Tesi etd-08222012-120125 |
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Tipo di tesi
Tesi di laurea vecchio ordinamento
Autore
ANCILLOTTI, MIRKO
URN
etd-08222012-120125
Titolo
John Harris: un approccio razionale in bioetica
Dipartimento
LETTERE E FILOSOFIA
Corso di studi
FILOSOFIA
Relatori
relatore Prof. Bartolommei, Sergio
Parole chiave
- biopotenziamento
- clonazione
- enhancement
- John Harris
Data inizio appello
17/09/2012
Consultabilità
Completa
Riassunto
Un pericolo intrinseco alla bioetica, quale campo interdisciplinare in cui convergono gli apporti di vari ambiti del sapere, e come luogo ideale in cui vengono dibattuti argomenti che per lo più sono parte dell’esperire comune, è quello della banalizzazione, della mancanza di rigore argomentativo.
Spesso viene sottolineato che le questioni poste dalle nuove frontiere dello sviluppo medico-biologico, la rivoluzione tecnologica e, più in generale, il cammino della scienza, hanno preso un passo accelerato che, per la riflessione umana, è difficile riuscire a tenere sia a livello etico che politico.
Dato il carattere invasivo della tecnologia, si può notare che la bioetica riguarda oggi non soltanto casi particolari, in genere eclatanti, ma sempre più la vita quotidiana di tutti i componenti della società. A tutti capita cioè di discutere di queste tematiche.
Quale che sia la questione bioetica posta, per quanto nuova, ad un ipotetico interlocutore, questi sarà probabilmente capace di esprimere un’opinione in tempi piuttosto brevi, di ‘dire la propria’. Lo stesso risultato non verrebbe probabilmente ottenuto se la questione posta riguardasse il concetto di società aperta di Karl Popper. In quest’ultimo caso sia l’uomo comune che l’accademico avrebbero quanto meno bisogno di raccogliere i pensieri.
Questo per dire che spesso si risponde in merito alle problematiche sollevate nell'ambito della bioetica in modo intuitivo, salvo rendersi conto che, il più delle volte, non vi sono delle vere e proprie argomentazioni con cui spiegare le proprie preferenze. Non staremmo qui a parlare di alcun problema, se questo fosse l’atteggiamento assunto solo dal cosiddetto uomo della strada, l’uomo alle cui parole ed azioni non si possono collegare direttamente delle conseguenze importanti per la comunità, l’uomo che, in ogni caso, né per ruolo né per mestiere, è tenuto ad assicurarsi che le proprie posizioni sugli argomenti bioetici riflettano coerenza e razionalità.
Le parole e le azioni di coloro che animano il dibattito bioetico, dei protagonisti delle biotecnologie e dei legislatori, non dovrebbero mai essere figlie di aprioristiche prese di posizione piuttosto che di ragionamenti ponderati, perché hanno un peso specifico maggiore. La loro superficialità può provocare danni.
Al fine di evitare tale banalizzazione si devono tenere in considerazione gli aspetti salienti che dovrebbero costituire gli ingredienti essenziali di qualsiasi dibattito critico: l’argomentazione, ossia il poter sostenere una tesi essendo in grado di darne conto in modo autonomo, e la coerenza, da intendersi sia in riferimento ai principi che vengono adottati come base per la dialettica argomentativa, sia al significato che attribuiamo ai concetti e alle parole utilizzate. Se tenuti in considerazione fino in fondo, questi due criteri permettono di evitare atteggiamenti incoerenti e dogmatici.
Riteniamo che le varie posizioni che animano il dibattito bioetico non soddisfino sempre i criteri di razionalità e coerenza che sarebbe opportuno aspettarsi. Ciò di cui si discute in bioetica sono argomenti di cui tutti facciamo esperienza, vi sono coinvolte esperienze fondamentali della vita di tutte le persone, ed il carico emotivo e potenzialmente pregiudiziale è forte. La domanda che riteniamo dovrebbe guidare le riflessioni di chi vi partecipa è: cosa è giusto fare?
Lo scopo di questa tesi è anzitutto quello di mostrare che un approccio esclusivamente razionale alle grandi questioni biotiche, oltre che ai concetti morali di base, rappresenta una strada praticabile.
Il motivo per cui si ritiene che la razionalità debba essere l’elemento fondante al fine di proporre e difendere le proprie visioni in questo campo è che questa è una delle poche garanzie che abbiamo che il nostro agire sia corretto, che la nostra risposta alla domanda sull’agire giusto sia congrua.
