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Archivio digitale delle tesi discusse presso l’Università di Pisa

Tesi etd-09012023-130301


Tipo di tesi
Tesi di laurea magistrale LM6
Autore
LANDI, FILIPPO
URN
etd-09012023-130301
Titolo
Trattamento con lenvatinib in pazienti con carcinoma tiroideo avanzato: impatto del dosaggio e delle interruzioni del farmaco sulla sopravvivenza libera da progressione di malattia
Dipartimento
RICERCA TRASLAZIONALE E DELLE NUOVE TECNOLOGIE IN MEDICINA E CHIRURGIA
Corso di studi
MEDICINA E CHIRURGIA
Relatori
relatore Elisei, Rossella
Parole chiave
  • carcinoma tiroideo avanzato
  • lenvatinib
  • progressione libera da malattia
Data inizio appello
26/09/2023
Consultabilità
Non consultabile
Data di rilascio
26/09/2093
Riassunto
Introduzione: Il carcinoma tiroideo differenziato (CDT) ha un’ottima prognosi con un tasso di sopravvivenza a 5 anni del 98%. Tuttavia, il 5-10% dei pazienti con CDT sviluppa metastasi a distanza ed in questi casi la sopravvivenza a 10 anni si riduce al 50%.
La prognosi peggiora ulteriormente quando la patologia neoplastica metastatica diventa refrattaria alla terapia radiometabolica con 131I con una sopravvivenza a 10 anni del 10% circa.
Sebbene la maggior parte dei tumori radioiodio-refrattari abbia una lenta progressione, esiste un sottogruppo di pazienti in cui la malattia progredisce rapidamente. In questi casi, soprattutto se la progressione di malattia riguarda multiple lesioni, la crescita metastatica è rapida e i trattamenti locali sono stati esclusi/inefficaci, si può prendere in considerazione la terapia sistemica con gli inibitori delle tirosin-chinasi (TKI).
Attualmente, tra i TKI, il farmaco di prima linea è rappresentato dal Lenvatinib, la cui efficacia è stata dimostrata dallo studio di fase III, SELECT. Sebbene le attuali indicazioni sull’utilizzo di questo TKI prevedano di iniziare il trattamento al dosaggio massimo di 24 mg/die, il clinico, tenendo conto delle caratteristiche cliniche e patologiche del paziente, ha la possibilità di iniziare il lenvatinib a dosaggio ridotto.
La scelta di utilizzare dosaggi di lenvatinib inferiori a 24 mg/die dipende dal non trascurabile numero di eventi avversi legati al trattamento stesso la cui insorgenza porterebbe alla necessità di ridurre/interrompere il farmaco. Un prolungato periodo di riduzioni/sospensioni del lenvatinib porterebbe a sua volta ad una progressione della malattia neoplastica condizionando pertanto l’outcome finale del paziente.

Scopo dello studio: L’obiettivo del presente studio è stato quello di descrivere in un gruppo di pazienti con CDT, avanzato, iodorefrattario e in progressione, la posologia e le sospensioni temporanee del Lenvatinib nel corso del follow-up.
Siamo inoltre andati a valutare se 1) la dose iniziale del farmaco poteva influenzare la sopravvivenza libera da progressione di malattia (PFS) 2) la differenza della PFS in base alla posologia di lenvatinib utilizzata nei primi 3 mesi di trattamento e 3) l’impatto sulla PFS della differente durata della sospensione temporanea del lenvatinib nei primi 3 mesi.
Pazienti e metodi: Sono stati raccolti retrospettivamente i dati clinici e patologici di 160 pazienti afferiti presso il Dipartimento di Endocrinologia di Pisa che hanno intrapreso il trattamento con Lenvatinib, tra il febbraio 2012 e il 30 giugno 2022.
Abbiamo inizialmente suddiviso i pazienti in base al dosaggio iniziale del farmaco in gruppo A (gruppo che ha iniziato con dosaggio alto: 24, 20 e 18 mg) e un gruppo B (gruppo che ha iniziato con dosaggio basso: 14, 10 ,8, 4 mg).
Il campione è stato poi suddiviso in 3 gruppi in base al dosaggio effettuato nei primi 3 mesi: gruppo A dose alta ≥3 mesi (comprende i pazienti che hanno iniziato con un dosaggio alto e lo hanno mantenuto per i primi tre mesi), gruppo A dose alta < 3 mesi (comprendeva i pazienti che hanno iniziato con un dosaggio alto ma che, a causa degli effetti avversi, hanno dovuto abbassare il dosaggio) e gruppo dose bassa (comprendeva i pazienti che hanno iniziato con un dosaggio minore o uguale a 14 mg).
Infine, il gruppo di studio è stato suddiviso in due ulteriori sottogruppi in base alla percentuale di sospensione temporanea del farmaco nei primi tre mesi: un gruppo con sospensione ≥ 10% e un gruppo con sospensione temporanea <10%.

