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Archivio digitale delle tesi discusse presso l'Università di Pisa

Tesi etd-08202014-091953


Tipo di tesi
Tesi di laurea specialistica LC6
Autore
SAAD, WAFAA
URN
etd-08202014-091953
Titolo
Osteoporosi femminile postmenopausale senile rischio di caduta complicanza frattura percorso ortogeriatrico
Dipartimento
RICERCA TRASLAZIONALE E DELLE NUOVE TECNOLOGIE IN MEDICINA E CHIRURGIA
Corso di studi
MEDICINA E CHIRURGIA
Relatori
relatore Prof. Monzani, Fabio
Parole chiave
  • postmenopausale
  • osteoporosi
  • senile
Data inizio appello
23/09/2014
Consultabilità
Completa
Riassunto
Gli anziani (>70 aa) costituiscono un’ampia percentuale della popolazione (>20%), che è destinata a crescere nei futuri decenni, in particolare gli ultraottantenni che si stima debbano raddoppiare entro il 2050 (2.8 6.8%). Le cadute rappresentano una delle principali problematiche della popolazione anziana, il rischio di caduta aumenta proporzionalmente con l’età. La caduta nell’anziano è spesso la spia di una condizione patologica (caduta sentinella) e l’evento stesso triplica il rischio di cadute successive. E’ di fondamentale importanza la prevenzione perché esse si associano a considerevole mortalità, morbidità e sofferenza per le persone anziane e le loro famiglie, determinando un aumento dei costi sociali dovuti all’ospedalizzazione e al successivo ricovero in strutture protette.
Le fratture nell’anziano si verificano anche per traumi a bassa energia, a causa della maggior fragilità ossea dovuta all’osteoporosi e alla sarcopenia ( riduzione della massa muscolare). Le fratture ed in particolare quelle di femore richiedono quasi sempre la correzione chirurgica, con l’obiettivo di ripristinare la biomeccanica dell’arto e preservare la deambulazione. Molto spesso le fratture di femore si verificano in persone anziane che presentano numerose comorbidità che devono essere gestite parallelamente alla frattura. Questi pazienti sono esposti ad un maggior rischio di eventi avversi, come il delirium, le infezioni, lo scompenso cardiaco, le trombosi, le complicanze iatrogene, che a loro volta aumentano il rischio di declino funzionale e mentale e di morte. L’attività dell’ortogeriatra prevede la gestione delle comorbilità dell’anziano, sia nella fase pre che post operatoria, cercando di individuare i pazienti ad alto rischio di eventi avversi contribuendo a migliorare l’outcome. Il modello di gestione integrata che comprende ortopedici e geriatri si sviluppò in Inghilterra alla fine degli anni 50 con la finalità di migliorare il recupero degli anziani fratturati. L’ortogeriatria non è da intendersi come un’attività multidisciplinare, bensì come un’alternativa radicale al tradizionale modello di cura, un’alternativa basata su tutte quelle strategie in cui l’evidenza mostra un miglioramento dei risultati per gli anziani fratturati e che si propone come obiettivi a breve termine la riduzione del numero di giorni di degenza, delle complicanze intraospedaliere e di riospedalizzazione.
Scopo della tesi:
la presente tesi vuole mettere a confronto l’esperienza dell’ortogeriatria, basata sulla cogestione geriatra-ortopedico nel reparto di Traumatologia Universitaria, rispetto all’anno precedente, in assenza della suddetta collaborazione. Gli outcomes sono volti a valutare l’impatto del progetto in termini di mortalità a breve termine (tre e sei mesi), numero di reaccessi in Pronto Soccorso, a breve termine (tre e sei mesi) oltre a determinare l’effetto sul numero di consulenze necessarie per la gestione clinica di questa popolazione. Altri outcomes sono mirati a valutare l’impatto dell’ortogeriatria sui principali parametri clinici e bioumorali all’ingresso ed alla dimissione e quanto queste variazioni possano incidere significativamente sulla mortalità e sul reaccesso in Pronto Soccorso. Questa tesi ha comunque l’obbiettivo principale di definire al meglio la collaborazione interdisciplinare fra geriatri ed ortopedici, al fine di fornire un servizio migliore al paziente anziano fragile con frattura, in modo da consentire, alla dimissione, un corretto follow up e un adeguato percorso riabilitativo. Materiali e metodi: In questo studio longitudinale retrospettivo sono stati arruolati 392 paziente con età superiore o uguale a 70 anni ricoverati, in regime d’urgenza, presso U.O. Traumatologia ed Ortopedia Universitaria dell’Ospedale Nuovo Santa Chiara di Pisa con diagnosi di frattura di qualsiasi struttura ossea seguiti nel percorso ortogeriatrico. Inoltre, come gruppo di controllo sono stati coinvolti 264 pazienti con età superiore o uguale a 70 anni, ricoverati nell’anno precedente, in regime d’urgenza, presso U.O. Traumatologia ed Ortopedia Universitaria dell’Ospedale Nuovo Santa Chiara di Pisa con diagnosi di frattura di qualsiasi struttura ossea. Da entrambi i gruppi sono stati inclusi i pazienti non sottoposti ad intervento chirurgico, sono stati, invece esclusi i pazienti sottoposti ad altri tipi di interventi (ad esempio fasciotomia, amputazione).