Quando si parla di aborto, eutanasia o clonazione gli animi si accendono, e le discussioni non sono limitate alle aule delle accademie: se ne parla a tutti i livelli della società, ne parlano i mezzi di comunicazione e vi legiferano sopra le nazioni. Cosa ancora più importante, sono coinvolte le vite e le aspettative più profonde di persone reali. In considerazione di ciò è importante che quanto viene discusso, e deciso, in questo campo sia la conseguenza di attente analisi e ragionamenti solidi. Si assume che la prospettiva difesa in questa tesi abbia come sfondo una società democratica, multiculturale e laica.
Consideriamo il lavoro svolto dal filosofo inglese John Harris un ottimo esempio di quello che si ritiene un metodo razionale di approccio alle tematiche bioetiche e lo abbiamo eletto a modello, analizzando parte della sua opera per affrontare tanto i nodi concettuali quanto le implicazioni morali delle applicazioni delle biotecnologie. Attraverso lo studio e l’analisi del pensiero di Harris ci siamo impegnati a riconsiderare vari concetti e vari temi del dibattito bioetico, cercando di distinguere le posizioni che si affidano a solide argomentazioni razionali da quelle che denunciano vizi nei ragionamenti, o che poggiano direttamente su altri paradigmi, con il fine di comprendere quale linea d’azione è meglio adottare, e ancora prima, da quale metodo discende la migliore linea d’azione.
Il presente lavoro ripercorre i circa quarant’anni di evoluzione del pensiero dell’autore. Possiamo dire che nell’evoluzione del suo pensiero non sono stati registrati grandi cambiamenti né nel metodo né negli esiti. Abbiamo letto quasi per intero il corpus di testi. Quelli che sono stati valutati ai fini di questa tesi sono quelli che, nella nostra considerazione, meglio si prestavano ad analizzare con profitto le grandi questioni etiche, quanto cioè potesse fornirci gli strumenti adatti per andare a considerare successivamente le riflessioni sul modo in cui le biotecnologie entrano nell’esperienza umana e, conseguentemente, il modo di pensare i cambiamenti che dovremo affrontare.
Le conclusioni di Harris sono sempre soddisfacenti, nel senso che soddisfano i criteri di razionalità e coerenza. In alcuni punti ci siamo distaccati dalla sua analisi, ma non ci siamo mai trovati nella condizione di rigettare totalmente il suo metodo.
Il metodo razionale, assolutamente ben condotto a nostro giudizio, di Harris, lo porta a conclusioni talvolta scioccanti, ad ammettere in linea di principio azioni normalmente giudicate inammissibili. L’autore ne esce sempre fuori in qualche modo, diciamo, ma in alcuni punti le ragioni da lui rintracciate per ammettere o non ammettere ciò che confligge troppo aspramente con il senso comune non sono state da noi ritenute adeguate.
Le posizioni nel dibattito bioetico di coloro che non transigono e non cambiano le proprie vedute o in virtù di un presunto punto di arrivo del proprio pensiero, o perché tali posizioni sono costruite su basi che non lasciano spazio al confronto, quali assunti religiosi o l’elezione di emozioni e sentimenti a criteri morali, sono aspramente criticate da Harris e praticamente rifiutate in modo completo.
Noi non riteniamo che tali posizioni siano da rigettare al mittente troppo velocemente. Per il modo in cui concepiamo l’utilizzo di un paradigma razionale, riteniamo che tali posizioni rispecchino i desideri e le volontà di ampie ‘fette’ della società civile, e secondo noi ha senso parlare di un rispetto della sensibilità di una grande porzione della popolazione, se non della bontà delle idee che le sottendono. Quello alla sensibilità altrui può essere un richiamo per utilizzare, diciamo così, una certa dose di tatto nel maneggiare argomenti che sono collegati ad esperienze umane il cui impatto e la cui estensione emotiva sono grandi, ma ci rendiamo conto che non può essere di per sé un’argomentazione sufficiente.
Una bioetica razionale teorica, accademica, interessata all’analisi ed alla speculazione, ma che non si preoccupi della propria attuabilità nel contesto sociale, che non voglia fare i conti con il modo in cui le proprie analisi e conclusioni possano essere assorbite, può chiaramente seguire una strada più retta e rintracciare il giusto laddove la pura istanza razionale la conduce.
