Tesi etd-07032020-102237 |
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Tipo di tesi
Tesi di laurea magistrale LM5
Autore
D'EGIDIO, VINCENZO
URN
etd-07032020-102237
Titolo
Il contratto di cambio tra diritto e morale.
La riflessione di Ascanio Baldasseroni al tramonto del Diritto comune
Dipartimento
GIURISPRUDENZA
Corso di studi
GIURISPRUDENZA
Relatori
relatore Prof. Landi, Andrea
Parole chiave
- cambio
- codificazione
- Diritto comune
- divieto delle usure
- morale
- mutuo ad interessi
Data inizio appello
20/07/2020
Consultabilità
Non consultabile
Data di rilascio
20/07/2060
Riassunto
La storiografia moderna ha definito l’undicesimo secolo come un «tempo ricco di origini »; e in effetti, l’anno mille segnò l’inizio di una stagione nuova sotto differenti aspetti.
Nel corso del tempo era venuta delineandosi all’orizzonte una società che per bisogni economici, dinamiche sociali e rapporti giuridici si presentava come radicalmente diversa dalla precedente; a voler semplificare, si potrebbe descrivere questa profonda trasformazione con due semplici parole: società mercantile.
Il commercio e il mercante, infatti, sono stati i fattori che più di tutti gli altri hanno caratterizzato quel lunghissimo arco di storia che dall’undicesimo secolo arriva fino alle soglie della Rivoluzione industriale.
Già da queste brevissime considerazioni, allora, si può intuire con facilità quali fossero le problematiche che poneva in concreto l’antico divieto delle usure all’interno di un tessuto socioeconomico in cui i mercanti rappresentavano il ceto egemone.
D’altra parte, se questa era la società mercantile e considerato che l’anima del commercio è il capitale, chi mai avrebbe finanziato operazioni commerciali, peraltro altamente rischiose vista l’epoca, senza la possibilità di ottenere un profitto?
L’alba di questa nuova esperienza giuridica segna, dunque, l’inizio di un lungo percorso di storicizzazione del divieto delle usure che giungerà a conclusione soltanto con la codificazione napoleonica. In tutto ciò, il contratto di cambio rappresenta una delle tappe fondamentali di questo itinerario: un istituto che è espressione dei nuovi valori e delle nuove radici su cui si fonda e si erge la neonata società mercantile.
Il mio lavoro di tesi, partendo da quella fondamentale lezione che la nostra facoltà lascia in eredità a chi l’ha frequentata, ovvero il concetto di «storicità del diritto », si è prima di tutto focalizzato sull’analisi della genesi, della ratio e del modo in cui il divieto delle usure ha effettivamente condizionato gli assetti contrattuali dell’esperienza giuridica basso-medievale e dell’età moderna. Una volta chiariti tali aspetti, sono passato a ricostruire le origini e l’evoluzione del contratto di cambio nell’ambito del sistema del Diritto comune, ponendo particolare attenzione alle funzioni svolte nella società dell’epoca dall’istituto, al suo impiego nella prassi mercantile – anche in qualità di strumento creditizio – e all’elaborazione dottrinale da parte della scientia iuris. Infine, e dopo aver al tempo stesso risalito il corso della storia fino alle soglie del XIX secolo, ho tentato di calarmi nei panni di un giurista dell’epoca, per provare ad assumerne la medesima visuale prospettica. L’operazione mi è parsa tanto più utile se si considera che il lasso di tempo in oggetto è a tutti gli effetti un importante spartiacque, un autentico ponte tra due esperienze giuridiche profondamente diverse tra loro: da un lato, la fase crepuscolare del Diritto comune e dall’altro, l’inizio, con la codificazione napoleonica, d’un’epoca nuova.
Ascanio Baldasseroni, giurista e avvocato toscano specializzato in controversie di natura commerciale, nel suo Dizionario Ragionato, pubblicato nei primi anni dell’Ottocento, analizza il contratto di cambio alla luce della definitiva ammissibilità del mutuo ad interessi sancita dal Code Civil del 1804. Per l’autore, infatti, l’istituto non ha solo adempiuto a funzioni sue proprie – peraltro imprescindibili tanto per la società mercantile che per quella moderna (si pensi, giusto per fare un esempio, alla rapida e sicura circolazione dei capitali che ha assicurato questa fattispecie contrattuale). Ma ha rappresentato anzitutto uno strumento essenziale per il processo di relativizzazione del divieto delle usure, consentendo così la fruttificazione del denaro e di conseguenza la circolazione di capitali, che diversamente non sarebbero state possibili.
La mia ricerca, seguendo l’iter di pensiero dell’autore, si è soffermata sulla connessione storico-giuridica esistita tra il contratto di cambio e l’usura così da cogliere le ragioni che, giunti alle soglie ormai dell’Ottocento, propiziarono la decisione del legislatore codicistico di sancire la liceità del prestito ad interessi, quale unica soluzione coerente con il ruolo che il diritto è chiamato a svolgere nella società. In questa prospettiva, dunque, la riflessione del Baldasseroni può essere considerata come il tentativo di individuare un osservatorio – certamente non l’unico possibile – in grado di fornire una visione coerente di almeno una parte di quel lungo percorso di storicizzazione dell’antico divieto iniziato con l’undicesimo secolo. Perché, se, come pure è stato osservato , l’idea che il prestito ad interesse fosse lecito, e che non avesse senso il divieto che si pretendeva di individuare nei testi sacri e nella teoria della sterilità del denaro di Aristotele è un’onda lunga, che ha attraversato secoli di storia e che ha trovato negli eventi a cavallo tra la fine del Settecento e gli inizi dell’Ottocento il momento adatto per frangersi; allora, il contratto di cambio si può, anzi si deve, considerare una componente fondamentale di questo processo.
