Tesi etd-07062016-083720 |
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Tipo di tesi
Tesi di dottorato di ricerca
Autore
BRAMANTI, ROBERTA
URN
etd-07062016-083720
Titolo
La vigilanza bancaria Europea nel quadro della riforma dell’architettura istituzionale in materia di supervisione prudenziale
Settore scientifico disciplinare
IUS/05
Corso di studi
SCIENZE GIURIDICHE
Relatori
tutor Prof.ssa Bani, Elisabetta
Parole chiave
- Banca Centrale Europea
- Unione Europea
- Vigilanza
Data inizio appello
17/07/2016
Consultabilità
Non consultabile
Data di rilascio
17/07/2056
Riassunto
Nei tempi più recenti, il processo d’integrazione europea nel settore bancario appare rivolto verso una maggiore accelerazione rispetto ai decenni precedenti, ciò in ragione del manifestarsi della gravissima crisi sistemica che, data la portata globale, ha rappresentato un utile banco di prova per testare la validità dell’architettura istituzionale europea, preposta alla regolazione e alla supervisione prudenziale bancaria.
In via preliminare, ai fini del presente lavoro, che si propone di analizzare i recenti mutamenti avvenuti nella materia della vigilanza sugli enti creditizi, sarà spesa, qualche breve considerazione sui modelli di vigilanza del settore creditizio astrattamente applicabili da un ordinamento, in quanto ciò appare imprescindibile per comprendere le scelte di fondo che hanno orientato il legislatore europeo nella determinazione della nuova architettura di vertice della supervisione bancaria. In tale materia, l’esperienza comunitaria più recente ha dimostrato che la coordinazione attraverso comitati, tecnocrati e burocrazie è stata lo scudo dietro cui, per decenni, si è fatta strada l’integrazione europea e che solo il verificarsi di eventi congiunturali, come la crisi economica moderna, ha indotto scelte che, in condizioni normali, sarebbero parse troppo limitative delle sovranità nazionali.
In proposito, si può rilevare che in materia di supervisione bancaria le scelte operate nei decenni precedenti a livello europeo sono state orientate purtroppo verso la creazione di una struttura di vertice della vigilanza bancaria totalmente incapace di prevenire fenomeni patologici di instabilità finanziaria capaci di produrre effetti recessivi gravissimi per l’economia reale. Ed invero, quando il coordinamento delle istituzioni europee e nazionali sembrava aver raggiunto un assetto auspicabilmente definitivo - attraverso la creazione di un sistema di normazione, supervisione e controllo integrato fra Autorità comunitarie e nazionali e tra queste e gli operatori vigilati, grazie alla c. d. procedura Lamfalussy - l'avvento della crisi ha imposto l'esigenza di revocare in dubbio le scelte operate nell’ambito del pregresso assetto. In particolare, le riscontrate debolezze strutturali della citata procedura, unitamente ad un regime di supervisione e controllo sugli intermediari fondato sulla potestà delle Autorità di vigilanza nazionali a prescindere dalla dimensione del soggetto vigilato e le difficoltà di gestione delle crisi di imprese bancarie cross –border, hanno indotto il legislatore europeo ad interrogarsi su quale diverso modello di vigilanza potesse reputarsi ottimale per una nuova struttura di vertice della supervisione bancaria.
Rappresenta la risposta a tale ricerca il processo di riforma che ha riguardato la vigilanza prudenziale sugli intermediari creditizi. Esso, come è noto, è sfociato nell’entrata in vigore del regolamento europeo istitutivo del nuovo Meccanismo Unico di Vigilanza che, ridisegnando i rapporti e le interconnessioni fra Banca Centrale Europea e Autorità di Supervisione nazionale, ha riallocato la funzione di vigilanza in capo alla prima senza tuttavia escludere totalmente un ruolo delle seconde; queste ultime, come vedremo hanno residuato invero di un potere di controllo esclusivo su specifiche categorie d’ intermediari e di una competenza riservata ex ante su alcune materie. Le riforme strutturali che sono state realizzate sono frutto pertanto della consapevolezza ormai consolidata dei policy maker della necessità di creare un nuovo sistema istituzionale europeo fondato sulla perfetta armonizzazione delle regole e sull’accentramento dei poteri di vigilanza in capo ad un’autorità di vertice che dia finalmente conto di una visione globale d’insieme e di un mercato bancario fortemente interconnesso che prescinde dai confini nazionali.Tentare un’analisi di tale riforma, presuppone a sua volta di indagarne non solo i presupposti, peraltro noti e congiunturali, ma soprattutto gli sviluppi istituzionali e i concreti esiti, al fine di poter svolgere delle considerazioni in ordine alle scelte di modello e di metodo che sono state operate dal regolatore comunitario. Il presente lavoro si propone pertanto di illustrare dapprima le ragioni e poi le modalità dell'intervento pubblico nel mercato bancario, mediante la prospettazione dei vari modelli di regolazione e vigilanza utilizzabili nonché, in chiave comparatistica e per brevi cenni, delle varie opzioni reputate ottimali e concretamente adottate nei vari ordinamenti nazionali europei. Nel prosieguo, procedendo ad un’analisi del modulo di supervisione prescelto dal legislatore europeo si tenterà di coglierne gli elementi caratterizzanti, valutando la bontà e le sue eventuali mancanze. Infine, posto che la riforma della vigilanza bancaria Europa si inserisce nel più ampio progetto dell’Unione Bancaria, nelle conclusioni si tenterà brevemente di dar menzione dello stato dell’arte di quest’ultima.
