Tesi etd-08272020-130439 |
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Tipo di tesi
Tesi di laurea magistrale LM6
Autore
MEOSSI, SOFIA
URN
etd-08272020-130439
Titolo
Donazione di organi in morte cardiocircolatoria: l'esperienza dell'Azienda Ospedaliero-Universitaria Pisana
Dipartimento
RICERCA TRASLAZIONALE E DELLE NUOVE TECNOLOGIE IN MEDICINA E CHIRURGIA
Corso di studi
MEDICINA E CHIRURGIA
Relatori
relatore Prof. Forfori, Francesco
correlatore Dott. Maremmani, Paolo
correlatore Dott. Maremmani, Paolo
Parole chiave
- donazione in morte cardiocircolatoria
- no-touch period
- tempo di ischemia calda
- trapianto di organi
Data inizio appello
14/09/2020
Consultabilità
Non consultabile
Data di rilascio
14/09/2060
Riassunto
I trapianti costituiscono un trattamento efficace per un grande numero di pazienti con gravi insufficienze d’organo e talvolta rappresentano l’unica soluzione terapeutica possibile; tuttavia, la scarsità di organi e di tessuti da cadavere continua ad essere l’ostacolo principale per un totale sviluppo del trapianto e costituisce la barriera principale per poter generalizzare questa terapia.
La donazione di organi può provenire da due tipi fondamentali di donatori: donatore vivente e donatore cadavere; i donatori cadavere, in base alle cause di morte e alla situazione in cui essa avviene, si distinguono in donatori in morte encefalica (DBD: Donor after Brain Death) e donatori in morte cardiocircolatoria (DCD: Donor after Cardiocirculatory Death), a seconda che la morte sia diagnosticata e certificata rispettivamente con criteri neurologici o con criteri cardiaci.
Lo sviluppo del trapianto nel mondo si è concentrata per lungo tempo sui donatori in morte encefalica per i minori ostacoli tecnici e minor tempo di ischemia calda, risultante in una migliore qualità degli organi; tuttavia, la scarsità di organi per il trapianto e i risultati sempre più promettenti ottenuti dai gruppi che hanno continuato a lavorare sulla donazione in morte cardiocircolatoria, hanno fatto sì che si rinnovasse l’interesse per il trapianto da DCD.
Secondo i dati dell’Osservatorio Globale di Donazione e Trapianto, l’attività di donazione da DCD nel mondo è cresciuta negli ultimi anni andando a costituire dall’1% dei trapianti da donatore cadavere nel 2000 al 23% nel 2018 ed è documentato da molti lavori scientifici che la qualità degli organi prelevati da donatori in morte cardiocircolatoria è oggi equivalente a quella degli organi prelevati da donatori in morte encefalica.
Per anni in Italia si è ritenuto impraticabile il prelievo di organi da DCD a causa del tempo di 20 minuti di elettrocardiogramma piatto previsto dalla legge per l’accertamento della morte per arresto cardiaco, ma nessun ostacolo giuridico in realtà si oppone a tale attività, rientrando essa a pieno titolo nell’ambito del prelievo di organi e tessuti previsto dalla legislazione italiana. Dal 2008, con l’elaborazione del “Codice Alba”, è stata introdotta in Italia la pratica della donazione in morte cardiocircolatoria che attualmente costituisce il 5% dell’attività di trapianto da donatore cadavere.
Dal maggio 2019 ad oggi nell’Azienda Ospedaliero-Universitaria Pisana sono stati condotti i primi cinque tentativi di donazione in morte cardiocircolatoria, che sono descritti e analizzati nell’elaborato di tesi. Purtroppo nessuno di questi primi casi di DCD è arrivato alla fase del trapianto di organi solidi, talvolta per un rischio inaccettabile dovuto a una malattia di base del donatore, talvolta perché, a seguito del prelievo, gli organi si sono rivelati non idonei in base ai risultati della biopsia morfofunzionale o ai risultati della perfusione ex vivo.
