi ci accompagnano sin dentro alla seduta del 18 Gennaio della Costituente, dove Terracini, giocando di sponda con le più che manifeste perplessità dell' assemblea - verosimilmente sazia e fiera per la recente entrata in vigore della loro creatura (offerta per noi e per tutti) -, ottenne una delega alla nomina di una seconda commissione (interamente politica), la quale, in un battibaleno, non esitò a fiondarsi in un ulteriore concorso pubblico. Ancor più deludente del precedente, ineluttabilmente per via delle tempistiche limitanti, indusse i nuovi commissari a virare ancora un volta sull' estro (poco spontaneo) di Paschetto, la cui "stella dentata" riuscì a strappare sul gong, nella seduta del 31 gennaio - che, in questa sezione di elaborato, mi limito a definire scoppiettante -, un' insperata approvazione.
Le debordanti critiche giornalistiche dell' indomani cedettero repentinamente il passo all' indifferenza che, attraversando solidamente la tappa dell' approvazione definitiva del 5 maggio - d. lgs. n. 535/1948 - si arenò stabilmente in disaffezione ultradecennale. Ragion per cui, col vento in poppa dei festeggiamenti per il quarantennale repubblicano, il governo Craxi si catapultò in un terzo, spavaldo concorso per l' innovazione dell'emblema, che, con una semplicissima ricerca o ponendo un poco d' attenzione intorno a voi, comprenderete esser andato - ancora una volta - non propriamente bene.
Sebbene dalla fama - lei si, specialmente oggi, assolutamente da processare - condannato all' ergastolo della quasi invisibilità, l'emblema ha, sin dai primissimi respiri, palesato nel tratto e accudito nel cuore i principi identitari della nostra Repubblica, così da poter, senza timore, essere battezzato come (eccentrica) norma grafica di rango costituzionale. Tuttavia, asciugato il viso dagli schizzi del sacramento, si rimane chiaramente abbagliati dalla sua assenza nel privè dei simboli nazionali, mancando, benché strattonato da possenti alibi, la stessa ragione d' essere. Per cui, quella covata da questo fiume di parole convoglia spontaneamente nell' indagare sull'esistenza di qualcosa di altrettanto potente da strapparlo al buio angolino dell' anonimato per condurlo, da rigenerato simbolo d'appartenenza, sotto le (meritate) luci della ribalta.
É nell' urlo emesso dalla Storia - la medesima che, nell' esplorativa parentesi sull' emblema della Federazione Russa, sostenendolo fedelmente fino al coronamento della previsione costituzionale, vi si è poi unita e infine fusa -, estrema preghiera d' urgente e globale ripensamento al modello sociale, sconquassato dalle crisi d' inizio millennio, che è intercettabile la maturità dei tempi atta a far germogliare un nuovo emblema. Dove l'innovazione grafica, puntualizzando il ruolo fondamentale del ritratto costituzionale - oggi imprescindibilmente da sviluppare - del principio lavorista, possa donare allo stesso affinità col sentire sociale e, non da ultimo, ribadire l' invalicabilità dei confini illuminati dagli essenziali valori animanti la carta costituzionale. Da ammirare, come le stelle.
Ammesso che il mondo fuori dalla finestra non via stia del tutto convincendo.
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