In via preliminare, ai fini del presente lavoro, che si propone di analizzare i recenti mutamenti avvenuti nella materia della vigilanza sugli enti creditizi, sarà spesa, qualche breve considerazione sui modelli di vigilanza del settore creditizio astrattamente applicabili da un ordinamento, in quanto ciò appare imprescindibile per comprendere le scelte di fondo che hanno orientato il legislatore europeo nella determinazione della nuova architettura di vertice della supervisione bancaria. In tale materia, l’esperienza comunitaria più recente ha dimostrato che la coordinazione attraverso comitati, tecnocrati e burocrazie è stata lo scudo dietro cui, per decenni, si è fatta strada l’integrazione europea e che solo il verificarsi di eventi congiunturali, come la crisi economica moderna, ha indotto scelte che, in condizioni normali, sarebbero parse troppo limitative delle sovranità nazionali.
In proposito, si può rilevare che in materia di supervisione bancaria le scelte operate nei decenni precedenti a livello europeo sono state orientate purtroppo verso la creazione di una struttura di vertice della vigilanza bancaria totalmente incapace di prevenire fenomeni patologici di instabilità finanziaria capaci di produrre effetti recessivi gravissimi per l’economia reale. Ed invero, quando il coordinamento delle istituzioni europee e nazionali sembrava aver raggiunto un assetto auspicabilmente definitivo - attraverso la creazione di un sistema di normazione, supervisione e controllo integrato fra Autorità comunitarie e nazionali e tra queste e gli operatori vigilati, grazie alla c. d. procedura Lamfalussy - l'avvento della crisi ha imposto l'esigenza di revocare in dubbio le scelte operate nell’ambito del pregresso assetto. In particolare, le riscontrate debolezze strutturali della citata procedura, unitamente ad un regime di supervisione e controllo sugli intermediari fondato sulla potestà delle Autorità di vigilanza nazionali a prescindere dalla dimensione del soggetto vigilato e le difficoltà di gestione delle crisi di imprese bancarie cross –border, hanno indotto il legislatore europeo ad interrogarsi su quale diverso modello di vigilanza potesse reputarsi ottimale per una nuova struttura di vertice della supervisione bancaria.
Rappresenta la risposta a tale ricerca il processo di riforma che ha riguardato la vigilanza prudenziale sugli intermediari creditizi. Esso, come è noto, è sfociato nell’entrata in vigore del regolamento europeo istitutivo del nuovo Meccanismo Unico di Vigilanza che, ridisegnando i rapporti e le interconnessioni fra Banca Centrale Europea e Autorità di Supervisione nazionale, ha riallocato la funzione di vigilanza in capo alla prima senza tuttavia escludere totalmente un ruolo delle seconde; queste ultime, come vedremo hanno residuato invero di un potere di controllo esclusivo su specifiche categorie d’ intermediari e di una competenza riservata ex ante su alcune materie. Le riforme strutturali che sono state realizzate sono frutto pertanto della consapevolezza ormai consolidata dei policy maker della necessità di creare un nuovo sistema istituzionale europeo fondato sulla perfetta armonizzazione delle regole e sull’accentramento dei poteri di vigilanza in capo ad un’autorità di vertice che dia finalmente conto di una visione globale d’insieme e di un mercato bancario fortemente interconnesso che prescinde dai confini nazionali.Tentare un’analisi di tale riforma, presuppone a sua volta di indagarne non solo i presupposti, peraltro noti e congiunturali, ma soprattutto gli sviluppi istituzionali e i concreti esiti, al fine di poter svolgere delle considerazioni in ordine alle scelte di modello e di metodo che sono state operate dal regolatore comunitario. Il presente lavoro si propone pertanto di illustrare dapprima le ragioni e poi le modalità dell'intervento pubblico nel mercato bancario, mediante la prospettazione dei vari modelli di regolazione e vigilanza utilizzabili nonché, in chiave comparatistica e per brevi cenni, delle varie opzioni reputate ottimali e concretamente adottate nei vari ordinamenti nazionali europei. Nel prosieguo, procedendo ad un’analisi del modulo di supervisione prescelto dal legislatore europeo si tenterà di coglierne gli elementi caratterizzanti, valutando la bontà e le sue eventuali mancanze. Infine, posto che la riforma della vigilanza bancaria Europa si inserisce nel più ampio progetto dell’Unione Bancaria, nelle conclusioni si tenterà brevemente di dar menzione dello stato dell’arte di quest’ultima.
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