Una bioetica razionale non solo teorica, nella propria ricerca di cosa è giusto fare, riteniamo che debba applicare il criterio guida della razionalità ad un doppio livello. Un primo livello che può coincidere con la ricerca della bioetica razionale teorica, capace di fornire delle indicazioni importantissime su quanto, tolte le emozioni, le sensazioni, i sentimentalismi ed i pregiudizi risulta come il giusto modo di comprendere e comportarsi nelle varie situazioni. Su questo si dovrebbe costruire un secondo livello che, forte di quanto sviluppato nel primo, possa comprendere in quale modo e secondo quali tempi proporre la propria visione e le proprie proposte considerando, per davvero, il senso comune e la morale diffusa in una società, laddove il giusto non sia solo corretto, non sia un giusto assoluto, ma sia anche adeguato.
Le posizioni di Harris su temi quali l’aborto e l’infanticidio hanno attirato aspre critiche. Fra i suoi numerosi interventi ne riportiamo uno che ha raggiunto un’ampia porzione della popolazione e che ha provocato una grande indignazione:
“…when I defend abortion, I don’t insist on calling it termination of pregnancy. I’m prepared to say that I believe in the killing of unborn children” (Ahuja, A. (10/10/2007). Enhancing the species. The Times).
In un altro articolo-intervista, l’autore sostiene che la gente non ha alcun diritto a non essere disturbata dalle sue parole, che le idee possono avere questo effetto e che questo è un prezzo che vale la pena di pagare. Ciò nonostante concede che a volte lui stesso non si sente a suo agio nei posti dove la ragione lo conduce. Quando ciò accade o il ragionamento è errato e va rivisto o, se ad una revisione il ragionamento risulta corretto, la sensazione di disagio è indice di un suo pregiudizio. Se ad alimentare le perplessità dell’autore sulle sue stesse conclusioni è un’idea non razionale, residuo di qualche pregiudizio, la sua posizione deve poggiare su quel ragionamento nonostante la sensazione di disagio (Watts, G. (20/10/2007). John Harris: leading libertarian bioethicist. The Lancet).
È su questa conclusione che non siamo completamente d’accordo con l’autore e ci auguriamo di essere riusciti, nel corso di questo lavoro, a fare emergere una posizione alternativa a quella per cui dovremmo accettare ciò che risulta assolutamente ingiusto, per amore della ragione.
La funzione del primo capitolo è, come già accennato, quella di fornire i mezzi concettuali con cui sviluppare le successive tematiche. Funge anche da esemplificazione del modo in cui si ritiene che un concetto debba essere analizzato: qui tentiamo di chiarire il modo in cui i termini chiave del dibattito (quali persona, autonomia, responsabilità ed altri) vengono analizzati con il fine di rendere intelligibile cosa esattamente si intende quando vi si ricorre; nello stesso contesto verranno anche affrontati alcuni temi classici della filosofia (ad esempio la dottrina del doppio effetto ed il concetto di potenzialità) per comprendere quale possa essere la loro utilità, se il richiamo a tali concetti è da considerarsi valido o meno.
Riuscire a chiarire questi punti è essenziale per non essere fraintesi e per poter sostenere le soluzioni o prospettive, sulle questioni bioetiche in oggetto, che consideriamo essere le migliori.
Non pensiamo che un’analisi razionalmente condotta debba portare ad un’unica soluzione, in quanto non esiste un’unica prospettiva da cui guardare alle questioni in esame. Riteniamo però che differenti concezioni possano armonizzarsi, o comunque che vi sia spazio per un dibattito fecondo, che porti alle soluzioni pratiche migliori allorquando i contributi provengano da pensatori disposti ad ammettere nel proprio pensiero solo ciò che passa per uno stretto vaglio razionale, persone che siano disposte a non permettersi pregiudizi.
Nel secondo e terzo capitolo abbiamo seguito il lavoro degli ultimi quindici anni di Harris e abbiamo affrontato due fra gli argomenti più interessanti e dibattuti in bioetica: la clonazione ed il biopotenziamento. Ognuno dei due capitoli è stato strutturato cercando di dare al lettore un’idea preliminare del dibattito etico e filosofico sugli argomenti nei quali si inseriscono le riflessioni dell’autore. Ciò che, come è facile intuire, è in questione, è l’ammissibilità di queste pratiche. Utilizzando il lavoro dell’autore si desidera mostrare come e perché un’argomentazione coerentemente razionale può portare, e di fatto conduce, alla conclusione che sono entrambe quanto meno ammissibili.
Nel corso dell’intero lavoro di tesi, si persegue l’obiettivo di evidenziare la sostanziale differenza che c’è fra una bioetica razionale e le altre visioni bioetiche, tentando di far emergere di volta in volta le ragioni per cui si ritiene che la prima sia preferibile rispetto alle altre.
