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Archivio digitale delle tesi discusse presso l’Università di Pisa

Tesi etd-07232018-121701


Tipo di tesi
Tesi di laurea magistrale
Autore
MARINO, MICHELA
URN
etd-07232018-121701
Titolo
Vito Acconci «performer del linguaggio»
Dipartimento
CIVILTA' E FORME DEL SAPERE
Corso di studi
STORIA E FORME DELLE ARTI VISIVE, DELLO SPETTACOLO E DEI NUOVI MEDIA
Relatori
relatore Lischi, Alessandra
Parole chiave
  • acconci
  • architettura
  • body-art
  • installazioni
  • new york
  • video-arte
Data inizio appello
01/10/2018
Consultabilità
Non consultabile
Data di rilascio
01/10/2088
Riassunto
Vito Acconci è ricordato soprattutto per la sua esperienza da body artista, tanto da essere considerato il “padre della Body Art”. Ma nella sua lunga carriera artistica annovera molteplici interessi, espressione del suo carattere eclettico e della costante ricerca di novità, che lo portano a sempre più nuove esperienze artistiche.
All’inizio degli anni Settanta integra il video nelle sue attività di performer, affascinato in modo particolare dal monitor, anche se ben presto decide di abbandonare il ruolo di performer per dedicarsi agli installation spaces, e allo studio degli spazi pubblici, interessi che lo porteranno a scegliere l’architettura e il design come linguaggio artistico definitivo, tanto da fondare negli anni Ottanta l’Acconci Studio, formato da un team di architetti e designer che insieme all’artista realizzano importanti opere pubbliche come Mur Island, il ponte a forma di conchiglia realizzato per la città di Graz, capitale europea della cultura nel 2003.
Questa premessa dimostra quanto l’artista italo-americano abbia avuto, durante tutta la sua carriera artistica, uno sguardo sempre proiettato al futuro e alla sperimentazione di nuovi linguaggi artistici.
Ma prima di diventare body-artista, designer e architetto Acconci era un poeta sperimentale, e lo spazio su cui operava era quello della pagina. L’argomento che intendo trattare parte proprio da questo, ossia da quanto la scrittura e l’uso delle parole abbia influenzato tutta la produzione artistica di Vito Acconci.
La pagina era per l’artista uno spazio su cui esprimersi e dove poteva farlo a sua volta il lettore per tramutarla poi in oggetto minimale. La parola era trattata con fisicità, non era importante il suo significato, ma l’attività che svolgeva sulla pagina, l’ordine delle singole lettere e lo spazio da esse occupato; in questo modo l’atto linguistico diventava un vero e proprio atto performativo. Tuttavia Acconci si rende conto che quello che scriveva poteva essere portato fuori dalla superficie della pagina, che era diventata ormai uno spazio troppo ristretto per esprimersi a pieno.
Da questo momento in poi l’artista inizia a ricercare lo spazio perfetto su cui muoversi e la prima valida alternativa a quello della pagina la trova utilizzando prima il proprio corpo e poi il monitor, che comunque trasmetteva nella maggior parte dei casi la propria immagine. Ma anche in questo caso le possibilità espressive con il tempo si riducevano e l’attenzione finiva per concentrarsi tutta sull’artista, che diventava una sorta di divinità, cosa che Acconci voleva assolutamente evitare, preferendo sempre mostrarsi al pubblico in qualità di persona e non in funzione di un ruolo da ricoprire.
L’interesse sempre maggiore nei confronti dello spettatore e verso la dimensione pubblica lo porterà a interessarsi alle installazioni artistiche prima, e all’architettura e design poi.
Vi è una costante in questa lunga ricerca artistica, la parola, scritta e orale, la base da cui sostanzialmente parte tutto il lavoro di Acconci. La ritroviamo nei titoli delle sue performance, che in un certo senso “anticipano l’azione” descrivendola, oppure scritta e affissa a un muro come in Public Domain, ma soprattutto nella voce dell’artista, che diventa un’estensione del proprio corpo e accompagna lo spettatore nello spazio artistico.
È con le parole che Acconci completa le proprie opere, rendendole maggiormente fruibili allo spettatore al quale l’artista parla per poterlo immettere nello spazio artistico, che, in questo modo, diventa spazio pubblico.
Persino nelle opere più recenti continua a utilizzare il linguaggio verbale, seppur in un ruolo subordinato, sotto forma di commenti e titoli che è lo stesso artista a scrivere per molti dei suoi lavori; vi è poi una ricca documentazione, corredata di fotografie, anche di performance e installazioni realizzate negli anni Settanta, dettagliatamente descritte dall’artista per iscritto.
In conclusione è abbastanza chiaro che, nonostante il carattere mutevole della ricerca artistica di Vito Acconci, il linguaggio verbale «rimane una connotazione importante del suo campo di sperimentazione, lo sfondo sul quale sviluppa il lavoro d’artista visivo, videomaker, body artist e, seppur in misura minore, di progettista d’architettura e arte pubblica».
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