Indubbiamente in Italia i 20 minuti di “no-touch period”, ovvero il periodo di tempo da attendere dopo la sospensione della ventilazione artificiale e/o del massaggio cardiaco, prima di iniziare le attività finalizzate al prelievo, rappresentano un grande problema in termini di ischemia calda e danno degli organi. Sarebbe appropriato riconsiderare questo intervallo di tempo nella legislazione italiana in quanto non è supportato da solide basi scientifiche; infatti in tutta la letteratura sono descritti solo nove casi di ripresa spontanea della circolazione (“autoresuscitation”) dopo 5 minuti dall’interruzione delle manovre rianimatorie per arresto cardio-circolatorio. Ciononostante allo stato attuale è strettamente necessario rispettare tale periodo di tempo e utilizzare tutti gli strumenti a disposizione per preservare la funzione degli organi nonostante l’ischemia calda.
Lo sviluppo della donazione in morte cardiocircolatoria in Italia presenta anche ostacoli di tipo culturale che rendono difficoltoso lo sviluppo dei programmi di trapianto da DCD; infatti questo tipo di donazione si associa a diverse questioni etiche, come l’accompagnamento al fine-vita in Terapia Intensiva, la definizione della morte e il consenso informato del donatore, che sono discusse nell’elaborato di tesi.
In Italia la maggior parte dei donatori multiorgano sono pazienti con danno cerebrale catastrofico la cui morte viene accertata e certificata con criteri cerebrali, ma recenti dati sostengono che in Terapia Intensiva sono in percentuale molto maggiori le morti diagnosticate con criteri cardiaci (circa il 60% contro il 40% delle morti cerebrali). L’implementazione dei programmi di DCD in Italia potrebbe quindi aumentare notevolmente il numero di potenziali donatori e questo non significherebbe una diminuzione delle donazioni da DBD, come è stato osservato nei paesi in cui la donazione da DCD ha avuto un grande sviluppo; i programmi di donazione da DCD e da DBD devono essere infatti complementari.
Come sostenuto da Manara e al., la descrizione dei primi casi di DCD può essere un’opportunità per imparare dagli errori e per migliorare i programmi di DCD, facendo discutere a livello locale delle varie questioni che possono sorgere.
La descrizione dei primi casi di donazione in morte cardiocircolatoria dell’Azienda Ospedaliero-Universitaria Pisana potrebbe essere quindi importante per compiere un passo in avanti nella discussione locale sul tema dei DCD e dovrebbe inoltre stimolare il dibattito sulla necessità di accorciare il no-touch period di 20 minuti attualmente presente in Italia. Tutto ciò potrebbe implementare la donazione da DCD, determinando un aumento del pool di organi qualitativamente adatti al trapianto e, di conseguenza, una riduzione del tempo in lista di attesa e del tasso di mortalità in lista, con il fine ultimo di salvare un più alto numero di vite e migliorare la qualità di vita a un numero maggiore di pazienti.
La donazione di organi può provenire da due tipi fondamentali di donatori: donatore vivente e donatore cadavere; i donatori cadavere, in base alle cause di morte e alla situazione in cui essa avviene, si distinguono in donatori in morte encefalica (DBD: Donor after Brain Death) e donatori in morte cardiocircolatoria (DCD: Donor after Cardiocirculatory Death), a seconda che la morte sia diagnosticata e certificata rispettivamente con criteri neurologici o con criteri cardiaci.
Lo sviluppo del trapianto nel mondo si è concentrata per lungo tempo sui donatori in morte encefalica per i minori ostacoli tecnici e minor tempo di ischemia calda, risultante in una migliore qualità degli organi; tuttavia, la scarsità di organi per il trapianto e i risultati sempre più promettenti ottenuti dai gruppi che hanno continuato a lavorare sulla donazione in morte cardiocircolatoria, hanno fatto sì che si rinnovasse l’interesse per il trapianto da DCD.
Secondo i dati dell’Osservatorio Globale di Donazione e Trapianto, l’attività di donazione da DCD nel mondo è cresciuta negli ultimi anni andando a costituire dall’1% dei trapianti da donatore cadavere nel 2000 al 23% nel 2018 ed è documentato da molti lavori scientifici che la qualità degli organi prelevati da donatori in morte cardiocircolatoria è oggi equivalente a quella degli organi prelevati da donatori in morte encefalica.
