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Archivio digitale delle tesi discusse presso l’Università di Pisa

Tesi etd-07052023-175205


Tipo di tesi
Tesi di laurea magistrale LM5
Autore
PICCIONE, PAOLINO
URN
etd-07052023-175205
Titolo
La disciplina in materia di crisi bancarie alla luce della direttiva BRRD: dal bail-out al bail-in
Dipartimento
GIURISPRUDENZA
Corso di studi
GIURISPRUDENZA
Relatori
relatore Prof. Benocci, Alessandro
Parole chiave
  • bail-in
  • banche
  • crisi
  • risoluzione
Data inizio appello
27/07/2023
Consultabilità
Non consultabile
Data di rilascio
27/07/2063
Riassunto
L’attività bancaria, definita dall’art. 10 del Testo Unico Bancario attività “di raccolta del risparmio e di esercizio del credito”, da sempre ha sollevato ampi dibattiti in merito alla sua classificazione. Infatti, sebbene essa rientri all’interno del concetto di impresa, secondo quanto disposto dall’art. 2195 del codice civile, si distingue rispetto all’impresa comune per la sua capacità di incidere non solo su interessi meramente privatistici, ma anche e soprattutto su profili di carattere pubblicistico, connessi all’economia di uno Stato ed alla stabilità del proprio sistema finanziario. La delicatezza dell’attività bancaria, dovuta alle ripercussioni che essa è in grado di generare sia sulla sfera patrimoniale di privati cittadini sia sulla stabilità del sistema finanziario, si rinviene anche nell’espressa menzione di essa all’interno del dettato costituzionale, il cui articolo 47 recita quanto segue:” La Repubblica incoraggia e tutela il risparmio in tutte le sue forme; disciplina coordina e controlla l’esercizio del credito”. In virtù della sua specialità, l’attività bancaria ha portato il legislatore, sia italiano che comunitario, a introdurre una disciplina speciale e per certi aspetti derogatoria rispetto a quella riservata all’impresa comune, nel tentativo di fornire una risposta adeguata ed efficace alle questioni connesse al suo esercizio. A tal riguardo il primo capitolo del presente elaborato ripercorre le varie tappe che hanno portato all’attuale quadro normativo in materia di attività di intermediazione bancaria, che trova oggi il suo nucleo fondamentale all’interno del Testo Unico bancario, così come modificato in seguito al recepimento nell’ordinamento italiano delle direttive comunitarie emanate dopo il 1993, cercando di connettere ciascuna di esse alle vicende storiche da cui hanno tratto origine.
Il secondo capitolo dell’elaborato, invece, si concentra sulla nascita dell’Unione bancaria europea, in quanto già agli albori del processo di integrazione europea il Trattato di Roma del 1957 si riteneva necessaria la liberalizzazione dell’esercizio dell’attività bancaria e l’affermazione di condizioni di uguaglianza tra gli istituti di credito al fine della realizzazione dell’ambito obiettivo della costituzione di un mercato unico europeo.
In questo senso, la crisi finanziaria che ha colpito l’Europa tra il 2007 e il 2009 e la crisi del debito sovrano dei Paesi membri avvenuta negli anni 2010-2012 hanno contribuito a sottolineare l’esigenza di armonizzazione delle normative nazionali in materia di intermediazione finanziaria e bancaria. Infatti, alla stregua di quanto indicato nel rapporto De Laroisière, elaborato da un gruppo di esperti istituito dalla Commissione europea al fine di formulare proposte in materia di regolamentazione e vigilanza finanziaria, da un lato, a livello macroprudenziale, è stato istituito il Comitato europeo per il rischio sistemico, quale autorità deputata a prevenire e contenere il rischio sistemico per la stabilità finanziaria dell’Unione europea e dall’altro, a livello micro-prudenziale, sono state istituite tre diverse autorità rispettivamente per i settori bancario, assicurativo e finanziario. Tuttavia, di fronte all’incapacità delle misure adottate di realizzare gli obiettivi fissati, nel 2012 la Commissione europea ha deciso di avviare un processo volto all’istituzione di una vera e propria Unione bancaria europea, articolata su tre distinti pilastri: il Meccanismo di vigilanza unico, istituito con regolamento 1024 del 2013, quale sistema di vigilanza cui partecipano la Bce e le autorità nazionali competenti, sulla base di una ripartizione di competenze fondata sul criterio della significatività sistemica delle banche da vigilare; il Meccanismo di risoluzione unico, con al vertice un Comitato deputato alla gestione della crisi delle banche di maggiore rilievo, nonché all’applicazione della nuova disciplina in materia di gestione delle crisi bancarie, la quale prevede il coinvolgimento significativo della Commissione europea, quale autorità garante della concorrenza; un sistema di garanzia dei depositi, solo parzialmente realizzato.