Si tenterà di spiegare perché, seguendo il lavoro di Harris, siamo giunti infine a considerare che vi sia una dimensione della nostra responsabilità per cui molte pratiche che passano sotto le categorie generali della clonazione e del biopotenziamento, sono oltre che ammissibili, moralmente necessarie.
Spesso viene sottolineato che le questioni poste dalle nuove frontiere dello sviluppo medico-biologico, la rivoluzione tecnologica e, più in generale, il cammino della scienza, hanno preso un passo accelerato che, per la riflessione umana, è difficile riuscire a tenere sia a livello etico che politico.
Dato il carattere invasivo della tecnologia, si può notare che la bioetica riguarda oggi non soltanto casi particolari, in genere eclatanti, ma sempre più la vita quotidiana di tutti i componenti della società. A tutti capita cioè di discutere di queste tematiche.
Quale che sia la questione bioetica posta, per quanto nuova, ad un ipotetico interlocutore, questi sarà probabilmente capace di esprimere un’opinione in tempi piuttosto brevi, di ‘dire la propria’. Lo stesso risultato non verrebbe probabilmente ottenuto se la questione posta riguardasse il concetto di società aperta di Karl Popper. In quest’ultimo caso sia l’uomo comune che l’accademico avrebbero quanto meno bisogno di raccogliere i pensieri.
Questo per dire che spesso si risponde in merito alle problematiche sollevate nell'ambito della bioetica in modo intuitivo, salvo rendersi conto che, il più delle volte, non vi sono delle vere e proprie argomentazioni con cui spiegare le proprie preferenze. Non staremmo qui a parlare di alcun problema, se questo fosse l’atteggiamento assunto solo dal cosiddetto uomo della strada, l’uomo alle cui parole ed azioni non si possono collegare direttamente delle conseguenze importanti per la comunità, l’uomo che, in ogni caso, né per ruolo né per mestiere, è tenuto ad assicurarsi che le proprie posizioni sugli argomenti bioetici riflettano coerenza e razionalità.
Le parole e le azioni di coloro che animano il dibattito bioetico, dei protagonisti delle biotecnologie e dei legislatori, non dovrebbero mai essere figlie di aprioristiche prese di posizione piuttosto che di ragionamenti ponderati, perché hanno un peso specifico maggiore. La loro superficialità può provocare danni.
Al fine di evitare tale banalizzazione si devono tenere in considerazione gli aspetti salienti che dovrebbero costituire gli ingredienti essenziali di qualsiasi dibattito critico: l’argomentazione, ossia il poter sostenere una tesi essendo in grado di darne conto in modo autonomo, e la coerenza, da intendersi sia in riferimento ai principi che vengono adottati come base per la dialettica argomentativa, sia al significato che attribuiamo ai concetti e alle parole utilizzate. Se tenuti in considerazione fino in fondo, questi due criteri permettono di evitare atteggiamenti incoerenti e dogmatici.
Riteniamo che le varie posizioni che animano il dibattito bioetico non soddisfino sempre i criteri di razionalità e coerenza che sarebbe opportuno aspettarsi. Ciò di cui si discute in bioetica sono argomenti di cui tutti facciamo esperienza, vi sono coinvolte esperienze fondamentali della vita di tutte le persone, ed il carico emotivo e potenzialmente pregiudiziale è forte. La domanda che riteniamo dovrebbe guidare le riflessioni di chi vi partecipa è: cosa è giusto fare?
Lo scopo di questa tesi è anzitutto quello di mostrare che un approccio esclusivamente razionale alle grandi questioni biotiche, oltre che ai concetti morali di base, rappresenta una strada praticabile.
Il motivo per cui si ritiene che la razionalità debba essere l’elemento fondante al fine di proporre e difendere le proprie visioni in questo campo è che questa è una delle poche garanzie che abbiamo che il nostro agire sia corretto, che la nostra risposta alla domanda sull’agire giusto sia congrua.
Quando si parla di aborto, eutanasia o clonazione gli animi si accendono, e le discussioni non sono limitate alle aule delle accademie: se ne parla a tutti i livelli della società, ne parlano i mezzi di comunicazione e vi legiferano sopra le nazioni. Cosa ancora più importante, sono coinvolte le vite e le aspettative più profonde di persone reali. In considerazione di ciò è importante che quanto viene discusso, e deciso, in questo campo sia la conseguenza di attente analisi e ragionamenti solidi. Si assume che la prospettiva difesa in questa tesi abbia come sfondo una società democratica, multiculturale e laica.