In conclusione, dalla riflessione del Baldasseroni sembra emergere la convinzione dell’autore che la conoscenza giuridica sia una conoscenza essenzialmente storica, perché il diritto, solo in astruse e sterili discettazioni, è una nuvola che galleggia alta sul divenire sociale .
Nel corso del tempo era venuta delineandosi all’orizzonte una società che per bisogni economici, dinamiche sociali e rapporti giuridici si presentava come radicalmente diversa dalla precedente; a voler semplificare, si potrebbe descrivere questa profonda trasformazione con due semplici parole: società mercantile.
Il commercio e il mercante, infatti, sono stati i fattori che più di tutti gli altri hanno caratterizzato quel lunghissimo arco di storia che dall’undicesimo secolo arriva fino alle soglie della Rivoluzione industriale.
Già da queste brevissime considerazioni, allora, si può intuire con facilità quali fossero le problematiche che poneva in concreto l’antico divieto delle usure all’interno di un tessuto socioeconomico in cui i mercanti rappresentavano il ceto egemone.
D’altra parte, se questa era la società mercantile e considerato che l’anima del commercio è il capitale, chi mai avrebbe finanziato operazioni commerciali, peraltro altamente rischiose vista l’epoca, senza la possibilità di ottenere un profitto?
L’alba di questa nuova esperienza giuridica segna, dunque, l’inizio di un lungo percorso di storicizzazione del divieto delle usure che giungerà a conclusione soltanto con la codificazione napoleonica. In tutto ciò, il contratto di cambio rappresenta una delle tappe fondamentali di questo itinerario: un istituto che è espressione dei nuovi valori e delle nuove radici su cui si fonda e si erge la neonata società mercantile.
Il mio lavoro di tesi, partendo da quella fondamentale lezione che la nostra facoltà lascia in eredità a chi l’ha frequentata, ovvero il concetto di «storicità del diritto », si è prima di tutto focalizzato sull’analisi della genesi, della ratio e del modo in cui il divieto delle usure ha effettivamente condizionato gli assetti contrattuali dell’esperienza giuridica basso-medievale e dell’età moderna. Una volta chiariti tali aspetti, sono passato a ricostruire le origini e l’evoluzione del contratto di cambio nell’ambito del sistema del Diritto comune, ponendo particolare attenzione alle funzioni svolte nella società dell’epoca dall’istituto, al suo impiego nella prassi mercantile – anche in qualità di strumento creditizio – e all’elaborazione dottrinale da parte della scientia iuris. Infine, e dopo aver al tempo stesso risalito il corso della storia fino alle soglie del XIX secolo, ho tentato di calarmi nei panni di un giurista dell’epoca, per provare ad assumerne la medesima visuale prospettica. L’operazione mi è parsa tanto più utile se si considera che il lasso di tempo in oggetto è a tutti gli effetti un importante spartiacque, un autentico ponte tra due esperienze giuridiche profondamente diverse tra loro: da un lato, la fase crepuscolare del Diritto comune e dall’altro, l’inizio, con la codificazione napoleonica, d’un’epoca nuova.
Ascanio Baldasseroni, giurista e avvocato toscano specializzato in controversie di natura commerciale, nel suo Dizionario Ragionato, pubblicato nei primi anni dell’Ottocento, analizza il contratto di cambio alla luce della definitiva ammissibilità del mutuo ad interessi sancita dal Code Civil del 1804. Per l’autore, infatti, l’istituto non ha solo adempiuto a funzioni sue proprie – peraltro imprescindibili tanto per la società mercantile che per quella moderna (si pensi, giusto per fare un esempio, alla rapida e sicura circolazione dei capitali che ha assicurato questa fattispecie contrattuale). Ma ha rappresentato anzitutto uno strumento essenziale per il processo di relativizzazione del divieto delle usure, consentendo così la fruttificazione del denaro e di conseguenza la circolazione di capitali, che diversamente non sarebbero state possibili.
La mia ricerca, seguendo l’iter di pensiero dell’autore, si è soffermata sulla connessione storico-giuridica esistita tra il contratto di cambio e l’usura così da cogliere le ragioni che, giunti alle soglie ormai dell’Ottocento, propiziarono la decisione del legislatore codicistico di sancire la liceità del prestito ad interessi, quale unica soluzione coerente con il ruolo che il diritto è chiamato a svolgere nella società. In questa prospettiva, dunque, la riflessione del Baldasseroni può essere considerata come il tentativo di individuare un osservatorio – certamente non l’unico possibile – in grado di fornire una visione coerente di almeno una parte di quel lungo percorso di storicizzazione dell’antico divieto iniziato con l’undicesimo secolo. Perché, se, come pure è stato osservato , l’idea che il prestito ad interesse fosse lecito, e che non avesse senso il divieto che si pretendeva di individuare nei testi sacri e nella teoria della sterilità del denaro di Aristotele è un’onda lunga, che ha attraversato secoli di storia e che ha trovato negli eventi a cavallo tra la fine del Settecento e gli inizi dell’Ottocento il momento adatto per frangersi; allora, il contratto di cambio si può, anzi si deve, considerare una componente fondamentale di questo processo.
In conclusione, dalla riflessione del Baldasseroni sembra emergere la convinzione dell’autore che la conoscenza giuridica sia una conoscenza essenzialmente storica, perché il diritto, solo in astruse e sterili discettazioni, è una nuvola che galleggia alta sul divenire sociale .
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