Risultati:
I due gruppi di studio non differivano significativamente per età e sesso con una media di età rispettivamente di 82,9 (DS±7,0) e 83,09 (DS±7,0) anni (p=0,88) e una prevalenza di femmine di 73,3% e 76,6% (p=0,40), rispettivamente nel gruppo controllo e nel gruppo dei paziente ortogeriatrici. In particolare, la prevalenza della frattura di femore del gruppo controllo è stata di 76,1% e di 79% per il gruppo dei pazienti ortogeriatrici (p=0,55). Non sono state osservate differenze significative in termini di comorbidità e gravità valutate tramite CIRS. In dettaglio, il gruppo controllo presentava un punteggio medio di comorbidità di 1,5 (DS±0,2) e di gravità di 3,04 (DS±1,8) mentre il gruppo di pazienti ortogeriatrici aveva una punteggio di 1,6 (DS±0,22) e di 3,08 (DS±1,3) con una p del test t di 0,15 e 0,71 rispettivamente. La media dei valori pressori all'ingresso in reparto per il gruppo controllo è stata per la PAS 134.1 (DS+-17,0) mmHg e per la PAD 74,2 (DS±10,7) mmHg . La media dei valori per il gruppo di pazienti ortogeriatici è stata di 136,9 mmHg (SD±17.6) per la PAS e di 75,3 (DS±9,4) mmHg per la PAD. Il test t di confronto non ha evidenziato differenze significative (p=0,10 e p=0,23, rispettivamente).
Sono risultate significativamente differenti le medie del numero di consulenze cardiologiche e internistiche (p=0,00 e p=0,00, rispettivamente) mentre non differiva il numero medio di consulenze pneumologiche e di consulenze varie classificate come “altro” (p>>0,05). Nessuna differenza statistica è stata rilevata tra i due gruppi stratificati per sesso (p>0,05) tranne una riduzione significativa delle consulenze internistiche nelle donne e cardiologiche nell’uomo (p<0.05). A livello post-intervento sono state osservate differenze significative per quanto riguarda il numero medio di consulenze internistiche e rianimatorie (p=0,01 e p=0,02,rispettivamente ). La differenza percentuale della creatinina (ammissione-dimissione) è risultata significativamente differente nei gruppi di studio (-5% vs -10%, rispettivamente controlli e pazienti ortogeriatrici) (p=0,04). Anche il delta percentuale del calcio plasmatico (ammissione-dimissione) era significativamente a favore del gruppo pazienti ortogeriatici con un valore medio di -3,90% (DS±6,9) contro un valore percentuale di -8,01% (DS±7,6) del gruppo controllo (p=0,00). La variazione percentuale dell'emoglobina è stata significativamente inferiore nel gruppo dei pazienti ortogeriatrici con un valori di -6,83% (DS±13,4) mentre nei controlli di - 12.54% (DS±13,2) (p=0,00). Non sono risultate significativamente differenti il differenziale percentuale dei seguenti parametri (p>0,05): MDRD, sodio, potassio, proteine plasmatiche totali e albumina.