Consideriamo il lavoro svolto dal filosofo inglese John Harris un ottimo esempio di quello che si ritiene un metodo razionale di approccio alle tematiche bioetiche e lo abbiamo eletto a modello, analizzando parte della sua opera per affrontare tanto i nodi concettuali quanto le implicazioni morali delle applicazioni delle biotecnologie. Attraverso lo studio e l’analisi del pensiero di Harris ci siamo impegnati a riconsiderare vari concetti e vari temi del dibattito bioetico, cercando di distinguere le posizioni che si affidano a solide argomentazioni razionali da quelle che denunciano vizi nei ragionamenti, o che poggiano direttamente su altri paradigmi, con il fine di comprendere quale linea d’azione è meglio adottare, e ancora prima, da quale metodo discende la migliore linea d’azione.
Il presente lavoro ripercorre i circa quarant’anni di evoluzione del pensiero dell’autore. Possiamo dire che nell’evoluzione del suo pensiero non sono stati registrati grandi cambiamenti né nel metodo né negli esiti. Abbiamo letto quasi per intero il corpus di testi. Quelli che sono stati valutati ai fini di questa tesi sono quelli che, nella nostra considerazione, meglio si prestavano ad analizzare con profitto le grandi questioni etiche, quanto cioè potesse fornirci gli strumenti adatti per andare a considerare successivamente le riflessioni sul modo in cui le biotecnologie entrano nell’esperienza umana e, conseguentemente, il modo di pensare i cambiamenti che dovremo affrontare.
Le conclusioni di Harris sono sempre soddisfacenti, nel senso che soddisfano i criteri di razionalità e coerenza. In alcuni punti ci siamo distaccati dalla sua analisi, ma non ci siamo mai trovati nella condizione di rigettare totalmente il suo metodo.
Il metodo razionale, assolutamente ben condotto a nostro giudizio, di Harris, lo porta a conclusioni talvolta scioccanti, ad ammettere in linea di principio azioni normalmente giudicate inammissibili. L’autore ne esce sempre fuori in qualche modo, diciamo, ma in alcuni punti le ragioni da lui rintracciate per ammettere o non ammettere ciò che confligge troppo aspramente con il senso comune non sono state da noi ritenute adeguate.
Le posizioni nel dibattito bioetico di coloro che non transigono e non cambiano le proprie vedute o in virtù di un presunto punto di arrivo del proprio pensiero, o perché tali posizioni sono costruite su basi che non lasciano spazio al confronto, quali assunti religiosi o l’elezione di emozioni e sentimenti a criteri morali, sono aspramente criticate da Harris e praticamente rifiutate in modo completo.
Noi non riteniamo che tali posizioni siano da rigettare al mittente troppo velocemente. Per il modo in cui concepiamo l’utilizzo di un paradigma razionale, riteniamo che tali posizioni rispecchino i desideri e le volontà di ampie ‘fette’ della società civile, e secondo noi ha senso parlare di un rispetto della sensibilità di una grande porzione della popolazione, se non della bontà delle idee che le sottendono. Quello alla sensibilità altrui può essere un richiamo per utilizzare, diciamo così, una certa dose di tatto nel maneggiare argomenti che sono collegati ad esperienze umane il cui impatto e la cui estensione emotiva sono grandi, ma ci rendiamo conto che non può essere di per sé un’argomentazione sufficiente.
Una bioetica razionale teorica, accademica, interessata all’analisi ed alla speculazione, ma che non si preoccupi della propria attuabilità nel contesto sociale, che non voglia fare i conti con il modo in cui le proprie analisi e conclusioni possano essere assorbite, può chiaramente seguire una strada più retta e rintracciare il giusto laddove la pura istanza razionale la conduce.
Una bioetica razionale non solo teorica, nella propria ricerca di cosa è giusto fare, riteniamo che debba applicare il criterio guida della razionalità ad un doppio livello. Un primo livello che può coincidere con la ricerca della bioetica razionale teorica, capace di fornire delle indicazioni importantissime su quanto, tolte le emozioni, le sensazioni, i sentimentalismi ed i pregiudizi risulta come il giusto modo di comprendere e comportarsi nelle varie situazioni. Su questo si dovrebbe costruire un secondo livello che, forte di quanto sviluppato nel primo, possa comprendere in quale modo e secondo quali tempi proporre la propria visione e le proprie proposte considerando, per davvero, il senso comune e la morale diffusa in una società, laddove il giusto non sia solo corretto, non sia un giusto assoluto, ma sia anche adeguato.