Per anni in Italia si è ritenuto impraticabile il prelievo di organi da DCD a causa del tempo di 20 minuti di elettrocardiogramma piatto previsto dalla legge per l’accertamento della morte per arresto cardiaco, ma nessun ostacolo giuridico in realtà si oppone a tale attività, rientrando essa a pieno titolo nell’ambito del prelievo di organi e tessuti previsto dalla legislazione italiana. Dal 2008, con l’elaborazione del “Codice Alba”, è stata introdotta in Italia la pratica della donazione in morte cardiocircolatoria che attualmente costituisce il 5% dell’attività di trapianto da donatore cadavere.
Dal maggio 2019 ad oggi nell’Azienda Ospedaliero-Universitaria Pisana sono stati condotti i primi cinque tentativi di donazione in morte cardiocircolatoria, che sono descritti e analizzati nell’elaborato di tesi. Purtroppo nessuno di questi primi casi di DCD è arrivato alla fase del trapianto di organi solidi, talvolta per un rischio inaccettabile dovuto a una malattia di base del donatore, talvolta perché, a seguito del prelievo, gli organi si sono rivelati non idonei in base ai risultati della biopsia morfofunzionale o ai risultati della perfusione ex vivo.
Indubbiamente in Italia i 20 minuti di “no-touch period”, ovvero il periodo di tempo da attendere dopo la sospensione della ventilazione artificiale e/o del massaggio cardiaco, prima di iniziare le attività finalizzate al prelievo, rappresentano un grande problema in termini di ischemia calda e danno degli organi. Sarebbe appropriato riconsiderare questo intervallo di tempo nella legislazione italiana in quanto non è supportato da solide basi scientifiche; infatti in tutta la letteratura sono descritti solo nove casi di ripresa spontanea della circolazione (“autoresuscitation”) dopo 5 minuti dall’interruzione delle manovre rianimatorie per arresto cardio-circolatorio. Ciononostante allo stato attuale è strettamente necessario rispettare tale periodo di tempo e utilizzare tutti gli strumenti a disposizione per preservare la funzione degli organi nonostante l’ischemia calda.
Lo sviluppo della donazione in morte cardiocircolatoria in Italia presenta anche ostacoli di tipo culturale che rendono difficoltoso lo sviluppo dei programmi di trapianto da DCD; infatti questo tipo di donazione si associa a diverse questioni etiche, come l’accompagnamento al fine-vita in Terapia Intensiva, la definizione della morte e il consenso informato del donatore, che sono discusse nell’elaborato di tesi.
In Italia la maggior parte dei donatori multiorgano sono pazienti con danno cerebrale catastrofico la cui morte viene accertata e certificata con criteri cerebrali, ma recenti dati sostengono che in Terapia Intensiva sono in percentuale molto maggiori le morti diagnosticate con criteri cardiaci (circa il 60% contro il 40% delle morti cerebrali). L’implementazione dei programmi di DCD in Italia potrebbe quindi aumentare notevolmente il numero di potenziali donatori e questo non significherebbe una diminuzione delle donazioni da DBD, come è stato osservato nei paesi in cui la donazione da DCD ha avuto un grande sviluppo; i programmi di donazione da DCD e da DBD devono essere infatti complementari.
Come sostenuto da Manara e al., la descrizione dei primi casi di DCD può essere un’opportunità per imparare dagli errori e per migliorare i programmi di DCD, facendo discutere a livello locale delle varie questioni che possono sorgere.
La descrizione dei primi casi di donazione in morte cardiocircolatoria dell’Azienda Ospedaliero-Universitaria Pisana potrebbe essere quindi importante per compiere un passo in avanti nella discussione locale sul tema dei DCD e dovrebbe inoltre stimolare il dibattito sulla necessità di accorciare il no-touch period di 20 minuti attualmente presente in Italia. Tutto ciò potrebbe implementare la donazione da DCD, determinando un aumento del pool di organi qualitativamente adatti al trapianto e, di conseguenza, una riduzione del tempo in lista di attesa e del tasso di mortalità in lista, con il fine ultimo di salvare un più alto numero di vite e migliorare la qualità di vita a un numero maggiore di pazienti.
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