L'analisi dei reaccessi al pronto soccorso a 6 mesi è stata eseguita tramite regressione logistica uni variata. Le seguenti covariate non sono risultate significativamente associate (p>0.05) alla probabilità di reaccesso a 6 mesi (tabella 5): tipo di intervento percorso ortogeriatrico o meno), età, sesso, CIRS comorbidità, frattura di femore, PAS, PAD, FC, creatinina, MDRD, sodio, potassio, calcio, proteine totali, albumina, emoglobina (valori basali). La analisi multivariata backward è stata eseguita con le variabili con p<0.02 (sesso, età e proteine totali basali). Il sesso maschile risulta essere associato al reaccesso in pronto soccorso con un p=0.58.
Il confronto delle curve di sopravvivenza Klapan-Mayer e l'analisi Mantel-Cox non ha dimostrato differenze in termini di mortalità nei due gruppi di studio (p>>0,05) (figura 11). Il tipo di intervento orto geriatrico rispetto al controllo non è associato ad una minore mortalità. Sono risultate significativamente associate ad una maggiore mortalità (p<0.05) le seguenti varabili dipendenti: età, sesso, CIRS comorbidità, creatinina, potassio (basale) e sodio alla dimissione. Sono risultate negativamente associate alla mortalità (p<0.05) le seguenti variabili indipendenti: MDRD, calcio, albumina e emoglobina (valori basali) e albumina alla dimissione.
In particolare, sono state inserite nel modello iniziale le covariate risultate significativamente associate alla mortalità (p<0.05) con una modalità di analisi dei modello backward. Il modello che meglio interpreta la probabilità di morte è stato quello che includeva sesso, emoglobina basale, sodio e albumina alla dimissione come covariate). In particolare, l’odds ratio (O.R.) del sesso è risultato di 4.05 (I.C. 95% 1.88-8.72); per l’albumina basale l’O.R. è stato di 0,76 (I.C. 95% 0.6-0.96); per i valori di sodio alla dimissione l’O.R. è risultato 1.13 (I.C. 95% 1.02-1.26); per i valori alla dimissione di albumina abbiamo rilevato un O.R. di 0.25 (I.C. 95% 0.09-0.67).
Conclusione:
I risultati preliminari di questo studio, volto a valutare le ricadute dell’applicazione di un percorso ortogeriatrico specifico nei pazienti anziani (>70 anni) che accedono al pronto soccorso per frattura, suggeriscono che l’intervento attivo e la presa in carico di questi pazienti da parte del geriatra consente di ridurre il numero di consulenze durante il ricovero e di ottenere un miglior controllo di alcuni parametri ematochimici che potrebbero avere un effetto negativo sulla mortalità. In particolare, abbiamo osservato che i pazienti del percorso ortogeriatrico rispetto al gruppo di controllo storico (pazienti ricoverati nello stesso reparto nell’anno precedente) necessitano di un numero inferiore di consulenze cardiologiche e internistiche prima dell’intervento e un numero inferiore di consulenze internistiche e rianimatorie nel post-operatorio. Inoltre, per ciò che attiene i valori differenziali (ingresso-dimissione) dei parametri bioumorali è stato evidenziato che i pazienti del percorso ortogeriatrico presentano una maggiore riduzione percentuale della creatinina plasmatica e una ridotta differenza percentuale di calcio e emoglobina. Non abbiamo osservato differenze significative in termini di sopravvivenza a 6 mesi dei due gruppi di studio mentre con l’analisi di regressione logistica di Cox è stato osservato che diverse covariate possono essere associate significativamente ad una peggiore curva di mortalità. In dettaglio, le comorbidità, la funzione renale, il profilo elettrolitico e la presenza di bassi valori di emoglobina rappresentano potenziali predittori di outcome clinico di questa categoria di pazienti. Questi dati preliminari risultano incoraggianti e supportano la necessità di ulteriori studi volti a valutare l’efficacia a lungo termine dell’approccio ortogeriatrico e la sua ricaduta farmacoeconomica.
Nonostante non vi siano state differenze significative in termnini di mortalità a sei mesi abbiamo però osservato differenze significative tra i parametri biochimici (creatinina, calcio ed emoglobina plasmatici). Parametri che si sono dimostrati essere tra i più importanti fattori di rischio di morte a breve termine. Questo lascia supporre che il percorso ortogeriatrico possa contribuire a ridurre la mortalità a medio e lungo termine come recentemente dimostrato dal “The National Hip Fracture Database (National Report 2012 UK)”.
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