Le posizioni di Harris su temi quali l’aborto e l’infanticidio hanno attirato aspre critiche. Fra i suoi numerosi interventi ne riportiamo uno che ha raggiunto un’ampia porzione della popolazione e che ha provocato una grande indignazione:
“…when I defend abortion, I don’t insist on calling it termination of pregnancy. I’m prepared to say that I believe in the killing of unborn children” (Ahuja, A. (10/10/2007). Enhancing the species. The Times).
In un altro articolo-intervista, l’autore sostiene che la gente non ha alcun diritto a non essere disturbata dalle sue parole, che le idee possono avere questo effetto e che questo è un prezzo che vale la pena di pagare. Ciò nonostante concede che a volte lui stesso non si sente a suo agio nei posti dove la ragione lo conduce. Quando ciò accade o il ragionamento è errato e va rivisto o, se ad una revisione il ragionamento risulta corretto, la sensazione di disagio è indice di un suo pregiudizio. Se ad alimentare le perplessità dell’autore sulle sue stesse conclusioni è un’idea non razionale, residuo di qualche pregiudizio, la sua posizione deve poggiare su quel ragionamento nonostante la sensazione di disagio (Watts, G. (20/10/2007). John Harris: leading libertarian bioethicist. The Lancet).
È su questa conclusione che non siamo completamente d’accordo con l’autore e ci auguriamo di essere riusciti, nel corso di questo lavoro, a fare emergere una posizione alternativa a quella per cui dovremmo accettare ciò che risulta assolutamente ingiusto, per amore della ragione.
La funzione del primo capitolo è, come già accennato, quella di fornire i mezzi concettuali con cui sviluppare le successive tematiche. Funge anche da esemplificazione del modo in cui si ritiene che un concetto debba essere analizzato: qui tentiamo di chiarire il modo in cui i termini chiave del dibattito (quali persona, autonomia, responsabilità ed altri) vengono analizzati con il fine di rendere intelligibile cosa esattamente si intende quando vi si ricorre; nello stesso contesto verranno anche affrontati alcuni temi classici della filosofia (ad esempio la dottrina del doppio effetto ed il concetto di potenzialità) per comprendere quale possa essere la loro utilità, se il richiamo a tali concetti è da considerarsi valido o meno.
Riuscire a chiarire questi punti è essenziale per non essere fraintesi e per poter sostenere le soluzioni o prospettive, sulle questioni bioetiche in oggetto, che consideriamo essere le migliori.
Non pensiamo che un’analisi razionalmente condotta debba portare ad un’unica soluzione, in quanto non esiste un’unica prospettiva da cui guardare alle questioni in esame. Riteniamo però che differenti concezioni possano armonizzarsi, o comunque che vi sia spazio per un dibattito fecondo, che porti alle soluzioni pratiche migliori allorquando i contributi provengano da pensatori disposti ad ammettere nel proprio pensiero solo ciò che passa per uno stretto vaglio razionale, persone che siano disposte a non permettersi pregiudizi.
Nel secondo e terzo capitolo abbiamo seguito il lavoro degli ultimi quindici anni di Harris e abbiamo affrontato due fra gli argomenti più interessanti e dibattuti in bioetica: la clonazione ed il biopotenziamento. Ognuno dei due capitoli è stato strutturato cercando di dare al lettore un’idea preliminare del dibattito etico e filosofico sugli argomenti nei quali si inseriscono le riflessioni dell’autore. Ciò che, come è facile intuire, è in questione, è l’ammissibilità di queste pratiche. Utilizzando il lavoro dell’autore si desidera mostrare come e perché un’argomentazione coerentemente razionale può portare, e di fatto conduce, alla conclusione che sono entrambe quanto meno ammissibili.
Nel corso dell’intero lavoro di tesi, si persegue l’obiettivo di evidenziare la sostanziale differenza che c’è fra una bioetica razionale e le altre visioni bioetiche, tentando di far emergere di volta in volta le ragioni per cui si ritiene che la prima sia preferibile rispetto alle altre.
Si tenterà di spiegare perché, seguendo il lavoro di Harris, siamo giunti infine a considerare che vi sia una dimensione della nostra responsabilità per cui molte pratiche che passano sotto le categorie generali della clonazione e del biopotenziamento, sono oltre che ammissibili, moralmente necessarie.
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