Il terzo capitolo costituisce il nucleo fondamentale del presente lavoro, in quanto focalizza l’analisi sulla nuova disciplina di gestione delle crisi bancarie, introdotta attraverso la Bank recovery and resolution Directive 2014/59/UE, integrata dal regolamento 806/2014, istitutivo del meccanismo di risoluzione unico e del Fondo di risoluzione unico, e recepita all’interno dell’ordinamento italiano attraverso i due decreti legislativi 180 e 181 del 16 novembre 2015. Infatti, anche in materia di gestione delle crisi, la disciplina bancaria necessita di deroghe rispetto a quella inerente alla crisi dell’impresa comune, in quanto il dissesto di un intermediario è potenzialmente capace di generare esternalità negative sul sistema finanziario inteso nel suo complesso, a causa dello stretto legame intercorrente tra banche e imprese, dovuto ai finanziamenti ricevuti dalle prime senza i quali le seconde non potrebbero operare sul mercato.
L’attuale normativa introduce delle importanti novità rispetto al precedente regime in materia di gestione delle crisi bancarie, tra le quali la più evidente e notevole è sicuramente rappresentata dalla volontà del legislatore europeo di ridurre drasticamente la possibilità di ricorrere al sostegno finanziario dello Stato in caso di crisi di intermediari, in quanto tale soluzione, fortemente praticata in seguito alla crisi finanziaria degli anni Duemila, costituiva una delle principali cause della crescita insostenibile del debito sovrano di molti Stati membri, nonché un forte incentivo a comportamenti di moral hazard, ovvero a gestioni poco sane e alquanto imprudenti. Pertanto, il principale obiettivo della nuova disciplina consiste nel far gravare le perdite subite dall’ente su coloro che hanno confidato nella sua affidabilità e solidità, in primo luogo azionisti e creditori, con la sola esclusione dei piccoli depositanti. Infatti, la nuova disciplina prevede che l’assorbimento delle perdite e la ricapitalizzazione dell’ente in dissesto debbano essere realizzati attraverso la svalutazione di appositi strumenti di capitale e la loro conversione in azioni, secondo l’istituto del bail-in, la cui affermazione determina il superamento del bail-out, ovvero del salvataggio pubblico, che, tuttavia, non scompare definitivamente, ma viene relegato a misura di extrema ratio, cui è possibile ricorrere soltanto laddove non vi siano altri strumenti capaci di evitare una grave perturbazione del sistema finanziario e sempre nel rispetto della disciplina in materia di aiuti di Stato. Tuttavia, proprio il nuovo istituto del bail-in ha sollevato numerose perplessità e talvolta vere e proprie critiche, soprattutto riguardo al suo potenziale conflitto con alcuni principi di rilievo costituzionale inerenti alla tutela dei risparmiatori, nonché alla sua parziale inidoneità ad evitare il ricorso a strumenti di sostegno finanziario pubblico, come dimostrato dai casi di dissesto bancario in cui è stato possibile procedere alla sua applicazione.
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