Risultati: Il gruppo A comprendeva 116/160 pazienti (72.5%) mentre il gruppo B 44/160 pazienti (27.5%). Nel gruppo A i pazienti avevano un’età media all’inizio del farmaco pari a 64.08±9.55 anni, mentre nel gruppo B l’età media all’inizio del farmaco era 69.55±10.19 anni (p=0.0018). Non vi erano differenze significative per quanto riguarda il sesso nei due gruppi (p=0.59). Non vi era una differenza significativa della PFS tra il gruppo A e il gruppo B (17.2±18.9 mesi vs 13.4±10.9 mesi, rispettivamente; p=0.3).
Del gruppo A, 89/116 pazienti (77%) durante il trattamento passava da un dosaggio alto a un dosaggio basso dopo un tempo di 4.5±6.3 mesi (mediana: 3 mesi; intervallo 0,1-55 mesi). Pertanto, considerando il dosaggio assunto nei primi 3 mesi, 49/160 pazienti (30.6%) appartenevano al gruppo A dose alta <3mesi, 68/160 pazienti (42.5%) gruppo A dose alta ≥3 mesi e 43/160 pazienti (26.9%) gruppo B dose bassa. La PFS migliore risultava essere nel gruppo dose alta ≥3 mesi [p=0.007; HR dose alta < 3 mesi rispetto a dose alta ≥ a 3 mesi: 2.39; 95% CI 1.38-4.16; p=0.07; HR dose bassa: 1.67; 95% CI 0.96-2.9; p=0.002].
Nel gruppo dose alta <3 mesi, si registrava una maggiore durata delle sospensioni: il numero medio di giorni di sospensione era pari a 9.3±13.0 nel gruppo A dose alta < 3 mesi, 2.4±7 giorni nel gruppo A dose alta ≥ 3 mesi e 3.1±8.6 giorni nel gruppo B dose bassa (p=0.0001).
Infine, nei primi tre mesi la percentuale di sospensione del lenvatinib nei primi 3 mesi risultava essere ≥10% in 28/160 pazienti (17.5%) e <10% in 132/160 pazienti (82.5%), ma non vi era una differenza statisticamente significative nei due gruppi riguardo la PFS (p=0.052).

Conclusioni: il presente studio dimostra che: a) la dose iniziale del lenvatinib non modifica in modo statisticamente significativo la PFS; b) la PFS risulta comunque migliore nei pazienti che assumono il farmaco a dose alta e in particolare se mantengono tale dosaggio per un periodo di almeno 3 mesi e, qualora sospendano il farmaco, la durata della sospensione è non superiore alla settimana; c) la PFS dei pazienti che iniziano con dose bassa e riescono a mantenerla per almeno 3 mesi è migliore di quella dei pazienti che iniziano con dose alta ma devono ridurla durante i primi tre mesi, questo gruppo tra l’altro sospende generalmente per periodi non superiori ad una settimana.
Tale dato conferma l’importanza di trattare il paziente in modo personalizzato e possibilmente “continuativo” e, qualora si sospetti un’eccessiva fragilità del paziente è opportuno iniziare il TKI con basse dosi in quanto tali dosaggi sembrerebbero richiedere meno interruzioni e favorire quindi una migliore PFS.
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